L’Ape musicale

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Carne e ombre

di Fabiana Crepaldi

A Dresda Christian Thielemann conclide il suo mandato come direttore principale della Semperoper con una memorabile produzione di Die Frau ohne Schatten

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13 maggio 2024. Die Frau ohne Schatten (La donna senz'ombra), quarta opera di Richard Strauss e Hugo von Hofmannsthal, è affascinante. Considerando la sua bellezza e la passione che suscita nel pubblico, viene rappresentata molto meno di quanto dovrebbe nel continente americano. Il motivo c'è: per metterla in scena servono una buona e grande orchestra (con centosettantasei musicisti e buoni solisti); un grande concertatore, che sappia estrarre un suono limpido; un regista che non sia restio a mettere in scena una fiaba, senza volerla trasformare in qualcosa di duro e realistico; e cinque solisti vocali di prim'ordine, capaci di incarnare i loro ruoli e di cantare le sfumature, gli acuti e di superare le insidie che Strauss ha costantemente in serbo per loro. La Semperoper di Dresda ha offerto tutto questo nella sua nuova produzione.

Die Frau è stata l'opera scelta dall'eccellente Christian Thielemann, un'autorità nella musica di Strauss, per dare l'addio al suo incarico di direttore della Semperoper di Dresda. È stata una grande occasione per vederlo in azione. L'ombra a cui si fa riferimento nel titolo è un classico simbolo del doppio e della maternità, e i due significati si fondono nell'opera. Nel Nuovo Testamento, quando l'angelo annuncia a Maria che concepirà, le dice che il Signore la avvolgerà con la sua ombra. In letteratura (e nell'opera lirica), l'assenza (o la perdita) dell'ombra, di questo legame con la terra, è spesso associata all'incapacità di generare figli. Nel suo libro The Double: A Psychoanalytic Study, pubblicato nel 1925, lo psicoanalista austriaco Otto Rank fa riferimento all'ombra come simbolo del doppio. Non è un caso, quindi, che il doppio sia già presente nella struttura di Die Frau ohne Schatten. Come scrisse Hofmannsthal in una lettera a Strauss, l'opera è allo stesso tempo "romantica all'antica e un'opera che poteva nascere solo nel nostro tempo, reale e simbolica". Tratta anche di due mondi, quello degli spiriti (che non hanno ombra) e quello degli esseri umani (concreti, carnali, che fanno ombra). Racconta la storia di due coppie che devono attraversare alcune fasi di apprendimento e alcune prove per raggiungere una fase di maturità e complicità.

Die Frau si ispira a Die Zauberflöte di Mozart, in cui due coppie di natura diversa - Tamino e Pamina; Papageno e Papagena - devono affrontare delle prove. In Die Frau, una delle coppie è molto umana, vive una vita dura con problemi molto reali (Barak, il tintore buono e paziente, e la sua irascibile moglie); l'altra vive su una sorta di piano intermedio tra il mondo degli spiriti e quello degli uomini (il Kaiser, imperatore, umano, e la Kaiserin, imperatrice, che non ha ombra ed è figlia di Keikobad, il signore del mondo degli spiriti). Nella prima coppia, i tintori sembrano aver perso la strada; nella seconda, l'Imperatore e l'Imperatrice non sembrano ancora essersi trovati. Gli uomini di queste due coppie sono ancorati al passato. Sebbene Barak concentri tutte le sue energie sul lavoro, sulla vita quotidiana e sul sostentamento della sua famiglia, è attaccato all'immagine di suo padre, della casa paterna, si è assunto la responsabilità di prendersi cura dei suoi fratelli, come faceva suo padre, e sogna di avere una famiglia numerosa. L'imperatore, dal canto suo, trovò la moglie sotto forma di gazzella bianca mentre cacciava con l'aiuto del suo falco rosso. Non appena l'ha catturata, si è trasformata in una donna. L'Imperatore rivive questa storia per tutta l'opera: sia nel libretto sia nella musica è un tema ricorrente, caratterizzato da una melodia lirica e appassionata, uno dei passaggi più belli mai ascoltati in un'opera. Inoltre: l'Imperatore sa essere solo un amante e un cacciatore; Barak, un amante e un compagno. Di conseguenza, l'Imperatrice non può umanizzarsi pienamente, non ha un'ombra, e il Tintore, pur avendo un'ombra, non può estrarre i frutti della sua condizione umana.

C'è un quinto personaggio che si muove tra i due mondi, che forma una coppia con l'Imperatrice: la Nutrice che l'accompagna, che deve accudirla. La Nutrice proviene dal mondo degli spiriti: è, a suo modo, fedele all'Imperatrice e ripudia gli uomini. È una sorta di fusione tra la Regina della Notte e un Mefistofele manipolatore, un demone che vuole separare l'Imperatrice dagli esseri umani, che vuole farla tornare nel mondo degli spiriti.

Il conflitto centrale è una maledizione che grava sulla coppia Imperatrice-Imperatore: se l'Imperatrice non otterrà un'ombra entro dodici lune, dovrà tornare con il padre nel mondo degli spiriti e l'Imperatore - che sta fallendo nel tentativo di renderla umana - sarà trasformato in pietra. Tre giorni prima della scadenza, il falco viene a ricordare all'Imperatrice la maledizione e, con l'aiuto della Nutrice, parte per il mondo umano per ottenere l'ombra di una donna. Incontrano il Tintore e la Tintora. La Tintora è insoddisfatta della sua vita, soprattutto per la presenza dei tre fratelli di Barak in casa sua. È una facile preda per la Nutrice, che la convince a scambiare la sua ombra con un mondo di illusioni.

La perdita dell'ombra è un tema presente nella letteratura del XIX secolo. Uno dei principali esempi è il personaggio del titolo della Meravigliosa storia di Peter Schlemihl di Adelbert von Chamiso. Povero e disprezzato dalla società, Schlemihl viene sedotto da un misterioso uomo in grigio (il diavolo, ovviamente!) e finisce per accettare di rinunciare alla sua ombra in cambio di una ricchezza che non finirà mai. Il problema è che, senza la sua ombra, la sua ricchezza non ha valore, perché viene ripudiato e una maledizione grava su di lui. Quando si innamora, il padre della sposa gli concede tre giorni per trovare un'ombra, ma lui non ci riesce e finisce per perdere l'amata.

Un altro esempio è Anna, dal poema di Nicolaus Lenau che si basa su una leggenda svedese. Vedendo la propria immagine riflessa nel lago, Anna è abbagliata dalla propria bellezza e non vuole che nulla la rovini: un classico caso di narcisismo. Prima del matrimonio, Anna si rivolge a un'anziana maga e scambia la sua ombra, legata alla capacità di generare figli, con la conservazione della sua bella immagine. Aveva sette figli che dovevano nascere. Durante l'incantesimo, il vento fece saltare il mulino sette volte e, ogni volta, Anna sentì il mormorio di uno di quei bambini che non sarebbero più venuti al mondo.

Oltre alla poesia di Anna, l'ombra e il riflesso compaiono insieme nel racconto Le avventure di San Silvestro Notturno (noto anche come Il riflesso perduto) di E. T. A. Hoffmann. Nel racconto, Erasmus Spikher, che ha dato il suo riflesso a una cortigiana che non era altro che uno strumento del diavolo, viene ripudiato dalla famiglia e dalla società. Vaga alla ricerca di un riflesso e incontra Peter Schlemihl. Nella storia, dunque, l'uomo senza riflesso e l'uomo senza ombra si incontrano. Entrambi hanno qualcosa in comune: hanno perso parte della loro personalità, si sono lasciati dividere dal diavolo (colui che divide).

Schlemihl scambia l'ombra con la ricchezza, con la promessa di una vita agiata; Anna scambia l'ombra con il suo riflesso narcisistico ed egocentrico. Die Frau ohne Schatten segue la stessa linea: offrendo alla Tintora uno specchio (che non aveva) e immergendola in un mondo di illusioni, con un amante fantasma che non è altro che la proiezione dei suoi desideri, la Nutrice propone alla Tintora di vendere la sua ombra per quell'immagine illusoria di lusso e bellezza, che ha potuto sperimentare per un breve momento. La Tintora accetta su due piedi: "per l'immagine di quello specchio darò la mia anima, la mia vita".

Come Anna nel poema, anche la Tintora sente il mormorio dei suoi figli non ancora nati. Anna avrebbe avuto sette figli, e sente il mormorio proveniente dal mulino per sette volte; la Tintrice ha cinque figli destinati a lei, e li sente attraverso i cinque pesci in una pentola.

La manipolazione della Nutrice allontana ulteriormente la coppia di tintori. A un certo punto, la donna cerca persino di liberarsi dal suo amante fantasma, dal mondo delle illusioni. Chiama il marito, ma Barak non capisce, capisce solo il mondo materiale, la comunicazione tra loro è impossibile. La situazione culmina quando la donna confessa un'infedeltà che in realtà non ha commesso e Barak, fino a quel momento sempre buono e paziente, smette di vedere la sua ombra e minaccia addirittura di ucciderla. Rafforzando il doppio nella struttura del dramma, nel frattempo, in una scena musicalmente stupefacente, l'Imperatore sente l'odore degli umani, si rende conto che l'Imperatrice è stata con gli umani e pensa di ucciderla, ma non può, non è in grado di farlo.

A questo punto l'Imperatrice, con un forte senso di colpa e una profonda empatia per gli esseri umani, si pente del suo tentativo di ottenere l'ombra della Tintora (che era macchiata di sangue) e pronuncia un discorso veramente umanista. Nella prova finale, di fronte a Keikobad (che non appare né canta mai), dopo un lungo calvario, rifiuta di bere da una fontana d'oro che le avrebbe portato l'ombra della Tintora e salvato l'Imperatore: "Ich will nicht!" ("Non lo farò!"), grida l'Imperatrice. In seguito, ottiene l'ombra, l'Imperatore viene salvato e Barak e sua moglie si riuniscono.

Più che alla fertilità, l'ombra è legata alla possibilità di portare frutto, di lasciare tracce (o ombre) nel mondo. Più in generale, l'ombra rappresenta la condizione umana: l'Imperatrice acquisisce l'ombra quando si umanizza, quando arriva a comprendere il dramma e la sofferenza umana attraverso Barak e sua moglie, cosa che il marito, che sapeva essere solo un amante e un cacciatore, non era riuscito a trasmettere.

Oltre ai nascituri, le cui voci si sentono più volte nel corso dell'opera, è forte anche la figura paterna. Se Elektra, primo frutto della collaborazione Strauss-Hofmannsthal, inizia con il tema di Agamennone, Die Frau inizia con quello di Keikobad. Entrambi i temi sono brevi e gravi. In entrambe le opere, i rispettivi padri (Agamennone e Keikobad) non compaiono mai, ma sono sempre presenti, soprattutto nella musica, e le rispettive figlie si rivolgono sempre a loro. Inoltre, Keikobad è uno dei pochi personaggi con un nome nell'opera; l'altro è Barak, che sogna di diventare padre.

Va inoltre ricordato che, come ha sottolineato Hofmannsthal nella sua lettera a Strauss, pur essendo un'opera romantica nella tradizione romantica, l'opera è anche un prodotto del suo tempo. Die Frau fu composta in un periodo turbolento, durante la Prima Guerra Mondiale. Non è un caso, quindi, che aspiri all'unità, alla comprensione e all'umanizzazione.

Due mondi si uniscono sul palcoscenico
Non avrei potuto sperare in qualcosa di meglio o di più adatto della nuova produzione di David Bösch che ho visto a Dresda. Con le bellissime scenografie di Patrick Bannwart, Bösch ci ha portato tra il mondo etereo degli spiriti e quello concreto di Barak e sua moglie, con i colori e le sostanze tossiche usate dal tintore. Nella prima scena, vediamo l'Imperatore, l'Imperatrice e la Nutrice in un ambiente indefinito, senza colori, in toni bianchi, con tende bianche e qualche proiezione (qualche ombra), quasi senza mobili, solo un letto. In uno dei momenti più belli e commoventi dello spettacolo, quando il falco arriva piangendo per avvertire l'Imperatrice che il suo tempo è scaduto, "Wie soll ich denn nicht weinen?" (Come posso non piangere?), non vediamo un falco: mentre ascoltiamo in disparte il bellissimo canto di Lea-Ann Dunbar, vediamo cadere delle piume, come se fossero la materializzazione delle lacrime. L'enorme falco compare solo in un secondo momento, ed è proprio questo gigantesco uccello meccanico, a mio avviso, l'unico elemento estetico della produzione che spicca.

Una specie di ascensore collega i due mondi e non è un caso che questo ascensore serva sia da casa del falco sia da ingresso alla casa di Barak. Così l'Imperatrice e la Nutrice vengono trasportate nel mondo degli uomini. Come indicato nel libretto, nella casa in cui vivono Barak e sua moglie, i mobili sono mescolati con materiali per la tintura. La casa è divisa a metà, una camera doppia con due stanze. A sinistra, una lavatrice, una poltrona e un televisore; a destra, la camera da letto. Più avanti, un barile etichettato come "tossico". Quando questo barile viene aperto, esce un po' di fumo. Gli oggetti si muovono magicamente dentro e fuori, mescolando la tossicità del mondo reale con quella della magia della tata. Da questa vasca escono bambole che simboleggiano i bambini che verranno, ed è in questa vasca che la Tintora, quando rinuncia alla maternità, getta le stesse bambole.

La rappresentazione dei sogni della Tintora, nei momenti in cui si lascia trasportare dalle illusioni della Nutrice, è molto efficace. L'illuminazione di Fabio Antocitrasforma l'atmosfera. Dallo stesso ascensore che trasportava l'Imperatrice e la Nutrice, emergono uomini seminudi, alcuni piumati, persino grotteschi, costumi molto carnali, nulla che, come nel racconto di Peter Schlemihl, rappresentasse l'ascesa sociale. È il sogno a portata di mano della mente della Tintora: un sogno impossibile che assomiglia a un programma che ha visto alla televisione di casa.

Nel terzo atto, quando l'Imperatrice viene sottoposta alla prova finale, vediamo un'ambientazione incolore ed eterea, tipica del mondo degli spiriti. L'ambiente circostante, tuttavia, è popolato dalle strutture metalliche di carrelli vuoti. Un oggetto che spicca in tutto lo spettacolo è il paio di guanti gialli indossati dalla Tintrice. Si tratta di un importante equipaggiamento protettivo nel suo lavoro manuale di tintrice, che la protegge dalle sostanze tossiche. L'Imperatrice si impossessa di questi guanti (l'ombra?) e li indossa per la prova finale.

I costumi di Moana Stemberger hanno contribuito a contrastare la leggerezza del mondo degli spiriti - in particolare quello dell'Imperatrice - con il mondo concreto della coppia di tintori. Mentre l'abito dell'Imperatrice era leggero e arioso, i vestiti di Barak e di sua moglie erano fatti di materiali più pesanti e rustici.

Bösch non si spinge fino a cambiare il finale dell'opera; sarebbe ingiusto accusarlo di questo. Tuttavia, il regista non ignora il fatto che la Nutrice è stata condannata a vagare nel mondo degli uomini. Come il cherubino cacciato dal cielo, viene per causare divisione. Questo è ciò che le vediamo fare alla fine dell'opera. Accompagnati da una bella musica, le due coppie stanno festeggiando il lieto fine quando appare la Nutrice, che divide le due parti della casa e, con lei, le coppie: Barak e l'Imperatrice vanno da una parte, l'Imperatore e la Tintora vanno dall'altra. Alla fine rimane solo la Nutrice, in un'atmosfera vuota, eterea, incolore, simile a quella in cui era iniziata l'opera.

Questo finale è ancora più impressionante quando si ha a disposizione un'interprete del calibro dell'eccellente mezzosoprano tedesco Evelyn Herlitzius come Nutrice. È stata la migliore interprete sul palco. E non è cosa da poco, visto che era circondata da giganti. Oltre a essere scenicamente perfetta, impressionante - ha dominato il palco - la Herlitzius sa come gestire il colore della sua voce. La sua voce era calda e imponente, leggera e seducente, e cambiava colore a seconda dell'intonazione. Il suo canto era preciso, anche con gli acuti oltraggiosi di cui Strauss ha dotato il mezzosoprano nell'ultimo atto. Ha affrontato perfettamente un ruolo che copre un'ampia gamma di tessiture e presenta serie sfide armoniche. La sua Nutrice sa come sedurre e manipolare gli altri personaggi, tranne il messaggero di Keikobad, molto ben interpretato da Andreas Bauer Kanabas, sul quale la Nutrice non ha alcun potere.

La Tintora fu ispirato dalla moglie di Richard Strauss, Pauline. Hofmannsthal esplicitò l'idea addirittura in una lettera a Strauss: "Come modello per una delle donne, potremmo anche, in tutta discrezione, prendere tua moglie". Lotte Lehmann, che creò il ruolo della Nutrice, nel suo interessante libro Cinque opere e Richard Strauss, ci racconta che Pauline era una persona sveglia, dalla lingua caustica, che si comportava come un'arpia. Per quanto grande fosse la fama di suo marito, Pauline disse chiaramente che egli non era altro che un contadino e che la sua musica non era neanche lontanamente paragonabile a quella di Massenet. Tutto questo, però, non colpì Strauss, che si limitò a sorridere. Lehmann racconta che le disse che tutta l'ammirazione del mondo contava meno per lui di un semplice scoppio d'ira di Pauline.

Miina-Liisa Värelä interpreta una Tintora i cui nervi si infiammano nel corso dell'opera, man mano che la scrittura musicale di Strauss la porta a un livello superiore. Il suo personaggio è interessante proprio perché non ha nulla di fumettistico e si evolve visibilmente: è una donna normale, con le sue frustrazioni, che vive con un uomo che è il suo amante e la mantiene, ma non mostra alcuna emozione; guidata dalla Nutrice, esteriorizza questa insoddisfazione e poi diventa fredda, la sua lingua più tagliente e la sua voce potente più incisiva.

Sebbene sia chiaro che Barak non si ispira a Richard Strauss, reagisce allo stesso modo agli attacchi della donna, non si scompone troppo e sembra addirittura trarne un certo piacere. Oleksandr Pushniak è stato un eccellente Barak, sia dal punto di vista scenico sia da quello vocale: sensibile, con una voce attraente e per nulla caricaturale. La sua postura corporea, anche quando non canta, trasmette l'inquieta tranquillità del personaggio.

L'Imperatore ha un ruolo relativamente piccolo, ma i suoi sono i versi più belli, lirici e melodiosi dell'opera. Il meraviglioso canto del tenore americano Eric Cutler mi risuona ancora nelle orecchie. Un timbro brillante e potente, un canto legato e appassionato con un fraseggio perfetto.

"Il Tintore e la Tintora sono senza dubbio i personaggi più forti, ma non sono quelli che contano: il loro destino è subordinato a quello dell'Imperatrice", scriveva Hofmannsthal a Strauss il 25 luglio 1914. Pochi giorni dopo, in un'altra lettera, insisteva: "Vorrei attirare la sua attenzione sul personaggio dell'Imperatrice. Non ha quasi testo [nei primi due atti] eppure è il personaggio principale (...) È umanizzata, questo è il nocciolo dell'opera; è lei, la donna senza ombra, e non l'altra (...) Per tutto il tempo una luce spirituale si diffonde da lei (...)".

Il ruolo dell'Imperatrice è una sfida per i soprani. All'inizio del primo atto, l'Imperatrice, non ancora pienamente incarnata, ha un canto più etereo, con una bella coloratura. Si tratta, insomma, di un canto lirico da soprano di coloratura. Nel terzo atto, questo canto diventa più drammatico, con un diritto al melodramma espressivo, quando il canto lascia il posto a un testo parlato. L'eccellente Camilla Nylund, imperatrice di grande esperienza, ha lasciato che la sua voce fluttuasse leggermente nella prima scena, producendo una bella coloratura. Tuttavia, è stato nel terzo atto, nel grande atto dell'Imperatrice, che ha dimostrato perché è considerata una delle migliori cantanti di oggi. Oltre a esibire un canto memorabile, soprattutto nel suo addio alla Nutrice, la Nylund è stata impeccabile dal punto di vista drammatico. Nel melodramma, il suo testo parlato è culminato in un "Ich will nicht!" degno di una pietra miliare finale di tutte le prove e le tentazioni che stava attraversando. La sua incarnazione, la sua umanizzazione, potevano essere seguite per tutta l'opera.

Inutile dire che sia il Coro dell'Opera di Stato di Dresda che il Coro di voci bianche dell'Opera di Stato di Dresda erano eccellenti, preparati rispettivamente da André Kellinghaus e Claudia Sebastian-Bertsch.

Nella sua ultima produzione come direttore principale della prestigiosa Staatskapelle Dresden, Thielemann era in stato di grazia. Il direttore ha optato per una lettura che enfatizzava i dettagli e gli assoli, abbondanti nella partitura. La grande massa orchestrale era intensa, ma delicata e trasparente. Questo è essenziale in un'opera come Die Frau, dove parte della storia è raccontata dall'orchestra, dai temi che si susseguono, e uno dei temi raffigura la trasparenza. Di particolare rilievo è stato l'impeccabile assolo di violoncello che ha introdotto la scena dell'Imperatore nel secondo atto.

In un'altra lettera a Strauss, parlando dell'opera che stava nascendo, Hofmannsthal la definì "il ricco dono di un'ora ispirata". Questo è ciò che la Semperoper di Dresda ha presentato; questo è stato il regalo che ha fatto al suo pubblico; questo è stato il modo ispirato in cui Thielemann si è congedato da questa storica buca. Sono state tre ore di opera ispirata e indimenticabile. Ora possiamo solo sperare che questa nuova produzione venga pubblicata in video.


La sombra del doble

por Fabiana Crepaldi

Mayo 13, 2024. Die Frau ohne Schatten (La mujer sin sombra), la cuarta ópera de Richard Strauss y Hugo von Hofmannsthal, es fascinante. Teniendo en cuenta su belleza y la pasión que despierta en el público, se representa mucho menos de lo que debería en el continente americano. Hay una razón para ello: para ponerla en escena, se necesita una buena y gran orquesta (con 176 músicos y buenos solistas instrumentales); un gran concertador, que sepa extraer un sonido claro; un director que no sea reacio a poner en escena un cuento, sin querer convertirlo en algo duro y realista; y cinco solistas vocales de primer orden, capaces de encarnar sus papeles y cantar los matices, los agudos y superar los escollos que Strauss les reserva constantemente. La Semperoper de Dresde ofreció todo esto en su nueva producción.

Die Frau… fue la ópera elegida por el excelente Christian Thielemann, una autoridad en la música de Strauss, para despedirse de su puesto como director de la Semperoper de Dresde. Fue una gran oportunidad para verle en acción. La sombra a la que se refiere el título es un símbolo clásico del doble y de la maternidad, y los dos significados se funden en la ópera.

En el Nuevo Testamento, cuando el ángel anuncia a María que concebiría, le dijo que el Señor la envolvería con su sombra. En la literatura (y en la ópera), la ausencia (o pérdida) de la sombra, de esta conexión con la Tierra, suele asociarse a la incapacidad de tener hijos.

En su libro El doble: un estudio psicoanalítico, publicado en 1925, el psicoanalista austriaco Otto Rank se refiere a la sombra como un símbolo del doble. No es casualidad, pues, que el doble esté ya en la estructura de Die Frau ohne Schatten. Como escribió Hofmannsthal en una carta a Strauss, la ópera es a la vez «romántica a la antigua usanza y una obra que solo podía haber nacido en nuestro tiempo, real y simbólica».

También trata de dos mundos, el de los espíritus (que no tienen sombra) y el de los seres humanos (concretos, carnales, que proyectan una sombra). Cuenta la historia de dos parejas que tienen que pasar por algunas etapas de aprendizaje y algunas pruebas para llegar a una etapa de madurez y complicidad.

Die Frau… sigue el modelo de Die Zauberflöte, de Mozart, en la que dos parejas de naturalezas diferentes —Tamino y Pamina; Papageno y Papagena— tienen que pasar por pruebas. En Die Frau, una de las parejas es muy humana, vive una vida dura con problemas muy reales (Barak, el bueno y paciente tintorero, y su temperamental esposa); y la otra vive en una especie de plano intermedio entre el mundo de los espíritus y el de los hombres (el Kaiser, Emperador, humano, y la Kaiserin, Emperatriz, que no tiene sombra y es hija de Keikobad, el señor del mundo de los espíritus).

En la primera pareja, los tintoreros parecen haberse perdido; en la segunda, el Emperador y la Emperatriz no parecen haberse encontrado aún. Los hombres de estas dos parejas están anclados en el pasado. Aunque Barak concentra todas sus energías en el trabajo, la vida cotidiana y el sustento de su familia, está apegado a la imagen de su padre, de la casa paterna, y ha asumido la responsabilidad de cuidar de sus hermanos, como hacía su padre, y sueña con tener una familia numerosa.

El Emperador, por su parte, encontró a su esposa en forma de gacela blanca cuando cazaba con la ayuda de su halcón rojo. En cuanto la capturó, se transformó en mujer. Y el Emperador revive esta historia a lo largo de toda la ópera: tanto en el libreto como en la música, es un tema recurrente, caracterizado por una melodía lírica y apasionada, uno de los pasajes más bellos jamás escuchados en una ópera.

Además: el Emperador solo sabe ser amante y cazador; Barak, amante y proveedor. En consecuencia, la Emperatriz no puede humanizarse plenamente, no tiene sombra, y el Tintorero, aunque tiene sombra, no puede extraer los frutos de su condición humana.

Hay un quinto personaje que se mueve entre los dos mundos, que forma un par con la Emperatriz: la Nodriza que acompaña a la Emperatriz, que debe cuidarla. La Nodriza procede del mundo de los espíritus: es, a su manera, fiel a la Emperatriz y repudia a los hombres. Es una especie de fusión entre la Reina de la Noche y un Mefistófeles manipulador, un demonio que quiere separar a la Emperatriz de los seres humanos, que quiere que vuelva al mundo de los espíritus.

El conflicto central es una maldición que pesa sobre la pareja Emperador-Emperatriz: si la Emperatriz no consigue una sombra en el plazo de doce lunas, tendrá que volver con su padre al mundo de los espíritus, y el Emperador —que está fracasando en su intento de encarnarla— se convertirá en piedra. Tres días antes de que venza el plazo, el halcón viene a recordar a la Emperatriz la maldición y, con la ayuda de su Nodriza, parte hacia el mundo de los humanos para conseguir la sombra de una mujer. Ambos conocen al Tintorero y a la Tintorera. La Tintorera no está contenta con su vida, especialmente con la presencia de los tres hermanos de Barak en su casa. Es presa fácil para la Nodriza, que la convence para que cambie su sombra por un mundo de ilusiones.

La pérdida de la sombra es un tema presente en la literatura del siglo XIX. Uno de los principales ejemplos es el personaje que da título a La maravillosa historia de Peter Schlemihl, de Adelbert von Chamiso. Pobre y despreciado por la sociedad, Schlemihl es seducido por un misterioso hombre de gris (¡el diablo, por supuesto!), y acaba aceptando renunciar a su sombra a cambio de una riqueza que nunca se acabará. El problema es que, sin su sombra, su riqueza no sirve de nada, porque es repudiado y pesa sobre él una maldición. Cuando se enamora, el padre de la novia le da tres días para encontrar una sombra, cosa que no consigue y acaba perdiendo a la novia.

Otro ejemplo es Anna, del poema de Nicolaus Lenau que, según su título, se basa en una leyenda sueca. Al ver su imagen reflejada en el lago, Anna queda deslumbrada por su propia belleza y no quiere que nada la estropee: un caso clásico de narcisismo. Antes de casarse, Anna buscó a una vieja hechicera e intercambió su sombra, vinculada a la capacidad de tener hijos, por la conservación de su bella imagen. Tenía siete hijos por nacer. Durante el hechizo, el viento sopló el molino siete veces y, cada vez, Anna oyó el murmullo de uno de esos niños que ya no vendría al mundo.

Además del poema de Anna, sombra y reflejo aparecen juntos en el cuento Las aventuras de San Silvestre Nocturno (también conocido como El reflejo perdido), de E. T. A. Hoffmann. En el cuento, Erasmus Spikher, que ha entregado su reflejo a una cortesana que no era más que un instrumento del diablo, es repudiado por su familia y la sociedad. Vaga en busca de un reflejo y conoce a Peter Schlemihl. En la historia, pues, se encuentran el hombre sin reflejo y el hombre sin sombra. Ambos tienen algo en común: han perdido parte de su personalidad, se han dejado dividir por el diablo (el que divide).

Schlemihl cambió la sombra por la riqueza, por la promesa de una vida cómoda; Anna cambió la sombra por su reflejo narcisista y egocéntrico. Die Frau ohne Schatten sigue la misma línea: ofreciendo a la Tintorera un espejo (que ella no tenía) y sumergiéndola en un mundo de ilusiones, con derecho a un amante fantasmal, que no es más que la proyección de sus propios deseos, la Nodriza propone a la Tintorera vender su sombra por esa imagen ilusoria de lujo y belleza, que ha podido experimentar durante un breve instante. La Tintorera acepta en el acto: “por la imagen de ese espejo, daré mi alma, mi vida”.

Como Anna en el poema, la Tintorera también oye los murmullos de sus hijos no nacidos. Anna tendría siete hijos, oye el murmullo procedente del molino siete veces; la Tintorera tiene cinco hijos destinados a ella, y los oye a través de los cinco peces en una olla.

La manipulación de la Nodriza distancia aún más a la pareja de tintoreros. En un momento dado, la mujer intenta incluso liberarse de su amante fantasmal, del mundo de las ilusiones. Llama a su marido, pero Barak no entiende, solo entiende el mundo material, la comunicación entre ambos es imposible. La situación culmina cuando la mujer confiesa una infidelidad que en realidad no cometió, y Barak, hasta entonces siempre bueno y paciente, deja de ver su sombra, e incluso amenaza con matarla.

Reforzando el doble en la estructura de la obra, mientras tanto, en una escena musicalmente impresionante, el Emperador siente el olor de los humanos, se da cuenta de que la Emperatriz ha estado con humanos y piensa en matarla, pero no puede, no es capaz.

En ese momento, la Emperatriz, con un fuerte sentimiento de culpa y una profunda empatía por los seres humanos, se arrepiente de su intento de obtener la sombra de la Tintorera (que estaba manchada de sangre), y pronuncia un discurso verdaderamente humanista. En la prueba final, frente a Keikobad (que nunca aparece ni canta), tras una larga prueba, se niega a beber de una fuente dorada que le traería la sombra de la Tintorera y salvaría al Emperador: ‘Ich will nicht!’ (‘¡No quiero!’), grita la Emperatriz. A partir de ese momento, ella obtiene una sombra, el Emperador se salva y Barak y su esposa se reúnen.

Más que a la fecundidad, la sombra está vinculada a la posibilidad de fructificar, de dejar huellas (o sombras) en el mundo. Más ampliamente, la sombra representa la condición humana: la Emperatriz adquiere la sombra cuando se humaniza, cuando llega a comprender los dramas y sufrimientos humanos a través de Barak y su esposa, algo que su marido, que solo sabía ser amante y cazador, no había sabido transmitir.

Además de los niños no nacidos, cuyas voces se oyen varias veces durante la ópera, la figura del padre también es fuerte. Si Elektra, el primer fruto de la colaboración Strauss-Hofmannsthal, comienza con el tema de Agamenón, Die Frau… lo hace con el de Keikobad. Ambos temas son breves y graves. En ambas óperas, los respectivos padres (Agamenón y Keikobad) nunca aparecen, pero están presentes todo el tiempo, especialmente en la música, y sus respectivas hijas siempre se dirigen a ellos. Además, Keikobad es uno de los pocos personajes que tiene nombre en la ópera; el otro es Barak, que sueña con ser padre.

También hay que recordar que, como señalaba Hofmannsthal en su carta a Strauss, a pesar de ser una ópera romántica, con toda la tradición romántica, la obra es también un producto de su tiempo. Die Frau… se compuso en una época turbulenta, durante la Primera Guerra Mundial. No es casualidad, pues, que aspire a la unidad, la comprensión y la humanización.

Dos mundos se conectan en el escenario
No podía esperar nada mejor ni más adecuado que la nueva producción de David Bösch que vi en Dresde. Con los bellos decorados de Patrick Bannwart, Bösch nos llevó entre el mundo etéreo de los espíritus y el mundo concreto de Barak y su mujer, con los colores y las sustancias tóxicas que utiliza el tintorero. En la primera escena, vemos al Emperador, la Emperatriz y la Nodriza en un entorno indefinido, sin colores, en tonos blancos, con cortinas blancas y algunas proyecciones (algunas sombras), casi sin muebles, solo una cama. En uno de los momentos más bellos y conmovedores de la representación, cuando el halcón viene llorando a avisar a la Emperatriz que se ha acabado su tiempo, ‘Wie soll ich denn nicht weinen?’ (¿Cómo no voy a llorar?), no vemos un halcón: mientras oímos de soslayo el hermoso canto de Lea-Ann Dunbar, vemos caer plumas, como si fueran la materialización de lágrimas. El enorme halcón no aparece sino hasta más tarde, y es este enorme halcón mecánico, en mi opinión, el único elemento que destaca de la estética de la producción.

Una especie de ascensor conecta los dos mundos, y no es casualidad que este ascensor sirva a la vez de casa del halcón y de entrada a la casa de Barak. Así se transportan la Emperatriz y la Nodriza al mundo de los hombres. Como se indica en el libreto, en la casa donde viven Barak y su esposa los muebles domésticos se mezclan con materiales para teñir. La casa está dividida por la mitad, una habitación doble con dos estancias. A la izquierda, una lavadora, un sillón y un televisor; a la derecha, el dormitorio. Más adelante, un tonel con la etiqueta «tóxico». Cuando se abre esta cuba, sale un poco de humo. Los objetos entran y salen de ella como por arte de magia, mezclando la toxicidad del mundo real con la de la magia de la Nodriza. De este tonel salen muñecas que simbolizan los niños que están por venir, y es dentro de él donde la Tintorera, cuando renuncia a la maternidad, arroja esas mismas muñecas.

La representación de los sueños de la Tintorera, en los momentos en que se deja llevar por las ilusiones de la Nodriza, es muy eficaz. La iluminación de Fabio Antoci transforma el ambiente. Del mismo ascensor que transportó a la Emperatriz y a la Nodriza salen hombres semidesnudos, algunas plumas, mostrando un vestuario incluso grotesco, muy carnal, nada que, como en la historia de Peter Schlemihl, representase la ascensión social. Era el sueño que estaba al alcance de la mente de la Tintorera: un sueño imposible que se parece a un programa que vio en la televisión de la casa.

En el tercer acto, cuando la Emperatriz se somete a la prueba final, vemos un escenario incoloro y etéreo, típico del mundo de los espíritus. El entorno, sin embargo, está poblado por las estructuras metálicas de carritos vacíos. Un objeto que destaca en toda la representación es el par de guantes amarillos que lleva la Tintorera. Se trata de un importante equipo de protección en su trabajo manual de tintorera, que la protege de las sustancias tóxicas. La Emperatriz se apodera de estos guantes (¿la sombra?) y los lleva a la prueba final.

El vestuario de Moana Stemberger ayudó a contrastar la ligereza del mundo de los espíritus —especialmente el de la Emperatriz— con el mundo concreto de la pareja de tintoreros. Mientras que el vestido de la Emperatriz era ligero y vaporoso, las ropas de Barak y su esposa estaban confeccionadas con materiales más pesados y rústicos.

Bösch no llega a cambiar el final de la ópera; sería injusto acusarle de ello. Sin embargo, el director no ignora el hecho de que la Nodriza ha sido condenada a vagar por el mundo de los hombres. Como el querubín expulsado del cielo, viene a causar división. Esto es lo que la vemos hacer al final de la ópera. Acompañadas por una bella música, las dos parejas están celebrando el lieto fine cuando aparece la Nodriza, divide las dos partes de la casa y, con ella, a las parejas: Barak y la Emperatriz van por un lado, el Emperador y la Tintorera van por otro. Al final, solo queda la Nodriza, en un ambiente vacío, etéreo, incoloro, similar a aquel en el que comenzó la ópera.

Este final es aún más impactante cuando se cuenta con una intérprete del calibre de la excelente mezzosoprano alemana Evelyn Herlitzius como la Nodriza. Ella fue la mejor artista en escena. Y esto no es poco, porque estaba rodeada de gigantes. Además de ser escénicamente perfecta, impactante —dominaba el palco—, Herlitzius sabe manejar el color de su voz. Su voz era cálida y autoritaria, ligera y seductora, y cambiaba de color según su entonación. Su canto fue preciso, incluso con las escandalosas notas agudas con las que Strauss dotó a la mezzosoprano en el último acto. Se enfrentó perfectamente a un papel que cubre una amplia gama de tesituras y presenta serios retos armónicos. Su Nodriza sabe seducir y manipular a los demás personajes, excepto al mensajero de Keikobad, muy bien interpretado por Andreas Bauer Kanabas, sobre el que la Nodriza no tiene ningún poder.

La Tintorera se inspiró en Pauline, la esposa de Richard Strauss. Hofmannsthal llegó a explicitar la idea en una carta a Strauss: «Como modelo para una de las mujeres, bien podríamos, con toda discreción, tomar a su esposa». Lotte Lehmann, que creó el papel de la Nodriza, nos cuenta en su atractivo libro Cinco óperas y Richard Strauss, que Pauline era una persona de ingenio rápido y lengua cáustica, que se comportaba como una arpía. Por grande que fuera la fama de su marido, Pauline dejaba claro que él no era más que un campesino y que su música no se acercaba ni de lejos a la de Massenet. Sin embargo, nada de esto afectaba a Strauss, que se limitaba a sonreír. Lehmann cuenta que él le dijo que toda la admiración del mundo le importaba menos que un simple arrebato de ira de Pauline.

Miina-Liisa Värelä interpreta a una Tintorera cuyos nervios se van inflamando a lo largo de la ópera, a medida que la escritura musical de Strauss la lleva a un tono más alto. Su personaje es interesante precisamente porque no tiene nada de caricaturesco y evoluciona visiblemente: es una mujer normal, con sus frustraciones, que vive con un hombre que es su amante y su proveedor, pero no muestra ninguna emoción; guiada por la Nodriza, exterioriza esta insatisfacción y entonces se vuelve genial, su lengua más afilada y su poderosa voz más incisiva.

Aunque está claro que Barak no se inspira en Richard Strauss, reacciona de la misma manera ante los ataques de la mujer, no se altera demasiado, incluso parece sentir cierto placer. Oleksandr Pushniak fue un excelente Barak, tanto escénica como vocalmente: sensible, con una voz atractiva y nada caricaturesca. Su postura corporal, incluso cuando no cantaba, transmitía la incómoda tranquilidad del personaje.

El Emperador tiene un papel relativamente pequeño, pero suyas son las líneas más bellas, líricas y melodiosas de la ópera. Todavía resuena en mis oídos el maravilloso canto del tenor estadounidense Eric Cutler. Un timbre brillante y poderoso, un canto legato y apasionado con un fraseo perfecto.

«La Tintorera y el Tintorero, son, sin duda, los personajes más fuertes, pero no son los que importan: su destino está subordinado al de la Emperatriz», escribió Hofmannsthal a Strauss el 25 de julio de 1914. Unos días más tarde, en otra carta, insistió: «Quisiera llamar toda su atención sobre el personaje de la Emperatriz. Casi no tiene texto [en los dos primeros actos] y, sin embargo, es el personaje principal (…) Ella se humaniza, ése es el eje de la obra; es ella, la mujer sin sombra, y no la otra (…) Todo el tiempo brota de ella una luz espiritual (…)»

El papel de la Emperatriz es un reto para las sopranos. Al principio del primer acto, la Emperatriz, aún no totalmente encarnada, tiene un canto más etéreo, con bellas coloraturas. Es, en suma, un canto lírico de soprano de coloratura. En el tercer acto, este canto se vuelve más dramático, con derecho a un melodrama expresivo, cuando el canto da paso a un texto hablado. La excelente Camilla Nylund, una experimentada Emperatriz, dejó flotar ligeramente su voz en la primera escena, produciendo bellas coloraturas. Sin embargo, fue en el tercer acto, en el gran acto de la Emperatriz, cuando demostró por qué es considerada una de las mejores cantantes de la actualidad. Además de exhibir un canto memorable, especialmente al despedirse de la Nodriza, Nylund estuvo dramáticamente impecable. En el melodrama, su texto hablado culminó con un ‘Ich will nicht!’ digno de un hito final de todas las pruebas y tentaciones por las que estaba pasando. Su encarnación, su humanización, pudo seguirse a lo largo de toda la ópera.

No es necesario decirlo, pero tanto el Coro como el Coro Infantil de la Ópera de Dresde fueron excelentes, preparados respectivamente por André Kellinghaus y Claudia Sebastian-Bertsch.

En su última producción como director titular de la prestigiosa Staatskapelle de Dresde, Thielemann se encontraba en estado de gracia. El director optó por una lectura que enfatizó los detalles y los solos, abundantes en la partitura. La gran masa orquestal fue intensa, pero delicada y transparente. Esto es esencial en una ópera como Die Frau, en la que parte de la historia es contada por la orquesta, por los temas que se suceden, y uno de los temas retrata la transparencia. Cabe destacar el impecable solo de violonchelo que introdujo la escena del Emperador en el segundo acto.

En otra carta a Strauss, hablando de la obra que estaba naciendo, Hofmannsthal la describió como “el rico regalo de una hora inspirada”. Eso es lo que presentó la Semperoper de Dresde; ese fue el regalo que hizo a su público; esa fue la inspirada forma en que Thielemann se despidió de este histórico foso. Fueron tres horas de ópera inspirada e inolvidable. Ahora nos queda esperar que esta nueva producción se lance en video.


La sombra do duplo

de Fabiana Crepaldi

Die Frau ohne Schatten (A mulher sem sombra), a quarta ópera de Richard Strauss e Hugo von Hofmannsthal, é simplesmente fascinante. Considerando a sua beleza e a paixão que desperta no público, é muito menos executada do que deveria no continente americano. Isso tem um motivo: para colocar Die Frau no palco, é preciso uma boa e grande orquestra (com 176 músicos e bons solistas instrumentais); um ótimo maestro, que saiba extrair uma sonoridade límpida; um encenador que não relute em colocar um conto no palco, sem querer transformá-lo em algo duro e realista; e cinco solistas vocais de primeira grandeza, capazes de encarnar os seus papéis e de cantar as nuances, os agudos e vencer as armadilhas que Strauss constantemente lhes reserva. A Semperoper Dresden ofereceu tudo isso em sua nova produção. No Brasil, essa ópera nunca foi feita, e não é por falta de orquestra: já passou da hora de a OSESP chamar um bom regente, bons solistas e promover a estreia brasileira dessa obra-prima de Strauss, mesmo que semiencenada.

Die Frau foi a ópera escolhida pelo excelente Christian Thielermann, uma autoridade na música de Strauss, para se despedir do seu cargo de regente titular da Semperoper Dresden. Foi uma oportunidade e tanto para vê-lo em ação.

A sombra é um clássico símbolo do duplo e da maternidade, e esses dois sentidos se fundem na ópera. No Novo Testamento, quando o anjo anunciou a Maria que ela iria conceber, disse-lhe que o Senhor a envolveria com sua sombra. Na literatura (e na ópera), a ausência (ou perda) da sombra, dessa conexão com a Terra, é normalmente associada à incapacidade de ter filhos.

Em seu livro O Duplo – um estudo psicanalítico, publicado em 1925, o psicanalista austríaco Otto Rank aponta a sombra como símbolo do duplo. Não é, pois, mero acaso que o duplo esteja já na estrutura de Die Frau ohne Schatten. Como escreveu Hofmannsthal em carta a Strauss, a ópera é, ao mesmo tempo, romântica à moda antiga e uma obra que só poderia ter nascido na nossa época”; real e simbólica”. Além disso, trata de dois mundos, o mundo dos espíritos (que não têm sombra) e o mundo dos seres humanos (concretos, carnais, que projetam sombra). Conta a história de dois casais que precisam passar por algumas etapas de aprendizado e por algumas provas para atingir um estágio de maturidade, de cumplicidade. Die Frau segue o modelo de Die Zauberflöte, de Mozart, na qual dois casais de naturezas diferentes – Tamino e Pamina; Papageno e Papagena – precisam passar por provas.

Em Die Frau, um dos casais é bem humano, vive uma dura vida com problemas bem reais (Barak, o bom e paciente Tintureiro, e sua temperamental esposa); e o outro vive em uma espécie de plano intermediário entre o mundo dos espíritos e o dos homens (o Kaiser, Imperador, humano, e a Kaiserin, Imperatriz, que não tem sombra e é filha de Keikobad, o mestre do mundo dos espíritos). No primeiro casal, os tintureiros parecem ter se perdido; no segundo, Imperador e Imperatriz parecem ainda não ter se encontrado. Os homens desses dois casais vivem presos ao passado. Embora Barak concentre todas as suas energias no trabalho, na vida cotidiana, no sustento da família, está preso à imagem do pai, da casa paterna, tomou para si a responsabilidade de cuidar dos irmãos, como o pai fazia, e sonha ter uma família numerosa. Já o Imperador encontrou a sua esposa na forma de uma gazela branca quando ele estava caçando com a ajuda do seu falcão vermelho. Assim que foi capturada, ela se transformou em mulher. E o Imperador revive essa história durante toda a ópera – tanto no libreto quanto na música, é um tema recorrente, que se caracteriza por uma melodia lírica, apaixonada, uma das passagens mais belas já ouvidas em uma ópera.

Ainda: o Imperador só sabe ser amante e caçador; Barak, amante e provedor. Como consequência, a Imperatriz não consegue se humanizar totalmente, não consegue uma sombra, e a Tintureira, embora tenha sombra, não consegue extrair os frutos dessa sua condição humana.

Há uma quinta personagem que transita entre os dois mundos, que forma uma dupla com a Imperatriz: a Ama que acompanha a Imperatriz, que deve zelar por ela. A Ama vem do mundo dos espíritos: é, à sua maneira, fiel à Imperatriz, e repudia os homens. É uma espécie de fusão entre a Rainha da Noite e um Mefistófeles manipulador, um diabo que quer separar a Imperatriz dos seres humanos, que quer que ela retorne ao mundo dos espíritos.

O conflito central é uma maldição que pairava sobre o casal Imperador-Imperatriz: se em doze luas a Imperatriz não adquirisse uma sombra, ela deveria retornar para junto do pai, no mundo dos espíritos, e o Imperador – que estava falhando em fazer com que ela se encarnasse – se transformaria em pedra. A três dias do término do prazo, o falcão vem lembrar a Imperatriz da maldição, e, com a ajuda de sua Ama, ela parte para o mundo dos humanos a fim de conseguir a sombra de alguma mulher. As duas encontram o Tintureiro e a Tintureira. A Tintureira é infeliz com a vida que leva, sobretudo com a presença dos três irmãos de Barak na casa deles. É uma presa fácil para a Ama, que a convence a trocar a sua sombra por um mundo de ilusões.

A perda da sombra é um tema presente na literatura do século XIX. Um dos principais exemplos é o personagem-título de A História Maravilhosa de Peter Schlemihl, de Adelbert von Chamiso. Pobre e desprezado pela sociedade, Schlemihl é seduzido por um misterioso homem de cinza (o diabo, claro!), e acaba aceitando entregar a sua sombra em troca de uma riqueza que nunca acabará. O problema é que, sem a sombra, a sua riqueza de nada serve, porque ele passa a ser repudiado, é um diferente, em que habita alguma maldição. Quando se apaixona, o pai da noiva lhe dá três dias para que arranje uma sombra – o que ele não consegue e, evidentemente, acaba perdendo a noiva.

Outro exemplo é Anna, do poema de Nicolaus Lenau, que, segundo o título, é baseado em uma lenda sueca. Ao ver a sua imagem refletida no lago, Anna se deslumbra com a própria beleza e deseja que nada estrague essa beleza – um clássico caso de narcisismo. Ao ser pedida em casamento, Anna procura uma velha feiticeira e troca a sua sombra, ligada à capacidade de ter filhos, pela preservação dessa bela imagem. Ela tinha sete filhos não nascidos e esperando para nascer. Durante o feitiço, o vento soprou o moinho por sete vezes e, a cada vez, Anna escutou o murmúrio de um desses filhos que não mais viria ao mundo.

Além da história de Anna, sombra e reflexo aparecem juntos no conto As Aventuras da Noite de São Silvestre (também conhecido como O Reflexo Perdido), de E. T. A. Hoffmann. No conto, Erasmus Spikher, que entregou o seu reflexo a uma cortesã que nada mais era do que um instrumento do próprio diabo, é repudiado pela família e pela sociedade. Passa a vagar em busca de um reflexo e se encontra com Peter Schlemihl. No conto, pois, o homem sem reflexo e o homem sem sombra se encontram. Ambos têm algo em comum: perderam parte das suas personalidades, deixaram-se dividir pelo diabo (aquele que divide).

Schlemihl trocou a sombra por riqueza, pela promessa de uma vida confortável; Anna trocou a sombra pelo reflexo narcisista e egocentrista. Die Frau Ohne Schatten segue na mesma linha: oferecendo um espelho à Tintureira (ela não possuía um), e fazendo-a imergir em um mundo de ilusões, com direito até a um amante fantasmagórico, que nada mais é que a projeção dos seus próprios desejos, a Ama propõe à Tintureira que venda a sua sombra por essa imagem ilusória de luxo e beleza, que ela pôde experimentar por breves instantes. A Tintureira aceita na hora: pela imagem desse espelho, eu darei minha alma, minha vida”.

Como a Anna do poema, a Tintureira também ouve os murmúrios dos filhos que ainda não nasceram. Anna teria sete filhos, ouve sete vezes o murmúrio vindo do moinho; a Tintureira tem cinco filhos destinados a ela, e os ouve por meio dos cinco peixes que estavam em uma panela.

A manipulação da Ama distancia ainda mais o casal de tintureiros. Em um dado momento, a mulher até tenta se libertar do amante fantasmagórico, do mundo de ilusões. Chama o marido, mas Barak nada compreende, ele só entende do mundo material, a comunicação entre os dois é impossível. A situação culmina com a mulher confessando uma infidelidade que, na realidade, não cometeu, e Barak, até então sempre bom e paciente, não vê mais a sua sombra, e chega a ameaçá-la de morte.

Reforçando o duplo na estrutura da obra, nesse meio-tempo, em uma cena musicalmente deslumbrante, o Imperador sente cheiro de humanos, percebe que a Imperatriz esteve com humanos e pensa em matá-la – mas não pode, não é capaz.

A essas alturas, a Imperatriz, com forte sentimento de culpa e profunda empatia pelos seres humanos, se arrepende da tentativa de obter a sombra da Tintureira (que estava manchada de sangue), e faz um verdadeiro discurso humanista. Na prova final, diante de Keikobad (que nunca aparece nem canta), após uma longa provação, ela se recusa a beber de uma fonte dourada que lhe traria a sombra da Tintureira e salvaria o Imperador: Ich will nicht! (Eu não quero!), brada a Imperatriz. A partir desse momento, ela ganha uma sombra, o Imperador se salva, e Barak e sua mulher se reencontram.

Mais que à fertilidade, a sombra está ligada à possibilidade de gerar frutos, de deixar marcas (ou sombras) no mundo. De forma mais abrangente, a sombra representa a condição humana: a Imperatriz adquire a sombra quando se humaniza, quando passa a entender os dramas e os sofrimentos humanos por meio de Barak e sua esposa – algo que o marido, que sabia apenas ser amante e caçador, não havia conseguido transmitir.

Além dos filhos que estão por nascer, cujas vozes são ouvidas diversas vezes durante a ópera, a figura do pai também é forte. Se Elektra, o primeiro fruto da parceria Strauss-Hofmannsthal, começa com o tema de Agamemnon, Die Frau começa com o de Keikobad. Ambos os temas são curtos e graves. Em ambas as óperas, os respectivos pais (Agamemnon e Keikobad) nunca aparecem, mas estão presentes o tempo todo, sobretudo na música, e suas respectivas filhas sempre se dirigem a eles. Além disso, Keikobad é um dos poucos personagens que têm nome na ópera – o outro é Barak, que sonha em ser pai.

É preciso lembrar ainda que, como observou Hofmannsthal em sua carta a Strauss, apesar de ser uma ópera romântica, com toda a tradição romântica, a obra é, também, fruto da sua época. Die Frau foi composta em uma época conturbada, durante a Primeira Guerra Mundial. Não é por acaso, pois, essa aspiração pela união, pela compreensão, pela humanização.

Dois mundos se conectam no palco

Eu não poderia esperar nada melhor e mais adequado do que a nova produção de David Bösch que vi em Dresden. Com os belos cenários de Patrick Bannwart, Bösch nos fez transitar entre o mundo etéreo dos espíritos e o mundo concreto de Barak e sua mulher, com as cores e substâncias tóxicas usadas pelo tintureiro. Na primeira cena, vemos o Imperador, a Imperatriz e a Ama em um ambiente não definido, sem cores, em tons de branco, com cortinas brancas e algumas projeções (algumas sombras), quase sem mobília – apenas uma cama. Em um dos momentos mais belos e tocantes da encenação, quando o falcão chega para avisar à Imperatriz que o seu tempo está acabando, e ela ouve o seu choro, não vemos um falcão: enquanto ouvimos, vindo da lateral, o belo canto de Lea-ann Dunbar, vemos penas caindo, como se fossem a materialização de lágrimas. O falcão, enorme, só aparecerá mais tarde – e é esse falcão mecânico enorme, a meu ver, o único elemento que destoa da estética da produção.

Uma espécie de elevador faz a conexão entre os dois mundos – e não por acaso, esse elevador serve, também, tanto como a casa do falcão quanto como a entrada da casa de Barak. É assim que a Imperatriz e a Ama são transportadas para o mundo dos homens. Como indicado no libreto, na casa onde vivem Barak e a esposa, à mobília doméstica se misturam os materiais da tinturaria. A casa era dividida ao meio, um ambiente duplo, com dois cômodos. Do lado esquerdo, uma máquina de lavar roupa, uma poltrona e um televisor; do lado direito, o dormitório. Logo à frente, um tonel escrito “tóxico”. Quando esse tonel é aberto, sai um pouco de fumaça. Nele entram e saem objetos como em forma de magia, mesclando a toxicidade do mundo real com a das magias da Ama. É desse tonel que saem bonecas, simbolizando os filhos ainda por vir, e é nele que a Tintureira, quando renuncia à maternidade, joga essas mesmas bonecas.

A representação dos sonhos da Tintureira, nos momentos em que ela é levada pelas ilusões da Ama, é bastante eficiente. A iluminação de Fabio Antoci transforma o ambiente. Do mesmo elevador que transportou a Imperatriz e a Ama saem homens seminus, algumas plumas, mostrando uma fantasia até meio grotesca, bem carnal – nada que, como na história de Peter Schlemihl, representasse ascensão social. Era o sonho que estava ao alcance da mente da Tintureira: um sonho impossível que parece um show que ela viu na televisão presente na casa.

No terceiro ato, quando a Imperatriz passa pela prova final, vemos um cenário sem cores, etéreo, típico do mundo dos espíritos. O ambiente, contudo, é povoado por estruturas metálicas de carrinhos vazios.

Um objeto que ganha destaque ao longo da representação é o par de luvas amarelas usado pela Tintureira. Elas são um importante equipamento de proteção no trabalho manual da Tintureira, são elas que a protegem das substâncias tóxicas. A Imperatriz se apossa dessas luvas (a sombra?) e as carrega até a prova final.

Os figurinos de Moana Stemberger ajudaram a contrastar a leveza do mundo dos espíritos – sobretudo da Imperatriz – com o mundo concreto do casal de tintureiros. Se o vestido da Imperatriz era leve e esvoaçante, as vestimentas de Barak e sua mulher eram feitas de tecidos mais pesados, mais rústicos.

Bösch não chega a mudar o fim da ópera – seria injusto acusá-lo disso. O encenador, contudo, não ignora o fato de que a Ama foi condenada a vagar pelo mundo dos homens. Como o querubim expulso do céu, ela vem causar divisões. É isso o que a vemos fazendo ao término da ópera. Acompanhados por bela música, os dois casais estão comemorando o lieto fine quando surge a Ama, divide as duas partes da casa e, com ela, os casais: Barak e a Imperatriz vão para um lado, o Imperador e a Tintureira, para o outro. No final, sobra somente a Ama, em um ambiente vazio, etéreo, sem cores, semelhante àquele em que a ópera começou.

Esse final fica ainda mais impactante quando se tem, como a Ama, uma intérprete do calibre da excelente mezzosoprano alemã Evelyn Herlitzius. Foi ela a maior artista sobre o palco. E isso não é pouca coisa, porque ela estava rodeada por gigantes. Além de cenicamente perfeita, impactante – ela dominou a cena –, Herlitzius sabe manejar com maestria o colorido da sua voz. Uma voz ora quente e autoritária, ora leve e sedutora, que ia mudando de cor conforme a entonação. Um canto preciso, inclusive com os escandalosos agudos com os quais Strauss presenteou a mezzosoprano no último ato. Enfrentou com perfeição um papel que abrange um largo intervalo de tessitura e que apresenta sérios desafios harmônicos. Sua Ama sabe seduzir e manipular os demais personagens – exceto o mensageiro de Keikobad, muito bem interpretado por Andreas Bauer Kanabas, sobre o qual a Ama não tem poder algum.

A Tintureira foi inspirada em Pauline, esposa de Richard Strauss. Hofmannsthal chegou mesmo a explicitar a ideia em carta para Strauss: como modelo para uma das mulheres, podemos muito bem, com toda a discrição, tomar sua esposa”. Lotte Lehmann, que criou o papel de Tintureira, conta, em seu envolvente livro Five Operas and Richard Strauss, que Pauline era uma pessoa com inteligência ágil e língua cáustica, que se comportava como uma megera. Por maior que fosse a fama do marido, Pauline fazia questão de deixar claro que ele não passava de um camponês e que a sua música não chegava perto da de Massenet. Nada disso, no entanto, afetava Strauss, que apenas sorria. Lehmann conta que ele lhe disse que toda a admiração do mundo lhe interessava menos que um único ataque de fúria de Pauline.

Miina-Liisa Värelä faz uma Tintureira cujos nervos vão se inflamando ao longo da ópera, conforme a escrita musical de Strauss a leva para uma tessitura mais aguda. Sua personagem é interessante justamente porque não tem nada de caricato, e evolui visivelmente: ela é uma mulher normal, com as suas frustrações, que vive com um homem que é amante e provedor, mas não esboça nenhuma emoção; guiada pela Ama, ela vai externando essa insatisfação e, aí sim, vai se tornando geniosa, a sua língua fica mais afiada, e a sua potente voz, mais incisiva.

Embora claramente Barak não seja inspirado em Richard Strauss, ele reage da mesma forma aos ataques da mulher, não se abala muito, parece até sentir algum prazer com aquilo. Oleksandr Pushniak foi um ótimo Barak, tanto cênica quanto vocalmente: sensível, com voz envolvente e nada caricato. Sua postura corporal, mesmo quando não estava cantando, já transmitia essa tranquilidade desajeitada do personagem.

O Imperador tem um papel relativamente pequeno, mas são dele as linhas mais bonitas, mais líricas, mais melodiosas da ópera. Ainda soa nos meus ouvidos o maravilhoso canto do tenor americano Eric Cutler! Um timbre brilhante, poderoso; um canto legato e apaixonado, com fraseado perfeito.

A Tintureira, o Tintureiro, são, sem dúvida, os personagens mais fortes, mas não são eles que importam: seu destino está subordinado ao da Imperatriz”, escreveu Hofmannsthal a Strauss em 25 de julho de 1914. Poucos dias mais tarde, em outra carta, ele insistiu: Eu gostaria de chamar toda a sua atenção para o personagem da Imperatriz. Ela quase não tem texto [nos dois primeiros atos] e, no entanto, é o principal personagem. (…) Ela se torna humana, esse é o pivô da peça; é ela, a mulher sem sombra, e não a outra. (…) O tempo todo brota dela uma luz espiritual (…)”.

O papel da Imperatriz é um desafio para as sopranos. No início do primeiro ato, a Imperatriz, ainda não totalmente encarnada, tem um canto mais etéreo, com belas coloraturas. É, em resumo, um canto de soprano lírico coloratura. No terceiro ato, esse canto se torna mais dramático, com direito a um expressivo melodrama – quando o canto dá lugar a um texto falado. A ótima Camilla Nylund, uma experiente Imperatriz, deixou a sua voz flutuar levemente na primeira cena, produzindo belas coloraturas, sobretudo no dia 30. Foi no terceiro ato, no entanto, no grande ato da Imperatriz, que ela mostrou por que é considerada uma das melhores cantoras da atualidade. Além de exibir um canto memorável, especialmente quando se despedia da Ama, Nylund foi dramaticamente impecável. No melodrama, seu texto falado culminou em um “Ich will nicht!” digno de um marco final de todas as provas e tentações que estava atravessando. Sua encarnação, sua humanização, pôde ser acompanhada ao longo da ópera.

É até desnecessário falar, mas são excelentes tanto o Coro quanto o Coro Infantil da ópera de Dresden, preparados, respectivamente, por André Kellinghaus e Claudia Sebastian-Bertsch.

Em sua última produção como maestro titular da excelente Staatskapelle de Dresden, Christian Thielemann estava em estado de graça. O maestro optou por uma leitura que valorizou os detalhes e os solos, abundantes na partitura. A grande massa orquestral foi intensa, mas delicada e transparente. Isso é essencial em uma ópera como Die Frau, na qual parte da história é contada pela orquestra, pelos temas que se sucedem, e um dos temas retrata, justamente, a transparência. É digno de destaque o impecável solo de violoncelo que introduziu a cena do Imperador, no segundo ato.

Em carta a Strauss, ao falar sobre a obra que estava nascendo, Hofmannsthal a qualificou como o rico presente de uma hora inspirada”. Foi isso o que a Semperoper Dresden apresentou, foi esse presente que entregou ao seu público, foi dessa forma inspirada que Thielemann se despediu desse fosso histórico. Foram três horas de ópera inspiradas e inesquecíveis.

Agora é torcer para que essa nova produção seja lançada em vídeo!

 


The Shadow of the double

by Fabiana Crepaldi

Die Frau ohne Schatten ( The Woman Without a Shadow ) , the fourth opera by Richard Strauss and Hugo von Hofmannsthal, is simply fascinating. Considering its beauty and the passion it awakens in the public, it is much less performed than it should be on the American continent. This is for a reason: to putDie Frau on stage, you need a good, big orchestra (with 176 musicians and good instrumental soloists); a great conductor, who knows how to extract a clear sound; a director who is not reluctant to put a story on stage, without wanting to transform it into something harsh and realistic; and five top-notch vocal soloists, capable of embodying their roles and singing the nuances, the high notes and overcoming the traps that Strauss constantly reserves for them. SemperoperDresden has offered all of this in its new production. In Brazil, this opera has never been made, and it is not for lack of an orchestra: it is past time for OSESP to call a good conductor, good soloists and promote the Brazilian premiere of this masterpiece by Strauss, even if semi-staged.

Die Frau was the opera chosen by the excellent Christian Thielermann , an authority on Strauss's music, to say goodbye to his position as principal conductor of the Semperoper Dresden. It was quite an opportunity to see him in action.

The shadow is a classic symbol of the double and motherhood, and these two meanings merge in the opera. In the New Testament, when the angel announced to Mary that she would conceive, he told her that the Lord would overshadow her. In literature (and opera), the absence (or loss) of the shadow, of this connection to the Earth, is usually associated with the inability to have children.

In his book The Double – a psychoanalytic study , published in 1925, the Austrian psychoanalyst Otto Rank points to the shadow as a symbol of the double. It is, therefore, no mere chance that the double is already in the structure of Die Frau ohne Schatten . As Hofmannsthal wrote in a letter to Strauss, the opera is, at the same time, romantic in the old fashion and a work that could only have been born in our time” ; real and symbolic” . Furthermore, it deals with two worlds, the world of spirits (who have no shadow) and the world of human beings (concrete, carnal, who cast shadows). It tells the story of two couples who need to go through some learning stages and some tests to reach a stage of maturity, of complicity. Die Frau follows the model of Die Zauberflöte , by Mozart, in which two couples of different natures – Tamino and Pamina; Papageno and Papagena – need to pass tests.

In Die Frau , one of the couples is very human, lives a hard life with very real problems (Barak, the good and patient Dyer, and his temperamental wife); and the other lives in a kind of intermediate plane between the world of spirits and that of men (the Kaiser , Emperor, human, and the Kaiserin , Empress, who has no shadow and is the daughter of Keikobad, the master of the world of spirits) . In the first couple, the dyers seem to have lost their way; in the second, Emperor and Empress seem not to have met yet. The men in these two couples live trapped in the past. Although Barak focuses all his energy on work, on daily life, on supporting his family, he is tied to the image of his father, of his paternal home, he has taken on the responsibility of taking care of his brothers, as his father did, and dreams of having a family numerous. The Emperor found his wife in the form of a white gazelle when he was hunting with the help of his red falcon. As soon as she was captured, she transformed into a woman. And the Emperor relives this story throughout the opera – both in the libretto and in the music, it is a recurring theme, which is characterized by a lyrical, passionate melody, one of the most beautiful passages ever heard in an opera.

Furthermore: the Emperor only knows how to be a lover and a hunter; Barak, lover and provider. As a consequence, the Empress cannot fully humanize herself, she cannot achieve a shadow, and the Dyer, although she has a shadow, cannot extract the fruits of her human condition.

There is a fifth character who moves between the two worlds, who forms a duo with the Empress: the Nurse who accompanies the Empress, who must watch over her. The Nurse comes from the world of spirits: she is, in her own way, faithful to the Empress, and repudiates men. She is a kind of fusion between the Queen of the Night and a manipulative Mephistopheles, a devil who wants to separate the Empress from human beings, who wants her to return to the world of spirits.

The central conflict is a curse that hung over the Emperor-Empress couple: if within twelve moons the Empress did not acquire a shadow, she would have to return to her father, in the world of spirits, and the Emperor – who was failing to make her if she incarnated – she would turn into stone. Three days before the deadline, the falcon comes to remind the Empress of the curse, and, with the help of her Mistress, she leaves for the human world in order to obtain the shadow of some woman. The two meet the Dyer and the Dyer. The Dyer is unhappy with the life she leads, especially with the presence of Barak's three brothers in their house. She is easy prey for the Nurse, who convinces her to exchange her shadow for a world of illusions.

The loss of the shadow is a theme present in 19th century literature. One prime example is the title character of The Wonderful Story of Peter Schlemihl , by Adelbert von Chamiso. Poor and despised by society, Schlemihl is seduced by a mysterious man in gray (the devil, of course!), and ends up agreeing to give up his shadow in exchange for wealth that will never end. The problem is that, without the shadow, his wealth is of no use, because he becomes repudiated, he is a different person, in which some curse lives. When he falls in love, the bride's father gives him three days to find a shadow – which he can't do and, evidently, ends up losing his bride.

Another example is Anna, from the poem by Nicolaus Lenau, which, according to the title, is based on a Swedish legend. Seeing her image reflected in the lake, Anna is dazzled by her own beauty and wishes that nothing would spoil that beauty – a classic case of narcissism. When asked to marry her, Anna seeks out an old witch and exchanges her shadow, linked to the ability to have children, for the preservation of this beautiful image. She had seven children unborn and waiting to be born. During the spell, the wind blew the mill seven times and, each time, Anna heard the murmur of one of these children who would no longer come into the world.

In addition to Anna's story, shadow and reflection appear together in the short story As Aventuras da Noite de São Silvestre (also known as The Lost Reflection ), by ETA Hoffmann. In the story, Erasmus Spikher, who gave his reflection to a courtesan who was nothing more than an instrument of the devil himself, is repudiated by his family and society. He starts to wander in search of a reflection and meets Peter Schlemihl. In the story, then, the man without reflection and the man without shadow meet. Both have something in common: they lost part of their personalities, they allowed themselves to be divided by the devil (the one who divides).

Schlemihl exchanged shadow for wealth, for the promise of a comfortable life; Anna exchanged the shadow for the narcissistic and self-centered reflection. Die Frau Ohne Schatten follows the same line: offering a mirror to the Dyer (she didn't have one), and immersing her in a world of illusions, including a ghostly lover, who is nothing more than the projection of her own desires, the Nurse proposes to the Dyer that she sell her shadow for this illusory image of luxury and beauty, which she was able to experience for brief moments. The Dyer accepted immediately: for the image of this mirror, I will give my soul, my life” .

Like Anna in the poem, the Dyer also hears the murmurs of her unborn children. Anna would have seven children, she hears the murmur coming from the mill seven times; the Dyer has five children destined for her, and hears them through the five fish that were in a pot.

The Nanny's manipulation further distances the dyer couple. At a given moment, the woman even tries to free herself from her ghostly lover, from the world of illusions. She calls her husband, but Barak understands nothing, he only understands the material world, communication between the two is impossible. The situation culminates with the woman confessing an infidelity that, in reality, she did not commit, and Barak, until then always good and patient, no longer sees her shadow, and even threatens to kill her.

Reinforcing the double in the structure of the work, in the meantime, in a musically stunning scene, the Emperor smells humans, realizes that the Empress has been with humans and thinks about killing her – but he cannot, he is not capable.

At this point, the Empress, with a strong feeling of guilt and deep empathy for human beings, regrets the attempt to obtain the Dyer's shadow (which was stained with blood), and makes a true humanist speech. In the final test, before Keikobad (who never appears or sings), after a long ordeal, she refuses to drink from a golden fountain that would bring her the Dyer's shadow and save the Emperor: Ich will nicht! ( I don't want to! ), shouts the Empress. From that moment on, she gains a shadow, the Emperor is saved, and Barak and his wife are reunited.

More than fertility, the shadow is linked to the possibility of generating fruit, of leaving marks (or shadows) in the world. More broadly, the shadow represents the human condition: the Empress acquires the shadow when she humanizes herself, when she begins to understand human dramas and suffering through Barak and his wife – something that her husband, who only knew how to be a lover and hunter, had not been able to transmit.

In addition to the unborn children, whose voices are heard several times during the opera, the figure of the father is also strong. If Elektra , the first fruit of the Strauss-Hofmannsthal partnership, begins with Agamemnon's theme, Die Frau begins with Keikobad's. Both themes are short and serious. In both operas, the respective fathers (Agamemnon and Keikobad) never appear, but they are present throughout, especially in the music, and their respective daughters always address them. Furthermore, Keikobad is one of the few characters who has a name in the opera – the other is Barak, who dreams of becoming a father.

It is also necessary to remember that, as Hofmannsthal noted in his letter to Strauss, despite being a romantic opera, with all the romantic tradition, the work is also a result of its time. Die Frau was composed in a troubled time, during the First World War. It is no coincidence, then, that this aspiration for union, for understanding, for humanization.

Two worlds connect on stage

I could not hope for anything better and more appropriate than the new production by David Bösch that I saw in Dresden. With the beautiful sets by Patrick Bannwart , Bösch made us move between the ethereal world of spirits and the concrete world of Barak and his wife, with the colors and toxic substances used by the dyer. In the first scene, we see the Emperor, the Empress and the Nurse in a non-defined environment, without colors, in shades of white, with white curtains and some projections (some shadows), almost without furniture – just a bed. In one of the most beautiful and touching moments of the performance, when the falcon arrives to tell the Empress that her time is running out, and she hears his cry, we do not see a falcon: while we hear, coming from the side, Lea 's beautiful song -ann Dunbar , we see feathers falling, as if they were the materialization of tears. The huge falcon will only appear later – and it is this huge mechanical falcon, in my opinion, that is the only element that clashes with the aesthetics of the production.

A kind of elevator connects the two worlds – and not by chance, this elevator also serves as both the falcon's house and the entrance to Barak's house. This is how the Empress and Nurse are transported to the world of men. As indicated in the libretto, in the house where Barak and his wife live, dyeing materials are mixed with domestic furniture. The house was divided in half, a double room, with two rooms. On the left side, a washing machine, an armchair and a television; on the right side, the bedroom. Just ahead, a barrel written “toxic”. When this barrel is opened, a little smoke comes out. Objects enter and leave it as if in the form of magic, mixing the toxicity of the real world with that of the Nurse's magic. It is from this vat that dolls come out, symbolizing the children yet to come, and it is in it that the Dyer, when she renounces motherhood, throws these same dolls.

The representation of the Dyer's dreams, in the moments when she is carried away by the Nurse's illusions, is quite efficient. Fabio Antoci 's lighting transforms the environment. From the same elevator that transported the Empress and the Nurse, half-naked men emerge, some feathers, showing an even somewhat grotesque, very carnal costume – nothing that, as in Peter Schlemihl's story, represented social ascension. It was the dream that was within reach of the Dyer's mind: an impossible dream that looks like a show she saw on the television in the house.

In the third act, when the Empress passes the final test, we see a colorless, ethereal scene, typical of the world of spirits. The environment, however, is populated by metallic structures of empty carts.

An object that stands out throughout the representation is the pair of yellow gloves worn by the Dyer. They are important protective equipment in the dyer's manual work, they are what protect her from toxic substances. The Empress takes possession of these gloves (the shadow?) and carries them to the final test.

Moana Stemberger 's costumes helped to contrast the lightness of the world of spirits – especially the Empress – with the concrete world of the dyer couple. If the Empress's dress was light and flowing, Barak and his wife's clothes were made of heavier, more rustic fabrics.

Bösch doesn't change the ending of the opera – it would be unfair to accuse him of that. The director, however, does not ignore the fact that the Nurse was condemned to wander the world of men. Like the cherub expelled from heaven, she comes to cause divisions. This is what we see her doing at the end of the opera. Accompanied by beautiful music, the two couples are celebrating the lieto fine when the Nurse appears, divides the two parts of the house and, with her, the couples: Barak and the Empress go one way, the Emperor and the Dyer, the other. . In the end, only the Nurse is left, in an empty, ethereal, colorless environment, similar to the one in which the opera began.

This ending becomes even more impactful when you have, as Ama, an interpreter of the caliber of the excellent German mezzosoprano Evelyn Herlitzius . She was the greatest artist on stage. And that's no small feat, because she was surrounded by giants. In addition to being scenically perfect, impactful – she dominated the scene – Herlitzius knows how to masterfully handle the color of her voice. A voice that was sometimes warm and authoritative, sometimes light and seductive, which changed color depending on the intonation. Precise singing, including the scandalous high notes that Strauss presented to the mezzosoprano in the last act. She perfectly tackled a role that covers a wide range of textures and presents serious harmonic challenges. Her Nurse knows how to seduce and manipulate the other characters – except the messenger from Keikobad, very well played by Andreas Bauer Kanabas , over whom the Nurse has no power.

The Dyer was inspired by Pauline, wife of Richard Strauss. Hofmannsthal even explained the idea in a letter to Strauss: as a model for one of the women, we can very well, with all discretion, take your wife” . Lotte Lehmann, who created the role of Dyer, says, in her engaging book Five Operas and Richard Strauss , that Pauline was a person with agile intelligence and a caustic tongue, who behaved like a shrew. No matter how great her husband's fame was, Pauline made a point of making it clear that he was nothing more than a peasant and that her music didn't come close to Massenet's. None of this, however, affected Strauss, who just smiled. Lehmann says that he told her that all the admiration in the world interested him less than a single tantrum from Pauline.

Miina-Liisa Värelä plays a Dyer whose nerves become inflamed throughout the opera, as Strauss's musical writing takes her to a higher pitch. Her character is interesting precisely because she is not caricatured at all, and visibly evolves: she is a normal woman, with her frustrations, who lives with a man who is a lover and provider, but does not show any emotion; Guided by the Nurse, she expresses this dissatisfaction and, then, becomes angry, her tongue becomes sharper, and her powerful voice, more incisive.

Although Barak is clearly not inspired by Richard Strauss, he reacts in the same way to the woman's attacks, he doesn't get too upset, he even seems to take some pleasure in it. Oleksandr Pushniak was a great Barak, both scenically and vocally: sensitive, with an engaging voice and not at all caricatured. His body posture, even when he wasn't singing, already conveyed the character's awkward tranquility.

The Emperor has a relatively small role, but his are the most beautiful, most lyrical, most melodious lines in the opera. The wonderful singing of American tenor Eric Cutler still rings in my ears ! A bright, powerful timbre; a legato and passionate song , with perfect phrasing.

The Dyer and the Dyer are, without a doubt, the strongest characters, but they are not the ones who matter: their destiny is subordinate to that of the Empress” , Hofmannsthal wrote to Strauss on July 25, 1914. A few days later, in In another letter, he insisted: I would like to draw your full attention to the character of the Empress. She has almost no text [in the first two acts] and yet she is the main character. (…) She becomes human, this is the pivot of the play; It's her, the woman without a shadow, and not the other. (…) A spiritual light springs from her all the time (…)” .

The role of the Empress is a challenge for the sopranos. At the beginning of the first act, the Empress, not yet fully incarnated, sings a more ethereal song, with beautiful coloraturas. It is, in short, a coloratura lyric soprano song. In the third act, this song becomes more dramatic, with an expressive melodrama – when the song gives way to a spoken text. The excellent Camilla Nylund , an experienced Empress, let her voice float slightly in the first scene, producing beautiful coloraturas, especially on the 30th. It was in the third act, however, in the Empress's great act, that she showed why she is considered a of the best singers today. In addition to displaying memorable singing, especially when she said goodbye to the Mistress, Nylund was dramatically impeccable. In the melodrama, his spoken text culminated in an “ Ich will nicht!” worthy of a final milestone of all the trials and temptations she was going through. Her incarnation, her humanization, could be followed throughout the opera.

It goes without saying, but both the Choir and the Children's Choir of the Dresden opera are excellent, prepared, respectively, by André Kellinghaus and Claudia Sebastian-Bertsch .

In his last production as chief conductor of Dresden's excellent Staatskapelle , Christian Thielemann was in a state of grace. The conductor opted for a reading that valued the details and solos, which are abundant in the score. The large orchestral mass was intense, yet delicate and transparent. This is essential in an opera like Die Frau , in which part of the story is told by the orchestra, through the themes that follow one another, and one of the themes portrays, precisely, transparency. The impeccable cello solo that introduced the Emperor's scene in the second act is worth highlighting.

In a letter to Strauss, when talking about the work that was being born, Hofmannsthal described it as the rich gift of an inspired hour” . This is what Semperoper Dresden presented, this was the gift it gave to its audience, it was in this inspired way that Thielemann said goodbye to this historical gap. It was three hours of inspired and unforgettable opera.

Now we hope this new production is released on video!

 

 


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