L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Rossini, non Rossini

di Roberta Pedrotti

La seconda edizione del festival Il Belcanto Ritrovato si apre a Fano con un concerto dedicato alle musiche scritte in varie situazioni dai "Nostri" (i cosiddetti minori cari alla rassegna marchigiana) per opere di Rossini.

FANO, 24 agosto 2023 - Dopo Rossini, ecco il suo mondo. All'inizio del secolo, il Festival di Pesaro aveva intrapreso una serie di produzioni collaterali dedicate ad autori coevi del celebrato Gioachino. “Il mondo delle farse” fu una bellissima esperienza, purtroppo durata poco, che ci ha permesso di godere di interessantissime rarità di Pacini, Pavesi o Generali in esecuzioni spesso di tutto rispetto (Forte, Concetti, Alberghini) e debutti degni di nota (il primo spettacolo pesarese di Michieletto fu Il trionfo delle belle di Pavesi). Ne raccoglie l'eredità di esplorazione dell'ambiente musicale primottocentesco il festival Il belcanto ritrovato, giunto alla seconda edizione, splendida idea dell'Orchestra Sinfonica G. Rossini in collaborazione con il Rof e la Fondazione Rossini, cui si deve anche la fondamentale serie di conferenze.

Ogni anno si vuol proporre un'opera dimenticata e una serie di concerti dislocati nei teatri marchigiani. Ed è proprio con un concerto che si inaugura il cartellone 2023, a Fano, all'aperto nella suggestiva Corte Malatestiana, per la quale si auspica in futuro una maggior collaborazione dei locali circostanti , che talvolta facevano arrivare al pubblico contrappunti di musiche diverse, e si suggerisce di rinunciare senza rimpianti a un'amplificazione che dà più fastidio che supporto.

Il programma è sfizioso assai per lo studioso e il musicista, inanellando brani d'altri autori finiti per vari motivi nel corpus di opere rossiniane. E qui si impone un distinguo, perché questa sera si ascoltano pezzi di natura assai diversa. Abbiamo innanzitutto la sinfonia di Demetrio e Polibio, la prima opera del Pesarese della quale non disponiamo dell'autografo e abbiamo ottime ragioni per dubitare o attribuire decisamente ad altri (in primis il tenore e impresario Domenico Mombelli) più di un numero, a partire proprio dalla sinfonia. Abbiamo pagine di collaboratori coinvolti nella stesura originale dell'opera e quindi parte del disegno rossiniano, seppure non di sua penna: alcune sono rimaste nella prassi esecutiva (come “Le femmine d'Italia” nell'Italiana in Algeri o il duetto “Se non m'odii, o mio tesoro” da Adina), altre sono state poi soppiantate da pezzi equivalenti composti in seguito da Rossini stesso (in questo caso, sempre dall'Italiana, abbiamo “O come il cor di giubilo”, talvolta ancora riproposta, ma preferibilmente sostituita dalla rossiniana “Concedi amor pietoso”; oppure “A rispettarmi apprenda”, aria di Faraone scritta da Michele Carafa in Mosé in Egitto che il compositore cambierà poi con la sua “Cade dal ciglio il velo”). Alcune arie, invece, pur non disponendo di un'alternativa poi approntata da Rossini per una ripresa successiva, sono sostanzialmente uscite dal repertorio e rientrano in particolari occasioni: per esempio “Sventurata, mi credea” di Clorinda e di pugno di Luca Agolini nella Cenerentola, “Ah sarebbe troppo dolce” di Albazar nel Turco in Italia, l'anonima “Tu di ceppi m'aggravi la mano” di Mosé in Mosé in Egitto).

Ci sono, poi, arie che sono entrate nell'uso a sostituire pezzi più ostici: la più celebre è, forse, “Manca un foglio” di Pietro Romani per Bartolo nel Barbiere di Siviglia, ma esistono anche un'aria alternativa e anonima per la lezione di Rosina (“La mia pace, la mia calma”, che conserva la sezione centrale originale “Ah Lindoro, mio tesoro”) e una per Argirio dalla ripresa milanese di Tancredi del 1813 (“Se ostinata ancor non cedi” invece di “Pensa che sei mia figlia”).

Insomma, abbiamo modo di osservare il laboratorio rossiniano, quella parte di lavoro di bottega in cui non tutto è di mano del maestro, ma tutto è comunque realizzato sotto il suo controllo, da lui approvato: è importante senz'altro sapere chi ha scritto cosa, ma non per quello rigettare con fare inquisitorio tutto quello che non esce direttamente dalla penna di Gioachino, se Gioachino nella sua opera l'ha previsto. Abbiamo poi modo di constatare le modifiche che un'opera poteva subire nella sua circolazione e di riflettere, dunque, sia sui codici espressivi e strutturali che governavano la progettazione e la vita teatrale di un'opera (per cui, no, non è filologicamente raccomandabile gettarsi a capofitto nella proposta acritica di tutto il materiale a disposizione, un po' come si è finiti a fare con Il turco in Italia, oramai spesso ridotto a un concertone di varianti e appendici), sia su come differenze di scrittura e stilemi compositivi fossero percepiti allora e nel tempo fino ai giorni nostri.

Il concerto fanese ripercorre il duetto e le arie citate, talune di buona fattura, altre più modeste, ora di stile più antico, ora più vicine al linguaggio rossiniano. Fra i numerosi pezzi di autore al momento considerato ignoto, spicca il brano di Adina, per il quale si sospetta un collaboratore che avrebbe lavorato anche alla Donna del lago. Infine, il terzetto “Quis est homo” di Giovanni Tadolini ci ricorda che lo Stabat Mater fu consegnato nel 1833 al committente, il prelato spagnolo Varela, con buona parte dei numeri affidati al collega bolognese e che solo in vista di pubblicazione e pubblica esecuzione, una decina d'anni dopo, Rossini via abbia rimesso mano.

Il soprano Lyaila Alamanova, il tenor e Victor Jimenez, il basso Alessandro Sbis, selezionati in collaborazione con il Rossini Opera Festival e l'Accademia Rossiniana si sobbarcano onori e oneri di un programma così particolare, sotto la direzione del promettente Riccardo Bisatti, solida base tecnica e ventitré anni appena sfiorati.

Festeggiando il Rossini “collaterale”, “non rossiniano”, si lancia poi un collegamento con il piatto forte del festival, in programma per la sera successiva: la celebre Tarantella di Luigi Ricci da La festa di Piedigrotta fa da ideale antipasto per la riscoperta del Birraio di Preston dello stesso Ricci.


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