L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Le età di Senta

di Roberta Pedrotti

La stagione della Semperoper di Dresda riparte dopo la pausa estiva e dà il benvenuto alla nuova sovrintendente Nora Schmid con una bella ripresa di Der fliegende Holländer.

DRESDA, 29 agosto 2024 - Wagner a Dresda, Der fliegende Holländer a Dresda, nel teatro dove ha debuttato nel 1843 e nei giorni in cui una mostra ospita all'Albertinum il celeberrimo Wanderer über dem Nebelmeer (Viandante sul mare di nebbia) di Caspar David Friedrich. Di fronte al dipinto sembrerà inevitabile sentire prender forma nella mente l'eco dell'ouverture ascoltata alla Semperoper.

Quando dalla buca la Staatskapelle innalza la tempesta furiosa, metafisica e si sublima nella pace della redenzione, tutto è là, sensibile, perfino tangibile nella sostanza del suono. Il luogo stesso non è indifferente e non perché influenzi in qualche modo la percezione con le suggestioni della storia, ma perché anche l'opera architettonica di Gottfried Semper, compagno di barricate di Wagner nel '48, è legata a quella del compositore e sta alla base anche del progetto per il Festspielhaus di Bayreuth. La quadriga di Dioniso e Arianna che domina la facciata non può non ricordare il primo fervore wagneriano di Nietzsche e confermare la vocazione del teatro.

La vocazione va, però, realizzata ed ecco che allora il suono plastico dell'orchestra ci risponde. Risponde con una pienezza vera, concreta, che è sia supremo magistero tecnico, sia pura creazione poetica. Il principio formale di Apollo e quello sensuale, vitale di Dioniso. La padronanza dei colori assume una fisicità teatrale perfino impressionante, sia per la presenza e la ricchezza del pianissimo, sia per la qualità tattile del suono in rapporto al dramma, all'azione e agli affetti. L'opportunità di ascoltare l'Holländer senza soluzione di continuità, tutto d'un fiato, permette anche di godere fino in fondo, con ebrezza golosa, di quella che è insieme l'ultima eredità dell'opera romantica di Weber e Marschner e il primo titolo del nuovo corso wagneriano. La prova magnifica del coro non fa che corroborare peraltro l'immagine restituita di un Wagner possente, sì, magniloquente, certo, ma anche cantabile. Si pensa alla prima Senta, Wilhelmine Schröder-Devrient, che a Dresda visse (come parte della famiglia del primo marito, l'attore Karl August Devrient) e fu anche apprezzata rossiniana, Desdemona in Otello al fianco di Maria Malibran eccezionalmente nei panni del Moro. Si pensa alla Norma che Wagner diresse proprio a Dresda. Si pensa all'idiomaticità di un linguaggio in cui il melos è imprescindibile.

Per questa ripresa di repertorio che segna anche la riapertura del teatro dopo la pausa estiva e il primo saluto della nuova sovrintendente Nora Schmid – per l'occasione i foyer restano aperti anche dopo lo spettacolo per chi voglia soffermarsi a brindare – la Semperoper sfodera una locandina di tutto rispetto. Sotto la direzione sicura di Axel Kober, la compagnia convince fin da Mary (un'ottima Christa Mayer) e dallo Steuermann (Mario Lerchenberger, baldanzoso ma non avaro di sfumature). Fa piacere ritrovare Tomislav Mužek a sciogliere il rebus di Erik, heldentenor dall'afflato lirico anche affine al Belcanto: il timbro è virile, la voce adeguatamente robusta e duttile, il fraseggio attento e appropriato.

Per Daland, il nome di Georg Zeppenfeld è già di per sé una garanzia, sicché l'entusiasmo, l'affetto paterno, lo spirito mercantile pratico e spiccio, il pizzico di ingenuità emergono con umanissima naturalezza. Né delude l'altro asso calato dalla Semperoper: l'esperienza di Michael Volle di offre un Holländer autorevole e fascinoso nell'economia quasi ruvida dell'espressione. Gli basta poco, per cogliere nel segno di una figura sfuggente, leggendaria, ma pure quasi corrosa internamente dalle delusioni, dall'inesausto peregrinare maledetto. Colpisce, nel grande monologo di sortita, come la parola sia tagliente e quasi morda le frasi più ampie e accese invece di abbandonarsi a esse. Un tale, perturbante Holländer ha come controparte una Senta tormentata sulla cui interiorità Florentine Klepper ha costruito il suo disegno registico con la drammaturgia di Sophie Becker. Jennifer Holloway dà vita al personaggio con carnalità inquieta, regge senza cedimenti una produzione che fa perno su di lei, con spirito indomito e tenerezze rispecchiate nella straordinaria Senta bambina della piccola Eleonora Wilde.

Il lavoro teatrale di Klepper e Becker, infatti, si concentra sulla contrapposizione fra il mondo concreto, gretto e borghese in cui è costretta a vivere e quello ideale e misterioso che la attrae irresistibilmente. Il ponte verso l'ignoto (e l'Holländer) disegnato dalla scenografa Martina Segna rappresenta bene questo dualismo, che naturalmente si riverbera in tutta la simbologia sul palcoscenico: le filatrici sono perfette mogliettine in stile Doris Day intente a sfornare pargoletti (piuttosto inquietanti) in un sistema del quale Senta non può e non vuole far parte; il rapporto con la figura paterna è legato all'elaborazione del lutto con l'immagine ciclica del funerale di Daland legata poi al matrimonio con Erik, ma anche alla seduzione dell'idea dell'Holländer, associata a un grande uccello nero abbattuto (Erik è cacciatore, animali selvatici antropomorfi accompagnano la catarsi finale...) e raccolto dalla bimba Senta. Vien da pensare al cigno abbattuto da Parsifal, ai corvi di Wotan, mentre il braccio alato che l'Holländer mostra nel primo atto ricorda il Lohengrin messo in scena da Claus Guth alla Scala. Eros e thanatos, natura e cultura, istinto e costrizione sono alla base di una visione di limpida ispirazione onirica e psicanalitica. Alla fine, la Senta adulta è sola, ma anche libera e padrona di intraprendere il proprio viaggio personale.

Il flusso wagneriano inonda la Semperoper per due ore e un quarto circa, senza soluzione di continuità, poi esplodono gli applausi. Intanto, gli stendardi del teatro sulla piazza garriscono con le parole “Kunst, Demokratie, Vielfalt” (“Arte, Democrazia, Molteplicità”): che possa essere sempre così, nonostante tutto.

 

 


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