Luce, tenebre e zone d'ombra
di Roberta Pedrotti
Il Bologna Festival 2024 si apre con la lettura del Requiem mozartiano di Teodor Currentzis e MusicAeterna. Una lettura al solito personalissima e libera, ma anche eccellente sul piano della qualità esecutiva.
BOLOGNA, 18 marzo 2024 - La musica si materializza immersa nell'ombra, dalle sole tenui luci dei leggii, come lucciole. Non c'è che dire: Teodor Currentzis ci sa fare con il teatro, non lascia nulla al caso e i suoi non sono mai dei semplici concerti, bensì spettacoli completi ed estremi. Anche metaforici, nel loro ostentare, si direbbe, una dimensione ascetica, mistica, un totale distacco dalla normalità del mondo esterno. Che però esiste, non possiamo negarlo, ed esiste proprio come zona d'ombra dalle infinite gradazioni di grigio, tenebra e chiarore in cui cerchiamo, o ci illudiamo di cercare, la certezza del bianco e del nero. Dopotutto, lo stesso Currentzis desta pareri opposti ed estremi muovendosi proprio nei grigi: nessuna esplicita dichiarazione politica, la difesa del regista dissidente Kirill Serebrennikov da una parte e dall'altra il discusso concerto a Mosca durante un bombardamento in Ucraina; la recente polemica viennese con Oksana Lyniv che si è opposta alla sua presenza nel medesimo festival; due complessi di riferimento dall'organico cosmopolita ma l'uno, MusicAeterna, sostenuto dai colossi della finanza russa e l'altro, Utopia, da mecenatismo indipendente internazionale. Nonché una personalità d'interprete del tutto sui generis. Il bianco e il nero: un labirinto di grigi in cui districarsi non è facile e che trova perfetta rispondenza nell'estremizzazione del principio Ars gratia arts. Dopotutto, chi decide di polarizzare la propria interpretazione nell'ottica di un'arte pura, fine a sé stessa, lo fa anche in risposta con il mondo circostante, non meno di chi invece prende una posizione engagé.
L'ombra in cui ci troviamo immersi all'inizio di questa meditazione su vita e morte (bianco e nero?) è programmatica, suggestiva, anche iniziatica. Spettacolare, certo, perché nel carisma di Currentzis c'è un quid istrionico innegabile che però non trascende il limite: piaccia o meno, si acclamino o si rifiutino le sue scelte, quel che fa lo realizza benissimo, con complessi di qualità eccellente. Per questo, prendere o lasciare, può permettersi di proporre nel nome del Requiem mozartiano un programma senza soluzione di continuità, ma composito: si materializza dapprima – a proposito di spirito iniziatico – la Musica funebre massonica K477, poi, fra questa e il Requiem e all'interno della Messa stessa, prima dell'Offertorium, canti d'antica tradizione bizantina. Cosa hanno a che fare questi brani con Mozart? Probabilmente nulla. Cosa hanno a che fare con l'idea di Currentzis, che legge l'incompiuta come opera aperta e ne fa cosa propria? Moltissimo, proprio per il mistico concatenarsi di opposti lungo una linea d'ombra. Questa linea, il direttore greco la traccia e la sfuma avvalendosi di bagliori abbacinanti e di atre latebre; fuor di metafora, la qualità e la duttilità di orchestra, coro e solisti di MusicaEterna, in completa simbiosi con il loro maestro e demiurgo, permettono di esprimere il pianissimo più soffice e soffuso, ben percepibile ma impalpabile, al pari di accenti scolpiti, vibranti, di scatti energici articolati con sicurissimo nitore e sospensioni quasi pulviscolari, tutto percorso da una tensione continua e coerente con sé stessa. Magari indipendente e disinvolto rispetto al dettato della partitura, ma icastico nella sua personalissima visione. E se la pronuncia latina suona un po' esotica ai nostri orecchi avvezzi all'ecclesiastica e aggiornati alla restituta, la matrice bizantina affascina la curiosità del classicista soprattutto nei versi greci più familiari del Kyrie eleison. Il basso Alexey Tikhomirov, il tenore Egor Semenkov, il controtenore Andrey Nemzer e il soprano Elizaveta Sveshnikova non cantano solo con ottima scuola e adeguata misura, ma sono soprattutto parte integrante di un tutto, punti distinti di un unico flusso sonoro con orchestra e coro, più morbidi gli uomini, quasi diafana Sveshnikova, in una sorta di continuità fra terra ed etere, materiale e immateriale.
L'unità d'intenti è palese, ma a nulla varrebbe se non si sostanziasse nella capacità di realizzarla, in una una cura del dettaglio in cui tutto appare voluto, consequenziale e legato al gesto del direttore, anche a quello che sarebbe facile derubricare come cornice, teatro. Certo: Currentzis non è solo un musicista, è anche un personaggio e i suoi concerti sono anche spettacoli, l'aspetto visivo ne è parte integrante e ci riporta alla mente l'esoterismo caro a Skrjabin, o il labile confine fra inganno e incanto in un film come Magic in Moonlight di Woody Allen. Possiamo decidere da che parte stare, oppure esplorare la zona d'ombra, trovare le sue luci e le sue tenebre. Non possiamo rimanere indifferenti e questo è già moltissimo, perché l'ambiguità del concetto è parte integrante del suo fascino, come lo è la convinzione e la cura con cui è sviluppato e che lo rende un quadro atipico ma anche magnifico. Il pubblico bolognese, intanto, sembra non aver avuto dubbi e il concerto è salutato da interminabili istanti di attonito silenzio seguiti da un vero uragano di applausi.