L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il torto degli assenti

di Roberta Pedrotti

Una splendida Francesca Dego è protagonista del Concerto per violino e orchestra di Beethoven con la Filarmonica Marchigiana diretta da Aram Khacheh. Purtroppo il pubblico maceratese non coglie l'occasione di godere di un programma che prevedeva anche musiche di Pärt e una prima assoluta di Marzocchi.

MACERATA, 31 ottobre 2024 - In attesa di scoprire la prima stagione firmata dal nuovo direttore artistico Francesco Di Rosa, la Filarmonica marchigiana riprende in autunno il ciclo pluriennale ideato dal precedente coordinatore Vincenzo De Vivo in occasione delle concatenate ricorrenze francescane, in particolare, fra il 1223 dell'approvazione papale della Regola Bollata e la morte nel 1226, la composizione del Cantico delle creature. Prima e più ancora che un testo confessionale, si tratta di un capolavoro fondante della letteratura in lingua italiana, di una celebrazione profonda, poetica e musicale del rapporto con la natura e di una spiritualità universale che va al di là della religione. Anzi, promana sentimenti di rispetto, fratellanza, cura: tutte cose di cui avremmo tutti estremo bisogno, credenti o non credenti.

Lo spunto francescano e il legame con le Marche si sviluppano poi in una scelta musicale raffinata, che trova un suo apice in questo programma presentato a Macerata. Due pagine di Arvo Pärt, ortodosso, aprono l'impaginato dal crescendo ben calibrato: il quartetto d'archi di Da pacem Domine, poi gli archi uniti alle percussioni di Fratres. Da lì, il contemporaneo comincia a guardare all'illuminista Beethoven con la Meditazione su “Die Ehre Gottes in der Natur”, dal Lied su versi del luterano Christian Fürchtegott Gellert, prima esecuzione assoluta commissionata dalla Form a Paolo Marzocchi. Qui il punto di partenza è costituito dalla natura stessa della costruzione beethoveniana, con cellule pressoché elementari la cui elaborazione sviluppa un organismo complesso in cui resta ben riconoscibile il ricorrere e il trasformarsi del seme originale. Da questo presupposto il pezzo di Marzocchi sembra far emergere tali semi dalle tessiture più gravi: il violoncello duetta con il contrabbasso e alterna slanci lirici più appassionati a diafane apparizioni di armonici spettrali. Come in una pulsazione naturale questi elementi fioriscono poi ciclicamente nelle varie sezioni e in voci più acute.

Dai contemporanei e da esplicite ispirazioni sacre di diverse confessioni, si passa al pezzo più esteso del programma; musica assoluta, questa volta, e permeata da una luminosa serenità affatto rara nella produzione beethoveniana. Il Concerto per violino e orchestra sembra fare il paio con la sinfonia Pastorale di poco successiva (i rispettivi numeri d'opus sono 61 e 68) ed evocare con essa una sorta di abbraccio universale libero, uguale e fraterno in una dimensione edenica distinta da quella eroica, per esempio, della Nona.

In questa esecuzione maceratese, il Concerto può contare su una solista del calibro di Francesca Dego e sarebbe difficile immaginare di meglio per esaltare lo spirito ideale della partitura, soprattutto in questo contesto. Sembra che il violino sia un prolungamento naturale dell'artista, tanto è patente e spontaneo il rapporto fra pensiero musicale e suono. È chiaro che, in simbiosi con il proprio strumento, possa fare ciò che vuole, ma la cosa più importante è che ciò che vuole discende da un gusto, una sensibilità, un'intelligenza di trasparente nitore. Che possa, senza scomporsi, lanciarsi in un virtuosismo fulminante lo conferma il Capriccio di Paganini proposto come bis, mentre nell'arco del concerto l'articolazione impeccabile delle cadenze fa sempre il paio con una visione d'insieme sapientemente calibrata per non abbagliare, semmai per sedurre con il fraseggio e un gioco di colori e dinamiche davvero mirabile nelle varie sezioni del rondò finale non meno che nella nobile tornitura del larghetto centrale e nell'ampia costruzione del primo movimento.

Un tale saggio di pura musicalità è un invito a nozze anche per l'orchestra, che partecipa sollecita in un respiro comune sotto la direzione attenta di Aram Khacheh, fresco di una bella collezione di riconoscimenti all'ultimo Premio Cantelli.

A corollario di un così pregevole concerto, viene purtroppo una riflessione amara: compresi amici, parenti, stampa e addetti ai lavori, al Lauro Rossi saremmo stati circa in una quarantina di persone. Troppo poche mani ad applaudire un programma fatto per stuzzicare gli amanti del grande e consolidato repertorio classico e romantico come i più attenti alla musica di oggi, un programma che schierava la prima orchestra regionale con una solista di calibro internazionale (appena insignita del premio Abbiati per la sua incisione di Brahms e Busoni). Com'è possibile in una città che vanta uno storico festival estivo e che ospita un'Accademia di Belle arti e un'Università? Una collaborazione reale fra queste istituzioni di formazione (che non dovrebbero fermarsi alle proprie attività interne), gli enti locali e le istituzioni musicali sarebbe doverosa: davvero vogliamo credere che nessuno studente, debitamente informato e invogliato, non avrebbe pensato di iniziare la serata a teatro per poi trovarsi già in piazza in tempo per fare serata con gli amici in uno dei locali aperti fino a tardi? Parimenti, speriamo che la definitiva conclusione della fase di commissariamento possa confermare e sviluppare quello slancio che negli ultimi anni, prima con la direzione principale di Bonato e poi con il coordinamento artistico di De Vivo, ha visto crescere l'orchestra marchigiana come una garanzia musicale che meriterebbe maggiore riconoscimento e visibilità. 

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