Una Decima da ricordare
di Alberto Ponti
Nel penultimo concerto della stagione dell'Orchestra Sinfonica Nazionale, Daniele Gatti, il prossimo direttore designato della Staatskapelle di Dresda, si cimenta in uno dei monumenti del sinfonismo di Šostakovič.
TORINO, 16 maggio 2024 - Dmitrij Šostakovič è l'unico autore, se si considera il periodo successivo al classicismo viennese e fino ai nostri giorni, che sia riuscito non solo a scrivere ma a introdurre in repertorio un numero di sinfonie capaci di doppiare le fatiche colonne d'Ercole della nona. Esistono infatti compositori più prolifici e dal nome non certo sconosciuto ma le cui comparse nei programmi e nei cartelloni sono sporadiche, quando non autentiche rarità. Nell'attesa di ascoltare dal vivo una Decima di Mjaskovskij, di Villa-Lobos o di Milhaud, ci godiamo la Sinfonia n. 10 in mi minore op. 93 di Šostakovič sotto la guida di Daniele Gatti, ed è evento di non poco conto.
Il maestro milanese, di recente nominato direttore principale della Staatskapelle di Dresda, ha lasciato un'impronta personale anche nelle ultime stagioni dell'Orchestra Sinfonica Nazionale e il concerto di giovedì 16 e venerdì 17 maggio ho confermato la particolare sintonia instaurata con i professori della Rai. La partitura è insidiosa, alternando, nel tipico stile del grande musicista russo, passi di relativa semplicità sulla carta, caratterizzati da melodie ed armonie scarne e essenziali, a punte di concitata enfasi con il dispiegamento simultaneo di forze contrastanti e di tutte le risorse di un'orchestra di vaste dimensioni.
A Gatti va ascritto il merito di mantenere ben saldo il pallino del gioco, con la visione unitaria ed emotivamente sempre viva di una composizione di cui invece troppo spesso, in esecuzioni anche di vaglia, vengono esaltati alcuni momenti (su tutti il celebre, violentemente espressivo secondo movimento) a scapito di altri, che invece tendono a scorrere un po' in sordina, come spaesati personaggi in cerca d'autore, mentre sono essenziali all'economia strutturale della pagina. Il rischio non è stato corso dagli ascoltatori, in verità non troppo numerosi nonostante il prestigio della bacchetta ospitata, accorsi all'auditorium Toscanini. La precisione del gesto di Gatti si estende a un'orchestra in grado di sfoderare un suono calibrato, ora dolce ora pungente, nell'andamento ipnotico di berceuse nel secondo tema del primo tempo, un vastissimo Moderato, tra i più ampi movimenti sinfonici usciti dalla penna di Šostakovič, ma pronta a scattare con militaresco vigore nell'apocalittico sviluppo, mantenendo allo stesso modo pieno controllo di frasi e volumi, con ideale bilanciamento tra spinte centrifughe di segno opposto, sublimità dell'arte e urgenza della narrazione, senza tradire la pagina scritta.
Ciò non sarebbe possibile senza l'apporto fondamentale delle prime parti, chiamate ad assoli di pregnanza e impegno (clarinetto, flauto e ottavino, tromba e molti altri), così come di tutti i musicisti sul palco, in una performance che nel già citato, fulmineo Allegro in seconda posizione (dove alcuni esegeti hanno voluto vedere un ritratto musicale della spietatezza di Stalin, scomparso in quel medesimo 1953 in cui la sinfonia vide la luce) raggiunge esiti di puro virtuosismo in grado di rivaleggiare con le storiche registrazioni di specialisti del calibro di Mravinskij, Svetlanov, Gergiev, per non citarne che alcuni.
La precisa e sensibile scansione ritmica, unita alla continua ricerca di un timbro ben a fuoco, alla resa di ogni sfumatura dinamica sono costanti degli ultimi due tempi, grazie a un'indicazione direttoriale che scandaglia in maniera analitica la partitura senza rinunciare a un'estrema eleganza, coerenza e lucidità, intelligibile non solo all'ascolto ma anche visivamente dal pubblico alle spalle del podio. Si passa così dalla costruzione matematica dell'Allegretto, fondato per intero sul motto 'D – S C H', sphragis dell'autore utilizzando la notazione in auge nei paesi germanici, all'apparente disinvolta leggerezza del finale, concertato con crescente intensità, attraverso successive ondate ove si avverte la creazione stessa della materia sonora a partire dalla cellula fondamentale basata su reminiscenze dei movimenti precedenti.
Tali caratteristiche di analisi e lettura del testo, applicate a un pezzo più contenuto nella forma e nell'organico quale la Sinfonia n. 34 in do maggiore K 338 (1781) di Wolfgang Amadeus Mozart proposta in apertura di serata, si ritrovano invariate, dando origine a un'interpretazione brillante e raffinata, con la maestria di Daniele Gatti che getta una luce quasi metafisica sui due veloci Allegro vivace incorniciando un terreno e sensuale Andante di molto centrale, intriso di terreni languori.
Successo indiscusso e applausi frenetici da parte di una sala che, soprattutto giovedì, era meno piena di quanto avrebbero meritato interpreti e programma.