L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Generazioni a confronto

di Alberto Ponti

Nel primo concerto del 2024 dell'Orchestra Sinfonica Nazionale, Michele Mariotti ed Ettore Pagano entusiasmano la sala con un programma che abbraccia oltre ottant'anni di musica russa.

TORINO 11 gennaio 2024 - Una coppia di italiani per un tris di russi. Si potrebbe riassumere in una battuta il primo concerto del nuovo anno all'auditorium Toscanini. I nostri connazionali sono Michele Mariotti, direttore che non necessita di presentazioni, a Torino spesso di casa sia sul versante operistico che su quello sinfonico, e il giovanissimo, vent'anni appena, Ettore Pagano, che invece è stata una vera rivelazione. La triade di autori va intesa in senso lato, dal momento che, accanto a Pëtr Il'ič Čajkovskij e Igor Stravinskij, era presente l'armeno Aram Il'ič Chačaturjan, tra i protagonisti della vita musicale sovietica dal suo trasferimento a Mosca negli anni '20 fino alla scomparsa nel 1978.

Mariotti conferisce un'impronta personale al suono dell'Orchestra Sinfonica Nazionale, irrorando di robusto pathos tardoromantico una pagina celeberrima quale la čajkovskiana ouverture fantasia Romeo e Giulietta proposta in apertura nella sua ultima e definitiva versione (1880). In tal senso aiuta certamente la scelta di schierare gli archi al gran completo (con 8 contrabbassi) ma la questione non è solo di organico: l'accuratezza del fraseggio, il dialogo incalzante tra le varie sezioni orchestrali, gli interventi puntuali delle percussioni denotano una capacità di visione dall'alto del pezzo, in grado di mantenere sia la tensione narrativa sia un raffinato senso della misura, dall'esordio con il tema in piano di clarinetti e fagotti fino alla drammatica chiusa introdotta con magnifico effetto teatrale dai rintocchi arpeggiati dell'arpa.

Il secondo brano era il vero oggetto misterioso della serata. Alzi la mano chi aveva ascoltato prima d'ora dal vivo il Concerto-rapsodia per violoncello e orchestra di Chačaturjan, non per niente in prima esecuzione Rai a Torino. Il giovanissimo (classe 2003) Ettore Pagano, presentato sul programma di sala come vincitore del primo premio assoluto in oltre 40 concorsi nazionali e internazionali dal 2013 ad oggi, non è parso per nulla intimorito da una scrittura di altissimo virtuosismo, pensata per lo strumento di Mstislav Rostropovich, dedicatario e primo esecutore dell'opera nel 1963. Di forma abbastanza libera, secondo l'indicazione dello stesso titolo, il lavoro si articolo intorno ad alcuni temi, uno principale e un paio di secondari, attraverso sei sezioni collegate tra loro senza soluzione di continuità. A colpire, in Pagano, è la sicurezza di interprete che lo conduce ad affrontare i passaggi di maggior complessità evitando di indugiare in uno sfoggio di tecnica fine a se stessa, traendo dal violoncello un suono penetrante, calibrato e dalla perfetta intonazione, affinato da un gusto estetico naturale, sempre a segno nel cogliere le piccole sfumature, i dettagli nascosti di una partitura che vive della compenetrazione fittissima di idee e motivi tra la voce principale e un'orchestra non grande nell'organico ma sfruttata con mano sapiente dal compositore in un panneggio coloristico di alta varietà espressiva, nonostante qualche compiacimento nell'indulgere ai brillanti effetti folcloristici che sono uno dei suoi 'marchi di fabbrica'. Come evidenziato dall'ardua cadenza dopo la breve e squillante introduzione, questo ibrido tra generi rimane venato in fondo di un inquietudine sommersa dove l'elemento tragico, seppur mai esposto in maniera diretta, rimane dietro la porta. Pagano pare cogliere nel segno la sottile vena malinconica di tanti episodi, ora scavando lunghe note nel registro grave ora liberando una ridda frenetica di quartine nelle regioni opposte ed estreme della tavolozza. La versatilità, la bellezza e il controllo delle dinamiche emergono prepotenti pure nei fuori programma, tra un canto armeno, Bach e la musica leggera americana.

L'orchestra di dimensioni relativamente ridotte prevista da Chačaturjan si arricchisce di pochi elementi per Jeu de Cartes, tra i capolavori dello Stravinskij neoclassico, nato nel 1936 come balletto ispirato dalla passione dell'autore per il gioco del poker ma eseguito sovente come autonomo pezzo da concerto. Suddiviso in tre 'mani' seguendo il filo di un racconto assai semplice (dopo due vittorie del pestifero e malizioso Jolly, il bene trionfa con una scala reale di cuori), il titolo dimostra l'estrema maestria di Stravinskij nel trattamento di un'orchestra sfruttata a fondo in ogni suo componente oltre che nel tessere un gioco continuo di rimandi, prestiti e citazioni da altri musicisti (Johann Strauss, Čajkovskij, Rossini) in un processo decostruttivista che non ha nulla di intellettuale ma anzi, intriso di geniale autoironia e antiretorica, risulta godibilissimo e divertente. Merito di Michele Mariotti è restituire alla platea torinese, con levigatezza di gesto e ottimo bilanciamento tra i volumi spaziali, il senso di divertissement della partitura, senza rinunciare a una profondità di sentimento nel dar vita all'azione dei protagonisti, dal bonario e pomposo annuncio del maestro di cerimonie all'inizio delle mani, ai sulfurei guizzi del Jolly, alla trepidazione delle carte in attesa della giocata decisiva.

Il pubblico numeroso decreta pieno successo a Mariotti e Pagano, che si sono avvalsi di un'Orchestra Sinfonica Nazionale reattiva e scattante.

Nonostante la profonda distanza in termini politici che separa oggi l'Europa occidentale dalla Russia, il programma della serata dimostra una volta ancora, se mai ce ne fosse bisogno, di quanto la cultura di questo paese e della sua area di influenza artistica sia essenziale, ieri come oggi, alla definizione dell'identità del nostro continente.


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