L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Bruckner il mistico

 di Stefano Ceccarelli

All’Accademia Nazionale di Santa Cecilia torna Kirill Petrenko, il famoso direttore musicale dei Berliner Philarmoniker, portando con sé la più celebre orchestra giovanile europea: la Gustav Mahler Jugendorchester. Il concerto, attesissimo, apre la rassegna del cartellone estivo dell’Accademia. Ad essere eseguita è la monumentale Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore WAB 105 di Anton Bruckner.

ROMA, 3 giugno 2024 – Kirill Petrenko è un direttore che fa innamorare le folle: carismatico, preparatissimo, riesce ad infondere all’orchestra un’energia che si imprime nella musica che dirige, ponendo un sigillo di inconfondibile qualità. Il repertorio tardoromantico – è quasi superfluo notarlo – è quello in cui un direttore di grande fama può mostrare meglio le sue qualità; il suono vigoroso della grande orchestra, la grandeur che promana dalla partitura concorrono a impressionare il grande pubblico. In tal senso, un autore come Anton Bruckner è l’ideale.

Petrenko sceglie la Quinta, che si situa, peraltro, in perfetta armonia con la recente esecuzione dell’Ottava da parte di Bychkov (leggi la recensione), a creare un dittico bruckneriano di notevole interesse. Oltre al direttore, anche l’orchestra è ospite: la Gustav Mahler Jugendorchester, giunta quasi al suo quarantesimo anno di attività, che fu fondata da Claudio Abbado con l’intento di accogliere giovani musicisti europei di talento (il limite per rimanere in orchestra è di 26 anni). Si tratta di un ‘organismo’, dunque, che ospita sempre nuovi talenti, che è abituato a confrontarsi con le realtà di tutta Europa e che ne rappresenta, metonimicamente, l’auspicabile unità di intenti. Il suono della Mahler Jugendorchester è fantastico: gli archi sono compatti, il suono è spesso, assai buoni i legni e gli ottoni. Si tratta di una grande orchestra dal suono deciso, denso, adatto al repertorio in programma. La Quinta di Petrenko è sublime: non solo il direttore ha sempre perfettamente chiara l’architettura, composta di sezioni giustapposte, sovente sviluppate per accumulo di blocchi sonori (una modalità di scrittura tipicamente bruckneriana), gestendone magnificamente i passaggi, ma riesce, pure, a dosare colori, timbri e volumi, spaginando tutta la sinfonia con impareggiabile maestria. Del I movimento, che inizia fra le brume dei pizzicati degli archi, rimane impresso il corale centrale degli ottoni, variato, poi, in una complessa forma sonata tri-tematica, nel leggere la quale Petrenko è chirurgico nell’agogica, senza tralasciare l’intenso colore conferito dalle variazioni volumetriche. Al solito, l’Adagio (II movimento) è sempre un movimento centrale in Bruckner, che ne dilata la struttura al limite, quasi, del pensabile. Non fa eccezione quello della Quinta, dove Petrenko fa emergere i due temi all’interno del colossale sviluppo, lavorando sull’equilibrio fra le compagini orchestrali e sulla tenuta agogica del suono (mai sfibrato né svaporato). La bacchetta del direttore vibra del ritmo dello Scherzo, «che risucchia nel vortice voluttuoso del valzer la nostalgia di una felicità terrena sognata in un mondo lontano» (O. Bossini, dal programma di sala); Petrenko è eccellente nel far risaltare proprio questa sorta di parodia di una danza così iconica come il valzer, stando attento agli spostamenti di ritmo, che sono significativi nell’orizzonte d’attesa dell’ascoltatore. In evidente Ringkomposition, il Finale è una sintesi dei temi degli altri movimenti, che si rielaborano quasi all’infinito per chiudersi nella «visione dell’ipostasi divina nella forma di una immobile e risplendente risonanza dell’accordo di Si bemolle maggiore» (ancora Bossini). Petrenko dona tutto sé stesso nell’ultimo, titanico sforzo: dopo l’esposizione in complessa intelaiatura dei vari temi, si giunge al nodo finale, spalancato edenicamente (ancora) da un corale di ottoni, il quale apre ad una fuga che culmina, con una lunga climax, nel potentissimo finale. Gli applausi sono incontenibili.


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