Incontro al vertice
di Roberta Pedrotti
Entusiasmante debutto ufficiale alla Semperoper di Daniele Gatti come direttore principale della Sächsische Staatskapelle Dresden con un concerto che apre anche l'integrale sinfonica mahleriana, primo progetto del maestro italiano a capo della compagine sassone.
DRESDA, 31 agosto 2024 - La virtù del direttore d'orchestra si saggia e si forma nella capacità plasmare anche complessi non eccelsi ed elevare i risultati di formazioni meno blasonate. Per questo un sano cursus honorum, anche rapido ma senza eludere la gavetta, è fondamentale. Ma quando l'orchestra è eccelsa e blasonata, quando i professori sono abituati ad ascoltarsi forgiando una spiccata identità collettiva, quanto conta davvero la qualità della bacchetta? In un tempo in cui basta la patente di enfant prodige a conferire subito il diritto di saltare le tappe e balzare al volante delle fuoriserie, l'inaugurazione ufficiale del mandato di Daniele Gatti come direttore principale della Sächsische Staatskapelle Dresden sembra mettere le cose a posto. Ecco, davanti a occhi e orecchi, la differenza lampante fra lo sfarzo patinato di infallibili confezioni alla moda e l'incontro maturo fra musicisti.
Certo, anche la carriera di Gatti è stata rapida, men che trentenne era già alla Scala, alla Fenice e al Rossini Opera Festival, ma il percorso svolto dalla fine degli anni '80 a oggi è chiaro ed evidente. E se questo cammino non è stato tutto sempre e necessariamente lastricato di trionfi o accolto senza discussioni, la soddisfazione è ancor maggiore: non è tanto di assolute (e un po' noiose) certezze che abbiamo bisogno, quanto di artisti che si mettano e mettano in discussione, che ricerchino e si evolvano.
Non è una sorpresa, ma abbiamo avuto modo di ribadirlo e saggiarlo nei giorni prima all'opera con Wagner e Berlioz: la Staatskapelle è un'orchestra straordinaria e la consuetudine teatrale stimola, oltre alla grande qualità tecnica sinfonica, una singolare sensibilità per il melos, un senso della cantabilità e una tavolozza di sfumature che trovano ben pochi paragoni. Con uno strumento collettivo di tal pregio, anche il pilota automatico può scivolare felice sul velluto senza pericolo di sbandamenti. Sarebbe facile accontentarsi, e avremmo già moltissimo, se non che, per fortuna Gatti non lo fa. Con l'autorevolezza dell'esperienza e la statura dell'interprete cresciuto e consolidato nel tempo, dialoga con i musicisti, ne coglie la naturale inclinazione e la esalta conducendola in un arco poetico fatto di mille dettagli ben soppesati.
Il programma scelto per questo primo concerto è intelligente nell'accostamento e perfetto per inaugurare i sei anni di collaborazione fra Gatti e la Staatskapelle e il progetto dell'integrale mahleriana che, tra l'altro, porterà per la prima volta la Settima sinfonia alla Semperoper.
Verklärte Nacht, in re minore, e la Prima Sinfonia Der Titan, in re maggiore, aprono fasi importanti nelle carriere rispettivamente di Schönberg e Mahler. Quasi contemporanee fra stesura, debutto e revisioni, entrambe uniscono – in un fitto intarsio di interventi solistici e in una trama a tratti contrappuntistica – inaspettate elaborazioni armoniche a suggestioni liriche sospese fra aneliti di pura serenità e profonde inquietudini o sardonici straniamenti.
Gli archi sassoni si elevano con densissima trasparenza e scambi naturalissimi nel poema sinfonico di Schönberg, il cui passo narrativo non conosce retorica, solo necessità. Abbiamo già chiara e netta la traccia che poi guiderà Mahler, in un ventaglio amplissimo di sonorità, ora lucenti ora opache, ora impalpabili ora possenti, ora ruvide ora vellutate o levigate, sinuose o taglienti, sognanti, inquiete, affettuose o battagliere. Sfumature infinite e mai ridondanti, sempre esatte sull'accento e nel fraseggio, plasmate sulla situazione, sull'intenzione poetica con una misura aliena da ogni compiacimento e artificio. E sì che non c'è battuta che non sia controllata, non c'è articolazione che non riceva una meditata tornitura, eppure qui Gatti coglie nel suo lavorìo peculiare una sintesi tale da risultare perfino ipnotico, sempre nella musica e non sulla musica.
Pare inevitabile citare terzo movimento, con quei bassi di pienezza quasi surreale e l'apparire trasfigurato dell'oboe e poi del clarinetto klezmer, l'individuazione di un colore che non sia in astratto bello, bensì giusto hic et nunc. La ricchezza di questa ricerca continua viene dal profondo, non si dibatte in superficie ed è forte di un rapporto di vera sintonia fra direttore e orchestra. Il rispetto dei ruoli non si trasforma mai in scontro di forze, nell'imporre o nel subire, bensì sfocia in un costruire, respirare insieme. Lo si evince nella resa mirabile del quarto movimento, quando l'apoteosi del finale sortisce il suo effetto anche grazie a un fluire sapiente di tensioni e distensioni, a una direzione decisa, insieme grandiosa, solenne e pulsante, travolgente proprio perché non sente il bisogno dell'effetto fragoroso, ma guarda avanti nell'arco di un saggio palpitare.
Qualche istante di silenzio e poi la Semperoper esplode fino a balzare in piedi. Standing ovation fragorosa, prolungata, interrotta solo dal ringraziamento e benvenuto istituzionale a Gatti da parte della direzione del teatro e dell'orchestra. Non manca un pizzico di commozione per una così bella serata di musica, frutto di incontri, di percorsi ed esperienze umane e artistiche, qualcosa da tenere caro, non solo di fronte alla produzione in serie di fenomeni prêt-à-porter, ma anche di fronte ai venti inquietanti che spirano là fuori.