L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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Una tensione costante

di Fabiana Crepaldi

L'ultima Elektra di Nina Stemme trionfa a Baden Baden con la regia psicanalitica di Philipp Stölzl e Philipp M. Krenn, la concertazione di Kirill Petrenko e i Berliner Philharmoniker in buca.

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BADEN BADEN 26 marzo 2024 - Se la tragedia Elektra era originariamente molto greca, l'opera del 1909 che segnò il debutto del fruttuoso sodalizio tra Richard Strauss (1864-1949) e Hugo von Hofmannsthal (1874-1929) è molto austriaca. Sebbene anche l'azione dell'opera si svolga a Micene e vi sia una corrispondenza approssimativa tra le scene dell'Elektra di Hofmannsthal e dell'Elektra di Sofocle, le situazioni sono distinte e i dialoghi sono significativamente diversi. Nel suo testo rappresentato per la prima volta come opera teatrale nel 1903, Hofmannsthal trasporta Sofocle nelle crisi della società patriarcale viennese della fine del secolo: una società segnata da una crescente misoginia e dagli inizi della psicoanalisi.

Nel suo interessante articolo Fin-de-siecle fantasies: Elektra, Degeneration and Sexual Science (Cambridge Opera Journal, 1993), Lawrence Kramer sottolinea che c'è una doppia lettura in Elektra, che per lui "rappresenta una complessa negoziazione con la misoginia della cultura suprematista. Privilegiando la soggettività di Elektra, Strauss va contro la corrente suprematista che nega alle donne la legittimità (...) come soggetti individuali. Eppure la sua caratterizzazione di Elektra riproduce tutti i tratti atavici - animalismo, impurità, crudeltà sensuale, perversione erotica, amoralità, automatismo - abitualmente attribuiti alle donne per giustificare tale negazione".

Per quanto riguarda gli echi della psicoanalisi, è interessante notare che il personaggio di Hofmannsthal sia diverso da quello di Sofocle. Nella tragedia greca, Elektra cerca di vendicare la morte del padre, affinché sia fatta giustizia e la famiglia sia liberata dal crimine commesso dalla madre. In Hofmannsthal, la donna è ossessionata dall'idea di vendicare la morte del padre, Agamennone, e di uccidere i suoi assassini: Klytämnestra, sua madre e Egisto. Si possono riconoscere i casi clinici discussi da Sigmund Freud e Joseph Breuer in Studi sull'isteria (1893), che faceva parte della biblioteca di Hofmannsthal.

Il dialogo tra Elektra e sua madre, Klytämnestra, è una vera e propria seduta di psicoanalisi. All'inizio, la regina si rivolge alla figlia come se andasse dallo psichiatra. "Parla come un medico", osserva la madre quando decide di andare a parlare con Elektra. Clitemnestra ha i suoi traumi e i suoi blocchi - "Mi suona così familiare. È come se l'avessi dimenticato molto, molto tempo fa". Nei suoi incontri con la figlia, va alla ricerca di un modo per porre fine ai suoi incubi, come quello di essere strangolata da Oreste.

In Sofocle, la situazione è molto diversa: Clitennestra ha sognato che Agamennone era risorto e nel dialogo con Elektra, non accenna nemmeno al sogno. Non c'è alcun trauma o senso di colpa. La regina greca si difende: ha ucciso il marito per vendicarsi del fatto che egli aveva offerto in sacrificio una delle figlie della coppia, Ifigenia, affinché potesse aiutare il fratello Menelao a Troia. Questa giustificazione non viene nemmeno menzionata nell'opera, dove la colpevolezza di Klytämnestra è indiscutibile.

Al Festspielhaus di Baden-Baden, i registi Philipp Stölzl (responsabile anche della scenografia e delle luci) e Philipp M. Krenn hanno creato un'ambientazione funzionale e astratta per spostare la trama dalla Grecia classica all'ambiente psicoanalitico. O, come scrive Stölzl nel programma di sala, hanno optato per "una soluzione mirata, che punta la lente d'ingrandimento sui personaggi e sui loro sentimenti".

Oppressiva, pericolosa, precipitosa, la scenografia consisteva in un'enorme scalinata con grandi gradini mobili. Lo spostamento di questi gradini permetteva di trasformare la scala in un muro, o in ambienti diversi che separavano e confinavano verticalmente i personaggi, o in spazi opprimenti che non permettevano ai cantanti di stare in piedi. Questo soffitto schiacciante viene utilizzato, ad esempio, quando Elektra riceve la notizia della morte di Oreste e nel secondo duetto con Chrysothemis. Qualunque sia l'ambientazione, tuttavia, la tensione e il pericolo erano sempre presenti: tutti erano letteralmente sull'orlo di un precipizio e ogni passo falso poteva essere fatale. "Ogni mossa può essere rischiosa: la natura inquietante di questo palcoscenico ripido fa parte del concetto", spiega Stölzl.

Oltre al pericolo imminente, i registi hanno sottolineato il valore del testo e del suo background letterario proiettando il libretto sulla scena. "Elektra non è stata scritta per l'opera. Hofmannstahl ha scritto la pièce per il teatro di prosa - ci sono dialoghi, monologhi, ma non la classica aria, 'stretta' o duetto come nell'opera. La struttura ha molti riferimenti alla tragedia greca, alle origini stesse del teatro. (...) Abbiamo pensato che valesse la pena di sperimentare se l'incredibile immaginario linguistico di Hofmannsthal potesse essere messo più fortemente al centro dello spettacolo", spiega Stölzl nel programma di sala.

Non si trattava di proiezioni ordinate, ma di frasi i cui caratteri variavano per colore e dimensione, nello stile di William Kentridge nella sua produzione del Naso di Shostakorich, presentata al Metropolitan di New York. La differenza principale è che Stölzl ha proiettato l'Elektra originale in tedesco, mentre Kentridge, per ragioni pratiche, ha utilizzato la traduzione inglese e non il testo russo.

I costumi di Kathia Maurer erano fondamentalmente neri, ma tutti con ornamenti che li differenziavano e li coloravano. Su Orest spiccava una protesi beige alla gamba; su Chrysothemis, una specie di sciarpa bianca da scolaretta; su Klytämnestra, i lunghi capelli bianchi; su Elektra, la parrucca arancione; sulle ancelle, grembiuli bianchi.

Fin dalla prima scena, quando le cameriere chiacchierano di Elektra, era già chiaro che la cura nella scelta del cast comprendeva anche I comprimari. Katharina Magiera, Marvic Monreal, Alexandra Ionis, Dorothea Herbert e Lauren Fagan erano cinque ancelle con voci ben piazzate e ben disegnate.

Tra i cantanti principali, il soprano Elza van den Heever e il mezzosoprano Michaela Schuster avevano già fatto parte del cast di alto profilo di Die Frau ohne Schatten allo stesso festival dello scorso anno. In quell'occasione, van den Heever ha brillato nel ruolo dell'Imperatrice in cerca di un'ombra e Schuster ha dimostrato le sue capacità sceniche nel ruolo della Nutrice, nonostante una voce che mancava di peso nei medi e nei gravi.

Quest'anno, nella parte di Klytämnestra, la potenza drammatica della Schuster ha acquisito ancora più intensità, il suo personaggio era molto ben costruito, il suo fraseggio era intelligente. La sua voce, tuttavia, era ancora una volta carente in basso e al centro, tanto che ha usato un suono gutturale, persino vicino al russare, per far sentire i gravi. Se, da un lato, ha senso avere una Klytämnestra dalla voce roca, che emette suoni brutti e feroci, che mostra con la voce l'angoscia e le sue debolezze, dall'altro il canto perde peso e la rappresentazione del personaggio perde profondità quando i gravi mancano di consistenza.

Klytämnestra era ritratta con lunghi capelli grigi e circondata dalla servitù. La adulano, la accarezzano in modo sensuale. Stölzl, Krenn e Schuster sono riusciti a costruire questo personaggio che cerca di dimostrare potere e forza, ma che in realtà è debole, insicuro, suscettibile e suggestionabile. Quando Klytämnestra muore, una stuntwoman rotola giù dalle scale, massimizzando la tensione e il pericolo imminente della scena.

La Chrysostemis di Elza van den Heever era caratterizzata come una giovane apparentemente ingenua. Il soprano ha offerto acuti penetranti, ma nel registro grave non è riuscito a superare la barriera orchestrale. Tuttavia, la sua interpretazione di “Kinder will ich haben”, quando dice a Elektra che vuole avere figli prima che il suo corpo appassisca, è stata memorabile. Van den Heever ha cantato questo passaggio in modo drammatico e sofferto: una Chrysostemis pienamente consapevole di quanto fosse lontana dall'estasi presente nella musica che avrebbe portato alla realizzazione del suo sogno.

Gli uomini compaiono solo alla fine dell'opera. Orest arriva con le stampelle - sì, su per le scale! Ferito in battaglia? L'importante è che porti con sé le ferite della vita. Quanto a Aegisth, arrivato chiedendo luce, la sua presenza era quasi oscurata da alcune lanterne. I ruoli sono stati interpretati in modo convincente rispettivamente dal basso-baritono danese Johan Reuter e dal tenore austriaco Wolfgang Ablinger-Sperrhacke.

Il grande nome, o meglio la grande voce che è emersa dall'enorme palcoscenico è stata certamente Nina Stemme. Si è parlato molto dei suoi acuti, a volte approssimativi. Questo non ha importanza. La Stemme, che ha annunciato che questa sarebbe stata la sua ultima Elektra, ha dato l'addio al ruolo in modo più che dignitoso: memorabile.

Il movimento scenico non è mai stato al centro dell'attenzione di questa grande artista, che ha la rara capacità di trasmettere un dramma intenso attraverso l'espressività della sua voce potente e penetrante. La Stemme riesce a creare un personaggio con una profondità totale attraverso il suo canto - un canto pieno di sfumature, di vita. La sua voce sensuale si sposava perfettamente con la parrucca arancione incandescente che indossava e con il costume nero sfrangiato, che la trasformava in una specie di uccello, un uccello selvatico intrappolato.

Stemme ha dato vita e voce a un'Elektra dalla forte personalità, che non lascia spazio all'ambiguità, che ha un obiettivo fisso e immutabile e che ha momenti di tenerezza, ma anche di furia. Nell'Elektra di Stemme, la soggettività del personaggio, rafforzata dalla musica e dal canto, prevale sui tratti misogini del libretto. Nel suggestivo monologo “Allein! Weh, ganz allein!”, in cui Elektra si rivolge ad Agamennone, il padre ucciso, la Stemme ha dimostrato la cura con cui affronta il testo. È stato senza dubbio il momento in cui la proiezione del libretto sulla scena ha avuto più senso.

Nina Stemme non poteva avere compagnia migliore in buca per dire addio a un ruolo così importante nella sua carriera: Kirill Petrenko e i Berliner Philharmoniker. Questi due nomi hanno reso Baden-Baden una meta obbligata negli ultimi anni per chi vuole vedere un'opera eseguita con la massima raffinatezza e cura orchestrale. Questo fino al prossimo anno, quando l'opera rappresentata sarà Madama Butterfly di Puccini, con Eleonora Buratto nel ruolo del titolo. Dal 2026, Petrenko e i Berliner si esibiranno al Festival di Pasqua di Salisburgo. A Baden-Baden saranno presenti la Royal Concertgebouw Orchestra e la Mahler Chamber Orchestra.

In Elektra, l'orchestra di centocinque elementi svolge un ruolo importante: è soprattutto attraverso di essa che ci arriva l'irresistibile musica di Richard Strauss. Dalla buca del Festspielhausproviene un suono prevalentemente potente, forte ma senza trascurare alcun dettaglio, e con l'impressionante omogeneità dei Berliner Philharmoniker. Una barriera sonora potente, ma permeabile alle voci dei cantanti, soprattutto a quella di Stemme. Al suono potente - ma mai stridente, mai forte o gridato - si contrapponevano momenti di lirismo cameristico e persino il silenzio della pausa profonda e ben marcata che precedeva il monologo di Elektra. Petrenko e i Berliner Philharmoniker hanno ricevuto una standing ovation.


 

Constant tension

by Fabiana Crepaldi

Baden Baden 26th March 2024 If the tragedy Elektra was originally very Greek, the 1909 opera that marked the debut of the fruitful partnership between Richard Strauss (1864-1949) and Hugo von Hofmannsthal (1874-1929) is very Austrian. Although the action of the opera also takes place in Mycenae and there is a rough correspondence between the scenes in Hofmannsthal's Elektra and Sophocles' Elektra, the situations are distinct and the dialogues are significantly different. In his Elektra, which premiered as a play in 1903, Hofmannsthal transports Sophocles' work to the crises of Viennese patriarcal Society in the fin-de-siècle: a Society marked by growing misogyny and the beginnings of psychoanalysis..

In his interesting article Fin-de-siecle fantasies: Elektra, Degeneration and Sexual Science (Cambridge Opera Journal, 1993), Lawrence Kramer points out that there is a double reading in Elektra, which for him “represents a complex negotiation with the misogyny of supremacist culture. By privileging Elektra's subjectivity, Strauss goes against the supremacist grain that denies women legitimacy (...) as individual subjects. Yet his characterisation of Elektra reproduces all the atavistic traits - animalism, uncleanliness, sensual cruelty, erotic perversity, amorality, automatism - routinely ascribed to women in justifying that denial.”

As for the echoes of psychoanalysis, it is interesting to note that the character of Hofmannsthal's Elektra is different from that of Sophocles. In the Greek tragedy, Elektra seeks revenge for her father's death so that justice can be done and the family can be freed from the crime committed by her mother. In Hofmannsthal, she is obsessed with the idea of avenging the death of her father, Agamemnon, and killing his murderers: Clytemnestra, her mother, and Aegisthus. In Hofmannsthal's Elektra, you can recognise clinical cases discussed by Sigmund Freud and Joseph Breuer in Studies on Hysteria (1893), which was part of Hofmannsthal's library.

The dialogue between Elektra and her mother, Clytemnestra, is a genuine psychoanalysis session. At first, Clytemnestra goes to Elektra like someone going to the psychiatrist. "She talks like a doctor," remarks the mother when she decides to go and talk to her daughter. Clitemnestra has her traumas and blocks - "That sounds so familiar. It's simply as if I'd forgotten about it a long, long time ago." In her meetings with Elektra, she goes in search of a way to end her nightmares, such as being strangled by Orestes.

In Sophocles, the situation is quite different. Clytemnestra dreamt that Agamemnon had risen from the dead. In her dialogue with Elektra, she doesn't even mention the dream. There is no trauma or sense of guilt. The Greek Clytemnestra defends herself: she killed Agamemnon in revenge for his having offered one of the couple's daughters, Iphigenia, as a sacrifice so that he could help his brother Menelaus in Troy. This justification isn't even mentioned in the opera, where Clytemnestra's guilt is unquestionable.

At the Festspielhaus in Baden-Baden, stage directors Philipp Stölzl (who was also responsible for the set design and lighting) and Philipp M. Krenn created a functional and abstract setting to move the plot from classical Greece to the psychoanalytic environment. Or, as Stölzl wrote in the programme, they opted for "a focused solution, which directs a magnifying glass at the characters and their feelings".

Oppressive, dangerous, precipitous, the set consisted of a huge staircase with large, mobile steps. The displacement of these steps allowed the staircase to be transformed into a wall, or into different environments that vertically separated and confined the characters, or into oppressive environments that didn't allow the singers to stand. This oppressive, crushing ceiling was used, for example, when Elektra received the news of Orestes' death and in her second duet with Chrysostemis. Whatever the setting, however, tension and danger were always present - everyone was literally on the edge of a cliff and any false step could be fatal. "Every move on it can be risky - the unsettling nature of this steep stage is part of the concept," explains Stölzl.

In addition to the imminent danger, the directors emphasised the value of the text and its literary background by projecting the libretto onto the set. "'Elektra' was not written for opera.Hofmannstahl wrote the piece for the spoken stage - there are dialogues, monologues, but not the classic aria, 'stretta' or duet as in opera.The structure has many references to Greek tragedy, to the very origins of theatre. (...) We thought it was worth experimenting with whether Hofmannsthal's incredible linguistic imagery could be placed more strongly at the centre of the performance," explained Stölzl in the programme.

They weren't orderly projections, but phrases whose fonts varied in colour and size, in the style of William Kentridge's projections in his production of Shostakorich's The Nose, presented at the Metropolitan Opera. The major difference is that Stölzl projected the original Elektra in German, while Kentridge, for practical reasons, used the English translation (and not the Russian text).

Kathia Maurer 's costumes were basically black, but all with ornaments to differentiate and colour them. On Orestes, the beige broken leg stood out; on Chrysostemis, a kind of white schoolgirl scarf; on Clytemnestra, the long white hair; on Elektra, the orange wig; on the maids, white aprons.

From the very first scene, when the maids are chatting about Elektra, it was already clear that the care taken in choosing the cast also included the supporting singers. Katharina Magiera, Marvic Monreal, Alexandra Ionis, Dorothea Herbert and Lauren Fagan were five maids with well-placed and well-designed voices.

Among the principal singers, soprano Elza van den Heever and mezzo-soprano Michaela Schuster had already been part of the high-profile cast of Die Frau ohne Schatten at the same festival last year. On that occasion, van den Heever shone as the empress in search of a shadow and Schuster demonstrated her stage skills as the nanny, despite a voice that lacked weight in the mids and bass.

This year, as Clytemnestra, Schuster's dramatic power gained even more intensity, her character was very well constructed, her phrasing was intelligent. Her voice, however, was once again lacking in the lows and mids, so that she used a guttural sound, even a form of snoring, so that her lows could be heard. If, on the one hand, it makes sense to have a Clytemnestra with a rough voice, who emits ugly and ferocious sounds, who shows anguish and her weaknesses with her voice, on the other hand the singing loses weight, and the character's portrayal loses depth when the bass lacks consistency.

Clytemnestra was portrayed with long grey hair and surrounded by her servants. They fawned over her, caressed her in a sensual way. Stölzl, Krenn and Schuster were very successful in constructing this character who tries to demonstrate power and strength, but in reality is weak, insecure, susceptible and suggestible. When Clytemnestra dies, a stuntwoman rolls down the stairs, maximising the tension and imminent danger of the scene.

Elza van den Heever's Chrysostemis was characterised as an apparently naive young girl. The soprano offered penetrating high notes, but her bass could not overcome the orchestral barrier. Nevertheless, her rendition of Kinder will ich haben, when she tells Elektra that she wants to have children before her body withers, was memorable. Van den Heever sang this passage in a dramatic, pained way: a Chrysostemis fully aware of how far she was from the ecstasy present in the music that would bring about the fulfilment of her dream.

The men only appear as the opera draws to a close. Orestes arrived with his leg in a cast, on crutches - yes, up the stairs! Wounded in battle? What matters is that he's carrying the wounds of life. As for Egisto, who arrived asking for light, his presence was almost overshadowed by some lanterns. The roles were played quite convincingly by Danish bass-baritone Johan Reuter and Austrian tenor Wolfgang Ablinger-Sperrhacke respectively.

The great name, or rather the great voice that emerged from the huge stage was certainly Nina Stemme. There has been a lot of talk about her sometimes rough high notes. That does not matter. Stemme, who announced that this would be her last Elektra, said goodbye to the role in a more than dignified way: memorable.

Stage movement has never been the focus of this great artist, who has the rare ability to convey intense drama through the expressiveness of her powerful, penetrating voice. Stemme manages to create a character with total depth through her singing - a singing full of nuances, of life. Her sultry voice matched perfectly with the glowing orange wig she was wearing and the frayed black costume, which transformed her into a kind of bird - a trapped wild bird.

Stemme gave life and voice to an Elektra with a strong personality, who leaves no room for ambiguity, who has a fixed and immutable goal and who has moments of tenderness, but also moments of fury. In Stemme’s Elektra, the character's subjectivity, strengthened by the music and singing, prevails over the misogynistic traits of the libretto. In the striking monologue Allein!Weh, ganz allein!, in which Elektra addresses Agamemnon, her murdered father, Stemme demonstrated the care she takes with the text. It was undoubtedly the moment when the projection of the libretto onto the set made the most sense.

Nina Stemme couldn't have had better company in the pit to say goodbye to such a remarkable role in her career: Kirill Petrenko and the Berlin Philharmonic. These two names have made Baden-Baden an obligatory destination in recent years for those who want to see an opera performed with the utmost refinement and orchestral care. That is until next year, when the opera performed will be Puccini's Madama Butterfly, with Eleonora Buratto in the title role. From 2026, Petrenko and the Berliner will perform at the Salzburg Easter Festival. In Baden-Baden, there will be the Royal Concertgebouw Orchestra and the Mahler Chamber Orchestra.

In Elektra, the orchestra with 105 players plays an important role: it is above all through the orchestra that the irresistible music of Richard Strauss comes to us. From the pit of the Festspielhaus comes a predominantly powerful sound, strong but without neglecting a single detail, and with the impressive homogeneity of the Berlin Philharmonic. A powerful sound barrier, but permeable to the voices of the singers, especially Stemme's voice. The powerful sound - but never shrill, never loud or shouted - was contrasted with moments of chamber lyricism and even the silence of the deep, well-marked pause that preceded Elektra's monologue. Petrenko and the Berlin Philharmonic received a standing ovation.


 

Tensão permanente

de Fabiana Crepaldi

BADEN BADEN 26 de março de 2024. Se originalmente a tragédia Elektra é bem grega, a ópera de 1909 que marca a estreia da frutífera parceria entre Richard Strauss (1864-1949) e Hugo von Hofmannsthal (1874-1929) é bem austríaca. Embora a ação se passe na mesma Micenas de Sófocles, e haja, grosso modo, uma correspondência entre as cenas das Elektras de Hofmannsthal e Sófocles, as situações são diversas, e os diálogos, significativamente diferentes. Em sua Elektra, que estreou como peça de teatro em 1903, Hofmannsthal transporta a obra de Sófocles para as crises da sociedade patriarcal vienense do fin-de-siècle: uma sociedade marcada por uma crescente misoginia e pelo início da psicanálise.

Em seu interessante artigo Fin-de-siecle fantasies: Elektra, Degeneration and Sexual Science (Cambridge Opera Journal, 1993), Lawrence Kramer aponta que há uma dupla leitura em Elektra, o que, para ele, “representa uma complexa negociação com a misoginia da cultura supremacista. Privilegiando a subjetividade de Elektra, Strauss vai contra o cerne da cultura supremacista, que nega a legitimidade das mulheres (…) como sujeitos individuais. Por outro lado, sua caracterização de Elektra reproduz todos os traços de primitivismo — animalidade, impureza, sensualidade cruel, perversidade erótica, amoralidade, automatismo — rotineiramente atribuídos às mulheres para justificar sua negação”.

Quanto aos ecos da psicanálise, é interessante observar que o caráter da Elektra de Hofmannsthal é diferente daquele da apresentado por Sófocles. Na tragédia grega, Elektra busca a vingança da morte do pai para que a justiça seja feita e a família possa se libertar do crime cometido por sua mãe. Em Hofmannsthal, ela é obcecada pela ideia de vingar a morte do pai, Agamemnon, e matar os seus assassinos: Clitemnestra, sua mãe, e Egisto. Na Elektra de Hofmannsthal, podem ser reconhecidos casos clínicos discutidos por Sigmund Freud e Joseph Breuer em Estudos sobre a Histeria (1893), que integrava a biblioteca de Hofmannsthal.

O diálogo entre Elektra e sua mãe, Clitemnestra, é uma verdadeira sessão de psicanálise. No princípio, Clitemnestra vai ter com Elektra como quem vai ao psiquiatra. “Ela fala como um médico”, observa a mãe quando toma a resolução de ir falar com a filha. Clitemnestra tem seus traumas e bloqueios – “Isso me soa tão familiar. É simplesmente como se eu tivesse esquecido há muito, muito tempo”. Em seu encontro com Elektra, vai em busca de um meio de acabar com os seus pesadelos, como o de estar sendo estrangulada por Orestes. Um de seus sonhos recentes era que estava sendo estrangulada por Orestes. A mãe procura, através da filha, obter uma solução para os seus sofrimentos.

Em Sófocles a situação é bem diferente. Clitemnestra havia, de fato, tido um sonho, mas o de que Agamemnon havia ressuscitado. Em seu diálogo com Elektra, nem menciona o sonho. Não há traumas ou sentimento de culpa: a Clitemnestra grega se defende: matara Agamemnon como vingança por ele ter oferecido uma das filhas do casal, Ifigênia, em sacrifício para poder ajudar seu irmão Menelau em Troia. Essa justificativa nem é citada na ópera, onde a culpa de Clitemnestra é incontestável.

Michaela Schuster (Clitemnestra), Elza van der Heever (Crisóstemis) e Nina Stemme (Elektra) – foto de Monika Rittershaus

Na Festspielhaus de Baden-Baden, os diretores cênicos Philipp Stölzl (que também foi responsável pela cenografia e pela iluminação) e Philipp M. Krenn criaram um cenário funcional e abstrato para deslocar a trama da Grécia clássica ao ambiente psicanalítico. Ou, como escreveu Stölzl no programa de sala, optaram “por uma solução focada, que direciona uma lente de aumento para os personagens e seus sentimentos”.

Opressor, perigoso, íngreme, o cenário era constituído por uma escada enorme com degraus grandes e móveis. O deslocamento desses degraus permitia que a escada se transformasse ora em um muro, ora em ambientes distintos, que separavam verticalmente e confinavam os personagens, ora em ambientes que oprimiam, que não permitiam que os cantores ficassem de pé. Esse teto que oprime, que esmaga, foi utilizado, por exemplo, quando Elektra recebeu a notícia da morte de Orestes e em seu segundo dueto com Crisóstemis. Qualquer que fosse a configuração do cenário, no entanto, a tensão e o perigo estavam sempre presentes – estavam todos literalmente à beira do precipício, qualquer passo em falso poderia ser fatal. “Cada movimento nele pode ser arriscado – a natureza inquietante desse palco íngreme faz parte do conceito”, explica Stölzl.

Além do perigo iminente, os encenadores salientaram o valor da bagagem literária do texto por meio da projeção do libreto no cenário. “’Elektra’ não foi escrita para a ópera. Hofmannstahl escreveu a peça para o palco falado – há diálogos, monólogos, mas não a ária clássica, ‘stretta’ ou dueto como na ópera. A estrutura tem muitas referências à tragédia grega, às próprias origens do teatro. (…) Achamos que valia a pena experimentar se as incríveis imagens linguísticas de Hofmannsthal poderiam ser colocadas mais fortemente no centro da apresentação”, explicou Stölzl no programa.

Não eram projeções ordenadas, mas frases cujas fontes variavam em cor e tamanho, no estilo das projeções de William Kentridge em sua produção de O Nariz, de Shostakoritch, apresentada no Metropolitan Opera. A grande diferença é que Stölzl projetou o original de Elektra, em alemão, enquanto Kentridge, por razões de ordem prática, utilizou a tradução em inglês (e não o texto em russo).

Os figurinos de Kathia Maurer eram basicamente pretos, mas todos com ornamentos que os diferenciavam e coloriam. Em Orestes, destacava-se a perna quebrada, bege; em Crisóstemis, uma espécie de lenço branco colegial; em Clitemnestra, os longos cabelos brancos; em Elektra, a peruca laranja; nas criadas, aventais brancos.

As cinco criadas e Nina Stemme (Elektra) – foto de Monika Rittershaus

Desde a primeira cena, quando as criadas estão conversando a respeito Elektra, já era perceptível que o cuidado na escolha do elenco contemplava, também, os comprimários. Katharina Magiera, Marvic Monreal, Alexandra Ionis, Dorothea Herbert e Lauren Fagan foram cinco criadas com vozes bem colocadas e bem projetadas.

Dentre o elenco principal, a soprano Elza van den Heever e a mezzosoprano Michaela Schuster já haviam feito parte, no ano passado, do elenco de alto nível de Die Frau ohne Schatten no mesmo festival. Naquela oportunidade, van den Heever brilhou como a imperatriz em busca de uma sombra e Schuster demonstrou, como a ama, os seus dotes cênicos, apesar de uma voz carente de peso nos médios e graves. Neste ano, como Clitemnestra, o poder dramático de Schuster ganhou até mais intensidade, a sua personagem foi muito bem construída, seu fraseado foi inteligente. Sua voz, contudo, mais uma vez apresentou carência nos graves e médios, de modo que ela fez uso de um som gutural, de um ronco mesmo, para que seus graves fossem ouvidos. Se, por um lado, faz sentido uma Clitemnestra com uma voz áspera, que emite sons feios e ferinos, que demonstra angústia e as suas fraquezas com a voz, por outro lado o canto perde peso, e a caracterização da personagem perde profundidade quando os graves não têm consistência.

Michaela Schuster (Clitemnestra) – foto de Monika Rittershaus

Ainda sobre Clitemnestra, vale observar que ela foi retratada com longos cabelos brancos e rodeada pelas suas serviçais. Elas a bajulavam, acariciavam, de forma sensual. Stölzl, Krenn e Schuster foram muito felizes na construção dessa personagem que tenta demonstrar poder e força, mas, na realidade, é fraca, insegura, suscetível, sugestionável. Quando Clitemnestra morre, uma dublê rola escada abaixo, elevando ao máximo a tensão e o perigo iminente da cena.

Elza van den Heever (Crisóstemis) – foto de Monika Rittershaus

A Crisóstemis de Elza van den Heever apareceu caracterizada como uma jovem aparentemente ingênua. A soprano ofereceu agudos penetrantes, mas os seus graves não conseguiram transpor a barreira orquestral. Apesar disso, foi memorável a sua interpretação de Kinder will ich haben, quando diz a Elektra que quer ter filhos antes que o seu corpo murche. Van den Heever cantou esse trecho de uma forma dramática, sofrida: uma Crisóstemis plenamente consciente do quão distante estava do êxtase, presente na música, que lhe provocaria a realização do seu sonho.

Os homens aparecem apenas quando a ópera está se aproximando do final. Orestes chegou com a perna engessada, de muleta – sim, pela escada! Ferido na batalha? O que importa é que arrasta as feridas da vida. Já Egisto, que chegou pedindo luz, teve a sua presença quase ofuscada por algumas lanternas. Os papéis foram interpretados de forma bastante convincente, respectivamente, pelo baixo-barítono dinamarquês Johan Reuter e pelo tenor austríaco Wolfgang Ablinger-Sperrhacke.

Nina Stemme (Elektra) e Johan Reuter (Orestes) – foto de Monika Rittershaus

Sem dúvida, o grande nome, ou, mais que isso, a grande voz que brotou do enorme palco foi a de Nina Stemme. Muito se fala dos seus agudos já por vezes ásperos, da sua voz que, em alguns momentos, falha. Nada disso importa. Stemme, que anunciou que essa seria a sua última Elektra, despediu-se do papel de forma mais que digna: memorável.

Nina Stemme (Elektra) – foto de Monika Rittershaus

A movimentação cênica nunca foi o foco dessa grande artista, que tem a rara capacidade de transmitir uma intensa dramaticidade através da expressividade da sua poderosa e penetrante voz. Stemme consegue criar uma personagem com toda a profundidade através do canto – um canto cheio de nuances, de vida. Sua voz quente combinou perfeitamente com a peruca laranja incandescente que estava usando e com o figurino preto desfiado, que a transformou em uma espécie de pássaro – um pássaro selvagem aprisionado. Ela deu vida e voz a uma Elektra com personalidade forte, essa Elektra que não dá espaço a qualquer ambiguidade, que tem um objetivo fixo e imutável, que tem os seus momentos de ternura, mas também os de fúria. Em sua Elektra, a subjetividade da personagem, fortalecida pela música e pelo canto, prevalece sobre os traços misóginos do libreto. No impactante monólogo Allein! Weh, ganz allein!, em que Elektra se dirige a Agamemnon, o pai assassinado, Stemme demonstrou o cuidado que tem com o texto. Foi, sem dúvida, o momento em que mais fez sentido a projeção do libreto no cenário.

Nina Stemme não poderia ter tido companhia melhor, no fosso, para se despedir desse papel tão marcante em sua carreira: Kirill Petrenko e a Filarmônica de Berlim. Esses dois nomes tornaram, nos últimos anos, Baden-Baden um destino obrigatório para aqueles que querem ver uma ópera executada com o máximo de refinamento e cuidado orquestral. Isso até o ano que vem, quando a ópera executada será Madama Butterfly, de Puccini, com Eleonora Buratto no papel-título. A partir de 2026, Petrenko e a Berliner passarão a se apresentar no Festival de Páscoa de Salzburg. Em Baden-Baden, teremos a Orquestra Real do Concertgebouw e a Mahler Chamber Orchestra. Será um duelo de titãs.

Em Elektra a enorme orquestra tem um importante protagonismo: é sobretudo por meio dela que nos vem a irresistível música de Richard Strauss. Do fosso da Festspielhaus brotou um som predominantemente poderoso, forte, mas sem negligenciar um único detalhe e com a impressionante homogeneidade da Filarmônica de Berlim. Uma barreira sonora poderosa, mas permeável às vozes dos cantores, sobretudo à voz de Stemme. Ao som poderoso – mas jamais estridente, jamais barulhento ou gritado – contrastaram momentos de lirismo camerístico e até o silêncio da profunda pausa bem-marcada que precedeu o monólogo de Elektra. Petrenko e a Filarmônica de Berlim foram aplaudidos de pé (atitude que, na Europa, não é banalizada como no Brasil).


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