Le geometrie del mito e della satira
di Roberta Pedrotti
A Bologna convince l'abbinamento inusuale fra Purcell (con un pizzico di Nono e Scelsi) e Weill/Brecht, con la direzione di Marco Angius e la regia di Daniele Abbado, sebbene resti un po' in ombra la protagonista Danielle De Niese.
BOLOGNA, 16 marzo 2024 - I desideri non corrispondono alle aspettative della società. Enea ama Didone, ma il suo principio è la pietas, non la pietà, e dunque sacrifica l'amore al rispetto del volere divino, alla responsabilità verso la sua gente. Didone ama Enea e ne muore di dolore, ma anche di disonore nel suo ruolo di regina. Anna da una parte vorrebbe godersi la vita, amare chi vuole, indignarsi per le ingiustizie, agire secondo istinti e sentimenti, dall'altra sa che deve rinnegare questi peccati contro la conquista della ricchezza e l'ascesa nella società borghese dei consumi, così da soddisfare le aspettative della famiglia e permetterle di costruire una casetta in Louisiana. Dido and Aeneas di Purcell e Die sieben Todsünden (I sette peccati capitali) di Brecht/Weill, il mito classico e la satira moderna, il barocco e il cabaret anni '20 e '30 non sono poi così lontani e può non essere solo una questione di durate a suggerire l'abbinamento in un dittico. Laddove, poi, prevalgono i contrasti di stile e linguaggio, questi possono essere anzi propizi alla valorizzazione dell'opera nella sua peculiarità.
In questo caso, addirittura, il contrasto si accende dall'interno del capolavoro di Purcell, con il direttore Marco Angius che ha deciso di inserire, fra una scena e l'altra, tre dei Cori di Didone scritti nel 1958 da Luigi Nono su testi di Ungaretti e l’introduzione strumentale da Okanagon di Giacinto Scelsi, del 1968. Così, non solo si celebra il centenario del compositore veneziano, ma si integra una partitura filologicamente problematica e di fatto sovente aperta con pagine che enfatizzano la dimensione atemporale del mito, la contemporaneità ideale fra il '600 e il '900, il confronto fra l'immanenza dell'azione e l'eternità della riflessione e dell'archetipo. In quest'ottica, Angius, esperto del repertorio più recente, si muove con disinvoltura anche nella scrittura di Purcell, la cui solenne e insieme intima essenzialità ben si sposa alla teatralità geometrica suggerita da Daniele Abbado in uno spettacolo dai contorni netti, dai chiaroscuri ben definiti, caratterizzata da pochi colori decisi, grigi e bruni o rosso fiammante, per lo più. La costumista Giada Masi si sbizzarrisce all'opposto con Weill, con lustrini sgargianti alla ribalta ed elementi grotteschi per la famiglia (irresistibile Andrea Concetti a metà fra la signora Coriandoli e Mrs Doubtfire), mentre Angelo Linzalata, scenografo e light designer, sembra essere il primo a concepire un impianto su misura per le dimensioni del Comunale Nouveau senza che gli interpreti sul palco siano relegati in una sola porzione o costretti a correre su e giù per dimostrare, viceversa, di utilizzarne tutta la lunghezza. Non sarà uno allestimento memorabile come incisività e profondità di lettura, ma quantomeno troviamo una ragionevole armonia e chiarezza di proporzioni.
Quel che invece manca è il carisma della protagonista. Sebbene la Belinda di Mariam Battistelli la sopravanzi in brillantezza vocale e presenza interpretativa, Danielle De Niese convince più come dolente Dido, mentre nei panni di Anna I il canto evanescente non è supportato nemmeno dall'indispensabile verve sarcastica, dalla capacità di mordere il testo che la penna di Brecht non meno di quella di Weill esigerebbe. La sua controparte danzante, quella più emotiva che razionale e quindi peccatrice contro i principi spietati della scalata sociale, è ben incarnata da Irene Ferrara, mentre il quartetto dei parenti, oltre al citato Concetti, allinea Marco Miglietta, Andrea Giovannini, Nicolò Ceriani. Nell'opera di Purcell, invece, con De Niese e Battistelli, ricordiamo il severo, rassegnato e impassibile Aeneas di Francesco Salvadori, la sinistra, sardonica Maga di Bruno Taddia, lo spirito non meno sinistro di Paola Valentina Molinari, ai quali si uniscono la seconda donna di Patricia Daniela Fodor e le Streghe di Miglietta e Giovannini, anche Marinaio. Tutti sono ben inseriti nell'impianto geometrico con il quale concertazione e regia danno forma da un lato all'archetipo mitico, dall'altro alla metafora satirica. Sebbene l'organico ridotto non sia favorito dall'acustica del Comunale Nouveau, ben figurano il coro preparato dalla maestra Gea Garatti Ansini e l'orchestra, con il continuo realizzato da Nicoletta Mezzini (clavicembalo), Alberto Mesirca (tiorba e chitarra barocca), Roberto Cima (violoncello) e Gianandrea Pignoni (contrabbasso).
Buon successo finale per tutti, sperando che sia un incentivo (magari quando si tornerà nella sala più favorevole del Bibiena) a far sì che questi classici siano sempre meno eccezioni e rarità nel repertorio.