L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Quartetti a viso aperto

di Alberto Ponti

Una giovane formazione affronta con impegno e passione tre pagine del nostro Novecento per il più classico degli organici da camera.

TORINO, 17 settembre 2024 - Formatosi di recente (2021), il Quartetto Goldberg ha tra i suoi pregi quello di non intimorirsi nel proporre un repertorio non banale e non scontato. Se ne è avuta prova, nell’ambito di MITO Settembre Musica, martedì 17 settembre al Teatro Vittoria di Torino in un concerto interamente dedicato a tre autori italiani della ‘generazione dell’Ottanta’. Non tragga in inganno la comune appartenenza a una temperie e a un periodo storico, dal momento che i brani in programma non potrebbero essere più differenti tra loro.

Si comincia con il breve ma intenso Quartetto n. 1 ‘Rispetti e strambotti’ (1920) di Gian Francesco Malipiero, probabilmente il più celebre tra gli otto lavori che rappresentano il contributo dell’autore al genere. Lo stile del musicista veneziano in quest’opera non è tra i più facili da cogliere nella sua interezza all’ascolto, intessuto su diversioni e accostamenti in apparenza casuali ma in realtà obbedienti a una logica costruttiva ferrea dove nulla è lasciato al caso, in un perfetto schema circolare con il ritorno al termine, con una nuova consapevolezza che la rende identica eppure differente, dell’idea costitutiva ritmica e melodica iniziale.

I successivi ‘Cinque pezzi’ op. 34 di Alfredo Casella, anch’essi datati 1920, segnano, secondo le parole dello stesso autore ‘l’estrema fine della influenza stravinskiana e la scomparsa totale di ogni preoccupazione atonale’. Difficile immaginare cosa intendesse lo scrivente e a quale grado di influenza si riferisse, dal momento che, a cercare con impegno, brani più spudoratamente stravinskiani nella concezione e nell’atmosfera non esistono, a cominciare dal Preludio (Allegro vivace a barbaro) infarcito di accordi violenti e dissonanti e note ribattute che fanno pensare a un Sacre in versione ridotta e cameristica. Per non citare il Valse ridicule in terza posizione, evocatore nel mood di numerosi passi del maestro russo. Nondimeno la raccolta rappresenta un temibile banco di prova per qualsiasi formazione: lo stile di Casella è sempre di eccezionale qualità e, quando senza volerlo scrive ‘à la manière de’, è quasi più affascinante dell’originale.

Finale con l’esteso Quartetto n. 3 in re maggiore di Ottorino Respighi, risalente ai primi anni del Novecento e strutturato nei canonici quattro movimenti. Composizione di grande intensità intrisa di suggestioni provenienti dalla grande tradizione tedesca, sebbene declinata in salsa mediterranea con l’utilizzo di temi di sapore vagamente popolaresco (con il ritmo di tarantella su cui è costruito il quarto tempo), ci mostra il tavolo di lavoro di un Respighi, eccelso esecutore e conoscitore degli strumenti ad arco, in cerca di una propria personale via espressiva in un campo come quello della musica da camera ancora largamente da esplorare nei nostri programmi concertistici.

I quattro giovani esecutori (Jingzhi Zhang e Giacomo Lucato ai violini, Matilde Simionato alla viola e Martino Simionato al violoncello) affrontano queste pagine impegnative, talvolta ardue, con la tipica esuberanza giovanile, accompagnata qua e là da un sano pizzico di incoscienza, da una voglia di protagonismo di ciascun membro che può penalizzare la visione d’insieme, che richiede la perfetta compenetrazione fra le voci, ma rende vive, attuali e palpitanti armonie inconsuete e spesso originali. Il Novecento italiano, grazie alla loro brillante performance, si scrolla di dosso l’aura un po’ polverosa di ciò che è appena sceso dagli scaffali di una biblioteca per assurgere, con le sue bizzarrie, ispirazioni e trovate geniali, soprattutto in Malipiero, a esemplare e veritiera metafora del nostro carattere nazionale.

Un’ora e un quarto di musica senza un attimo di tregua, coronata da uno spontaneo successo e dai celebri Crisantemi di Giacomo Puccini, struggente e poetico encore.


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