L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Mahler e nuovi mondi

di Mario Tedeschi Turco

Antonello Manacorda apre il Settembre dell'Accademia Filarmonica di Verona con la Mahler Chamber Orchestra e il soprano Anna Prohaska in un programma che spazia da Busoni a Mahler (secondo Kloke) e Dvořák.

Verona, 8 settembre 2024 - Domenica 8 settembre l’Accademia Filarmonica di Verona, inaugurando il classico festival del «Settembre dell’Accademia», ha ospitato l’unica tappa italiana della tournée «New Worlds» della Mahler Chamber Orchestra diretta da Antonello Manacorda, con la partecipazione del soprano Anna Prohaska. Si è trattato di un’occasione ottima per ascoltare non solo un’ottima orchestra (che già più volte si era esibita a Verona), ma soprattutto per poter valutare dal vivo l’arte di Manacorda, che in particolare con le integrali discografiche di Schubert e Mendelssohn condotte con la sua orchestra di Potsdam ci aveva molto impressionato per precisione di dettaglio, varietà espressiva, nitore sonoro, plasmando alcune tra le incisioni più rilevanti degli ultimi anni. Occasione ottima, dicevamo, anche perché le pagine proposte in questo concerto erano lontane dal classico-romantico di primo ‘800: la serata si è aperta infatti con la Berceuse Elégiaque di Ferruccio Busoni, del 1909, un pezzo breve ma di notevole densità di scrittura, in cui l’elemento elegiaco è stato portato in primo piano da Manacorda con un’idea del fraseggio molto dettagliata, a dividere timbri e frasi onde farne risaltare l’architettura. Si è trattato di un’opzione interessante, che ha sacrificato il flou impressionista con il quale è reso in genere questo brano, allo stesso tempo evitando derive larmoyante e rifinendo invece la struttura in modo tale che la tinta scura degli archi gravi non fosse mai agglutinata en bloc, bensì trasparente nella trama del pur semplice contrappunto. Con un gesto del braccio sinistro sobrio ma effettivo, il rischio di una lettura fredda è stato evitato, in un equilibrio formale convincente.

Piatto forte del concerto è stata l’esecuzione dei Sieben frühe Lieder di Mahler nella orchestrazione creativa di Eberhard Kloke, edita nel 2013 e dedicata allo stesso soprano protagonista dell’esecuzione veronese. Sarà il caso di fornire una breve ricognizione descrittiva, di questo ciclo concepito da Kloke come semi-riscrittura di parte della raccolta mahleriana Lieder und Gesänge aus der Jugendzeit, composta tra il 1880 e il 1890 e pubblicata nel 1892. Questa la sequenza: 1. Nicht wiedersehen! (in origine al n. 13 del vol. III); 2. Ablösung im Sommer (n. 11 del vol. III); 3. Es ritten drei Reiter (n. 12 del vol. III, segnato da Mahler con il titolo Scheiden und Meiden); 4. Zu Straßburg auf der Schanz' (n. 10 del vol. III); 5. Selbstgefühl (n. 14 del vol. III); 6. Ich ging mit Lust durch einen grünen Wald (n. 7 del vol. II); 7. Mägdlein trat aus dem Fischerhaus (n. 5 del vol. I, segnato da Mahler con il titolo Phantasie). I testi letterari sono tratti tutti dalla raccolta celeberrima Das Knaben Wunderhorn, tranne per l’ultimo brano, che è intonato su una traduzione da Tirso de Molina. La tensione di Kloke - data per acquisita l’ampia intertestualità di temi, motivi e aura espressiva che lega i Lieder giovanili con il materiale musicale impiegato nelle prime quattro Sinfonie – è stata quella di procedere in senso inverso, arricchendo cioè in sede di orchestrazione il mélos dei canti con dettagli ulteriori che egli ha tratto dal mondo del Wunderhorn inscritto nelle sinfonie 2, 3 e 4, nonché dal «suono di Natura» della Prima, incorporandone temi, tecniche compositive e dettagli timbrici, in questo modo fornendo un esempio di interpretazione critica, in chiave generativa, dei Lieder medesimi. Lo stesso frequente ricorso all’indicazione espressiva «da lontano» funge da metafora per la tecnica di montaggio che mette in relazione lo sviluppo musicale successivo con i primi lavori, così come il titolo complessivo di Sieben Frühe Lieder cita l’uguale intestazione del ciclo di Alban Berg composto tra il 1905 e il 1908, secondo Kloke (così nell’introduzione alla partitura edita da Universal) composto in parallelo alle Wunderhorn Symphonien mahleriane (in realtà qualche anno dopo, a dire il vero, essendo la Quarta sinfonia terminata nel 1901. Ma la ‘stimmung-Sezession’è certo la medesima). Un’opera di gran pregio intellettuale, quella di Kloke, una Mahleriana postmoderna che si propone come ampia meditazione sul gesto creativo in divenire del sommo autore, con alto grado di coinvolgimento lirico che scongiura del tutto il rischio della superfetazione intellettualistica. Anche perché Anna Prohaska (cui il pezzo è dedicato) ha esibito il meglio della grande liederista, con intonazione perfetta in ogni registro, spicco rilevato della parola poetica, espressività franca e immediata, brillantissimi passaggi di dinamica. Manacorda ha tessuto la rete citazionista ordita da Kloke ancora con trasparenza, con peculiare idiomaticità in taluni dettagli desunti dal Titano, in particolare, in cui ha fatto percepire meglio di tanti altri l’ascendenza aschenazita del fraseggio e della stessa popolareggiante campitura motivica. Se si esclude una qualche incertezza del corno solista nel terzo Lied, l’orchestra ha risposto bene al non facile impegno, per un ascolto interessantissimo, che speriamo possa essere confermato a breve in qualche incisione.

A concludere, si è navigato in acque assai meglio conosciute con la Sinfonia ‘Dal Nuovo Mondo’ di Dvořák. Nonostante la trentina di archi dell’orchestra abbia avuto un qualche lievissimo squilibrio fonico rispetto al gruppo dei fiati (è accaduto soprattutto nei forte e nei fortissimo), l’interpretazione è stata del tutto appagante, nel segno del vitalismo, dell’entusiasmo romantico, e della dolcezza lirica nel movimento lento, condotto con tactus assai largo onde rilevare al meglio (ancora) i dettagli ricchissimi dell’orchestrazione. Il che tuttavia non ha dato alla lettura quel tono intensamente drammatico e patetico (un tantinello lugubre, a tratti) che avevamo ad esempio udito con Valčuha e l’orchestra RAI nel concerto veronese della scorsa stagione, tutto teso a suggerire un effetto di distanziamento rispetto ai temi ‘etnici’ d’impianto, come se la nota essenziale della Sinfonia fosse quella del rimpianto per un’espressività sorgiva perduta. No, per Manacorda questo Dvořák è invece assertivo, entusiasta di una scoperta poetica nuova, che può e deve fondare una musica dell’avvenire che è già in gran parte qui e adesso. Opzioni di contenuto diverse, del resto ampiamente testimoniate dalla discografia, ugualmente interessanti: ma per splendore di suono, coinvolgimento totale, accensione epica, rigore d’analisi, per quel che vale, noi stiamo decisamente con quest’ultimo, eccellente Manacorda.


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