L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il punto su Placido Domingo

di Irina Sorokina

Il consueto galà estivo del tenore spagnolo all'Arena di Verona, quest'anno saggiamente dedicato alla Zarzuela, suggerisce delle riflessioni sulla sua carriera.

Verona, 21 agosto 2024 - Come da alcuni anni ormai, torna in Arena di Verona il celeberrimo tenore spagnolo Placido Domingo, con Luciano Pavarotti e Josè Carreras uno dei “tre tenori” che alcuni decenni fa mietevano successi in tutto il mondo, esibendosi nel repertorio lirico e popolare. Questi tempi appartengono ai ricordi ormai, Pavarotti è morto, Carreras ha perso la voce anche se continua ad esibirsi – si ricorda il suo abbastanza recente concerto di Capodanno al Teatro Filarmonico di Verona. In un certo senso, Domingo con ogni sua apparizione sul palco festeggia la vittoria su due colleghi, come se volesse dire o sussurrare: eccomi qua, loro non cantano più, ma io sì!

Sì, il tenore madrileno che si dichiara nato il 21 gennaio 1941 canta ancora, ma sarebbe onesto raccontare, COME canta: qui l’asino casca e le rose non emettono più il loro profumo. Tuttavia, riteniamo necessario rendere giustizia al cantante madrileno che, senza dubbio, rappresenta un’epoca intera nella storia dell’arte vocale mondiale.

Domingo venne considerato dalla maggior parte dei melomani uno dei migliori cantanti del Novecento e da alcuni proclamato “il re dell’opera”. Fu amato e addirittura venerato da milioni di persone, non solo i melomani, in tutto il mondo: la ragione di questi amore e venerazione è assolutamente comprensibile. La personalità attraente, la voce bella e i lunghi anni della gloriosa carriera hanno portarono Placido Domingo a diventare un idolo e anche una specie di “brand”, come lo sono la Ferrari o la Maserati, Armani o Versace.

La voce di Placido Domingo era molto bella, soprattutto nel registro medio, calda e dotata da una grande forza comunicativa. Non sarà esagerato di dichiarare che era una delle voci più belle del Novecento: unita ad una grande intelligenza, al fascino del macho latino e alle qualità intellettuali, lo portò a trionfare sulle scene di tutto il mondo. Domingo fu – e lo è ancora – anche uno dei veri idoli del pubblico femminile che abitualmente frequenta le sale da concerto e i teatri lirici. Nell’Unione Sovietica, oggi la Federazione Russa, dove solitamente è il pubblico femminile di tutte le etnie a riempire le sale, vista la differenza abissale tra la quantità di donne e di uomini in questo paese, Domingo ha compiuto una vera strage. Qualche critico musicale avrà parlato dei difetti del divo spagnolo: nel registro acuto la sua voce dimostrava tensione evidente e assumeva una sfumatura nasale (oggi bastano pochi istanti per andare su YouTube e confrontare Placido con due divi della generazione precedente quali Mario Del Monaco e Franco Corelli, per convincersi in quanto lo superavano. E cosa dire del do scritto da Puccini in “Che gelida manina” nella Bohème, la fece mai bene questa nota? Tornando su YouTube per riascoltare il suo il celebre brano inciso in studio nel 1973, si apprende che la nota non è affatto perfetta, lo confermano i commenti dei melomani: “That high C isn’t great” e “It is very bad!”. È tutto vero, ma la bellezza della voce e il carisma indiscusso vinsero.

Nella generazione precedente a quella di Domingo circolavano voci belle e di gran volume. Mario Del Monaco, Franco Corelli, Carlo Bergonzi, Alfredo Kraus; dopo vennero Luciano Pavarotti e Gianfranco Cecchele. Dopo di loro sul “mercato” delle voci di tenore, la più amata tra quelle maschili, non arrivarono più molti cantanti dalle voci eccezionali e dotati di grande carisma, tranne Josè Carreras, anche lui spagnolo, più giovane di Domingo di almeno dieci anni. Oggi la situazione appare preoccupante, le parole di Renata Tebaldi del brevissimo video su YouTube, sul canale Mark Segu, suonano come profezia: “Ad un certo momento non ci saranno più cantanti, oppure saranno tutti i cantanti con quelle vocine piccole-piccole-piccole tipo moscerino che faranno poi tutto, faranno Norma, faranno Aida, faranno Il barbiere di Siviglia, La bohéme, sempre con quelle vocine piccoline che non avranno personalità, e, naturalmente, non si sentiranno più, diciamo, le composizioni come il compositore le ha create, come le ha volute. Assolutamente”. Grande Renata, quanta ragione avevi.

Una delle grandi voci del Novecento, in Arena di Verona Placido Domingo da sempre fu di casa, protagonista di grandi trionfi in opere e in serate di gala; l’ultima forma d’esibizione la pratica ancora, e ricordiamo che ufficialmente l’amatissimo Placido avrebbe al momento attuale ottantatré anni.

È curioso percorrere la storia delle sue apparizioni in Arena, risalendo alla serata piovosa del 1995, quando il maltempo impedì lo svolgimento della serata. Saltando quasi due decenni si ricordano le sue esibizioni degli ultimi anni, nel 2017 serata dedicata alla zarzuela (quindi l’attuale gala chiamato Placido Domingo Noche Española non è altro che la sua nuova edizione), nel 2019 dirige Aida, interpreta il ruolo di Germont ed è protagonista del concerto dedicato ai suoi cinquant’anni in Arena, nel 2020 partecipa al festival Nel cuore della musica in qualità di cantante e direttore d’orchestra, nel 2021 e 2022 è protagonista della serata Domingo Opera Night e nel 2023 dell’evento Placido Domingo in Opera – Arena 100, in cui la prima parte era dedicata a I vespri siciliani, La forza del destino, Aida, Pagliacci, Andrea Chénier, Adriana Lecouvreur, opere in cui vestì la parte del baritono, e la seconda alla zarzuela, facendo tirare un sospiro di sollievo a gran parte del pubblico.

La zarzuela, il genere tipico spagnolo del teatro musicale, simile all’operetta viennese e all’opéra comique francese, alterna brani cantati con i dialoghi parlati; il trio ha un giovane nipote di origini anglosassoni chiamato musical, molto amato in Inghilterra e negli Stati Uniti. Le arie di zarzuela da sempre sono i cavalli di battaglia dei tenori spagnoli e sudamericani, tuttavia, il vasto pubblico non le conosce, ad eccezione, forse, di “No puede ser” da La tabernera del puerto di Pablo Sorozabal, reso celebre proprio da Domingo. Il brano tra i più noti della zarzuela non può mancare nella scaletta della serata e intonandolo, il vecchio leone tira fuori il massimo, la voce sembra quasi come quella di una volta e il pubblico va in delirio.

Il tenore madrileno tornato quest’anno tra le antiche mura dell’anfiteatro veronese, dimostra buon senso: niente più arie impegnative per baritono, ma una serata intera chiamata Noche Española e dedicata al genere della zarzuela, con la partecipazione dei solisti e deii mimi della Compañia Antonio Gades diretta da Stella Arauzo, e di due cantanti già conosciuti dal pubblico dell’Arena, il soprano spagnolo Saioa Hernandez e il tenore messicano Arturo Chacon-Cruz; il programma include ben ventidue brani di zarzuela tra pezzi per l’orchestra, arie, duetti e un terzetto, ottenendo un grande successo.

Si inizia dal festeggiato che non delude dall’interpretazione di “Mi aldea” da Los gavilanes di Jacinto Guerrero; conferisce immediatamente il tono giusto alla serata, riesce ancora ad ammaliare con una voce di tenore tra le più belle del secolo passato e trasmettere la passionalità tipicamente spagnola.

Saioa Hernandez conferma la sua reputazione di solida professionista, senza riuscire ad emergere davvero durante la serata, superata da due tenori. La voce è esattamente quella della Tosca del 2019, con gli stessi pregi e gli stessi difetti, ampia, potente, dal timbro non particolarmente bello. Lasciando l’Arena, si ricordano il temperamento focoso e le belle movenze del soprano spagnolo, ma si fatica di ricordare il timbro, anzi, caso mai, si ricorda la sua opacità e il modo di cantare per lo più basso di posizione. In Noche española la si ascolta in “Qué te importa que no venga?” da Los claveles di José Serrano, “Tres horas antes del dia” da La marchenera di Federico Moreno-Torroba, senza alcuna sorpresa. La bella Saioa funziona molto meglio nei duetti con il mitico concittadino, formano una coppia formidabile: si guardano, scherzano, sembra che siano davvero innamorati, della musica, della zarzuela e della vita in generale. Così intonano “En mi tierra extremeña” da Luisa Fernanda di Moreno-Torroba e “Hace tiempo que vengo al taller” da La del manojo de rosas” di Pablo Sorozabal. La gioia di ascoltare la Hernandez si ripete quando è affiancata dal tenore Arturo Chacon Cruz nel duetto “Amor, mi raza sabe conquistar” da La leyenda del beso di Reveriano Soutillo e Juan Vert, sono passionali e quasi scatenati.

Viene sempre sorridere nell'osservare che ella scaletta della serata si insiste di indicare tre tipi di voce, soprano, tenore e baritono, rispettivamente Saioa Hernandez, Arturo Chacon Cruz e Placido Domingo. Ma non a caso prima si è parlato di due tenori, perché la natura tenorile di Domingo viene fuori in ogni santo istante e ad ogni santa nota. A suo fianco, il tenore messicano Arturo Chacon Cruz, già noto al pubblico areniano, fa un'ottima figura, la voce è bella, calda, potente, l’emissione morbida, il fraseggio ben pensato, ma soprattutto ha la capacità di trascinare l’ascoltatore e farlo godere moltissimo nei brani quali “Bella enamorada” da El ultimo romantico di Reveriano Soutullo e Juan Vert e “De este apacible rincon de Madrid” da Luisa Fernanda di Federico Moreno-Torroba. L’effetto è simile a quel che produceva la voce di Domingo negli anni migliori, quando trascinava il pubblico dal calore tipicamente latino e il fatto che nella scaletta della serata “Bella enamorada” viene seguita da “Quiero desterrar” cantato dal mitico Placido e dopo “De este apacible rincon de Madrid” viene “Luche le fe por el triunfo” sempre da Luisa Fernanda, intonato da Domingo, non sembra casuale. Potrebbe far pensare a Chacon-Cruz come ad un successore di Domingo, infatti, il loro duetto “Se fue se fue la ingrata” da Marina di Emilio Arrieta è uno dei momenti più belli della serata. Non dispiace affatto ascoltare i due tenori, riconoscendo al cantante madrileno uno strumento ancora bello e il temperamento focoso.

Dopo la lunga parata dei brani emozionanti per solisti e i duetti, nel finale le tre belle voci si uniscono in “¿Me illamabas, Rafaelliyo?” da El gato montés di Manuel Penella per mandare il pubblico nell’autentico delirio.

La serata è impreziosita dalla partecipazione della Compañia di Antonio Gades, le sue esibizioni focose, oltre a dare la possibilità ai cantanti di tirare il fiato, contribuiscono al disegnare il ritratto della Spagna calda, generosa e passionale. I ballerini non si risparmiano, danno davvero il massimo, battono i piedi con un’energia al margine della follia e battono le mani impegnando i polsi in un gioco magico e le dita nell’uso dei castañuelas. Molto nutrita è la lista dei balli eseguiti dai danzatori davvero eccezionali: si apre con Intermedio da La boda de Luis Alonso, composto da Geronimo Gimênez e coreografato da Maite Chico, con due “protagonisti”, la passione e il brio. Elegante e rigoroso il Fandangoda Doña Francisquita, sulla musica di Amadeo Vives. Triana è coreografata da Maite Chico sulle note di Suite libera della doppia penna di Isaac Albeniz e Fernandez Arbos, che fanno nascere la passione autentica nella coppia di solisti Ana Del Rey e Miguel Lara. Nella lista delle musiche che danno vita alle coreografie non possono mancare i brani di Manuel De Falla: la Danza ritualedel fuego con la solista fenomenale Esmeralda Manzanas sé tratto da El amor brujo, la Farrucacoreografata da Alvaro Madrid e Stella Arauzo con lo stesso Madrid protagonista, affiancato dai ballerini della Compañia Antonio Gades, viene da El sombrero de tres picos.

“Placido Domingo Noche Española” è affidata al direttore Jordi Bernacer, che vanta una bella esperienza in eventi musicali simili. Come sempre, il maestro spagnolo se la cava con onore, guida l’orchestra della Fondazione Arena con garbo e passione e con senso di ritmo eminente – una vera gioia ascoltare Orgia da Danzas fantasticas di Joaquin Turina e Preludio da La revoltosa di Ruperto Chapì. Non solo i cantanti, ma anche i ballerini lo trovano attento alle proprie esigenze.

Come descrivere l’esito della serata, le emozioni contraddittorie che desta? Il discorso rivolto al solo e al solo e l’unico Placido potrebbe essere il seguente: “Caro Placido! Abbiamo seguito la tua carriera su più continenti, ti abbiamo amato alla follia, abbiamo fatto le code lunghe per procurarci i biglietti, abbiamo rotto le nostre mani per applaudirti, abbiamo comprato i tuoi dischi e i DVD. Un giorno, a sorpresa, abbiamo appreso che sei diventato baritono. Abbiamo chiuso fisicamente gli occhi e riascoltato la tua voce, cercando di trovare questo baritono, ma la ricerca era uguale a quella di un gatto nero in una stanza buia, sapevamo già che non c’è. Molti di noi hanno detto la verità, cioè, che non eri baritono, e non sono più venuti a sentirti, gli altri hanno continuato a frequentare i tuoi concerti, facendo finta d’averci creduto. Ti amiamo ancora e t’abbiamo osannato nella tua “Noche Española” in una serata dal caldo insopportabile all'Arena di Verona. Per i tuoi anni te la sei cavata bene, ma anche le tue debolezze sono venute fuori tutte. Il tuo registro medio se n’è andato, quello acuto è pressappoco inudibile. Rimangono l’arte, la grinta e il carisma, ma non bastano più. Vogliamo conservare un bel ricordo di te e forse, ci riusciremo, se smetti di cantare. Placido, è l’ora di smettere per lasciare un ricordo indelebile nei cuori della gente che t’ha amato tanto”.


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