L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Assaggi di Vaccaj

di Roberta Pedrotti

Dopo l'appuntamento con il maceratese Lauro Rossi, il festival Il Belcanto Ritrovato dedica una serata al tolentinate di nascita e pesarese d'adozione Nicola Vaccaj, nel teatro Rossini che lo vede effigiato sul sipario storico dirimpetto all'eponimo.

PESARO, 25 agosto 2024 - Dopo la prima (e purtroppo finora unica recita) della Casa disabitata, il secondo appuntamento con orchestra del cartellone del Belcanto Ritrovato 2024 ribadisce quanto poi sia fecondo il terreno di ricerca. Questa volta ci si concentra su Nicola Vaccaj, e si fa benissimo, giacché il tolentinate di nascita e pesarese d'adozione, di soli due anni più grande di Rossini, fu uno dei più importanti teorici e didatti del canto del suo tempo, operista prolifico e stimatissimo dai colleghi, con fama anche di persona amabile. Forse fin troppo: un po' di spirito competitivo (e di fortuna) in più avrebbe potuto offrirgli forse maggiori soddisfazioni e un posto un po' più luminoso nelle memorie teatrali. Meritò le lodi di Rossini e Romani, la Malibran preferiva il suo finale di Giulietta e Romeo a quello dei Capuleti e Montecchi di Bellini: insomma, val la pena ascoltarlo, e non solo in quel “Ah, se tu dormi svegliati” e “Ah! Crudel! Che mai facesti?” degli amanti veronesi, che conserva una qualche notorietà e di cui a Pesaro resta memoria almeno dell'esecuzione di Daniela Barcellona ed Eva Mei in un concerto del Rossini Opera Festival 2000.

Oggi sono alla ribalta arie, duetti, un terzetto e un quartetto da La pastorella feudataria (1824), Zadig e Astartea (1825), Giovanna Gray (1836), Marco Visconti (1838), Saladino e Clotilde (1828), Malvina (1816). Nella forma del galà, si soffre un po' l'assenza di un contesto che permetta di meglio apprezzare il senso drammaturgico della musica di Vaccaj, tuttavia balza evidente come l'ingombrante ombra rossiniana non faccia del collega un pallido epigono, allineato sì alle tendenze del tempo ma pure ben distinto nella sua ispirazione melodica e nella cura dolcemente protoromantica dei colori strumentali.

Sul podio della Sinfonica Rossini c'è il direttore artistico Daniele Agiman, a dar voce alla musica di Vaccaj sono chiamati tre giovani e un veterano, Bruno De Simone, che con chiarissima dizione si gode la libertà dell'etichetta di buffo per vestire anche i panni di personaggi seri agli albori del baritono romantico. Fra le nuove leve, un po' più timido appare il tenore Brayan Avila Martinez, mentre convincono maggiormente il soprano Lyaila Alamanova e il mezzosoprano Marta Pluda, testimonianza di una generazione cresciuta nella confidenza con il Belcanto. Alla prima spetta un ventaglio di eroine ora liliali ora pugnaci, pastorelle, regine e guerriere; la seconda affronta con accento fiero e ben tornito palpiti amorosi e alteri degl'ultima stagione degli eroi en travesti prima dell'imporsi del tenore romantico.

Ora non resta che chiedere che questi assaggi non restino episodi, curiosità isolate, ma che chi si occupa da tempo (pensiamo, al di là delle Alpi, al festival Rossini in Wildbad) prosegua il suo cammino e sia fonte di ispirazione, che chi si è posto più di recente su questa strada possa crescere e "diventare grande" come le proprie legittime ambizioni con bacchette, maestranze, sistemi produttivi e di ricerca sempre migliori, che anche la quotidianità di teatri e conservatori sia sempre più aperta e ricettiva. Conoscere i grandi capolavori non basta: il mondo è più grande e anche l'opera arcinota del genio si gode con più gusto e consapevolezza se si comprende il contesto in cui è nata.

 


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