Delizie equivoche
di Roberta Pedrotti
Meritato successo per la ripresa dello splendido allestimento dell'Equivoco stravagante con la regia di Moshe Leiser e Patrice Caurier. Sul podio Michele Spotti è una garanzia di qualità, affiatato ed efficace il cast in cui spicca il Gamberotto di Nicola Alaimo.
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PESARO, 8 agosto 2024 - Un equivoco orchestrato ad arte, far credere per secondi fini che una donna sia in realtà un uomo: suona fin troppo attuale, ma è il soggetto della prima opera buffa in due atti scritta da un Rossini diciannovenne. Un'opera folle come forse mai ci furono, eppure ben più savia di certi deliri morbosi ossessioni sessuomani e sessuofobe dei nostri tempi. Fa una certa impressione pensare a quanto potrebbe essere attuale la satira dell'Equivoco stravagante (almeno per certi versi, non per quello delle smanie erudite) e ancor più si apprezza uno spettacolo come quello firmato cinque anni fa per il Rof da Moshe Leiser e Patrice Caurier. Uno spettacolo che non calca la mano come sarebbe fin troppo facile fare di fronte a un libretto che non lascia passare un verso senza che spuntino almeno un doppio senso o un dotto gioco di parole. La coppia d'oro della regia lirica sa giocare, alludere, orchestrare un meccanismo recitativo perfetto, ma soprattutto governa tutto con buon gusto, sottrae più che caricare e così lascia emergere la franchezza di una comicità borderline fra finezze intellettuali e terrene allusioni corporee. Non c'è nulla di troppo, di ridondante, di caricato e dunque si ride fino alle lacrime quasi senza sosta – per fortuna qualche aria più sentimentale concede un po' di riposo e lo spettacolo sa tingersi di poesia senza perdere il suo irresistibile tratto surreale. Le luci di Christophe Forey sono fondamentali per l'atmosfera, così come i costumi in cui Agostino Cavalca armonizza eleganza e caricatura, la scena apparentemente semplice, ma ricercata nel rapporto fra cornici e prospettive di Christian Fenouillat.
Piacque nel 2019 alla Vitrifrigo Arena, piace ancor di più oggi goduta negli spazi più propizi del Teatro Rossini: questo Equivoco stravagante ha tutti i numeri per rimanere fra i grandi classici della regia rossiniana, con un gusto comico che non pare poter invecchiare, la capacità di adattarsi – con una finissima cura gestuale – a compagnie diverse.
Oggi sarebbe facile indicare come mattatore assoluto il Gamberotto di Nicola Alaimo. Non sarebbe poi ingiusto, se si pensa alla verve recitativa, al senso della parola cantata che lo fa sembrare un attore di prosa pronto a far da spalla a Totò e Aldo Fabrizi, alla cura musicale e alla presenza vocale, per cui il bizzarro contadino arricchito dice quanto canta. Tuttavia sarebbe ingeneroso verso una compagnia splendidamente affiatata al servizio della commedia. Carles Pachon è un gustoso Buralicchio, capace di non farsi mettere in ombra nelle scene comiche e di tratteggiare a dovere il bizzarro promesso sposo di Ernestina. Questa è Maria Barakova, spiritosa e ben compresa nella mimica peculiare che i registi le suggeriscono a sottolineare il passaggio dalle manie da “femme savante” a una sana liberazione d'istinti ormonali, sempre ben a fuoco nel canto (e se si pensa che la prima interprete fu Maria Marcolini e che il suo rondò del secondo atto passa direttamente nella Pietra del paragone si avrà la misura dell'impegno vocale e musicale). L'innamorato fortunato, Ermanno, è affidato a un Pietro Adaini in gran forma, forse al suo miglior cimento rossinianao in una parte che non fa sconti al tenore sul fronte patetico e su quello virtuosistico. Patricia Calvache rende giustizia alla piccante arietta della cameriera Rosalia e Matteo Macchioni si conferma un efficace caratterista come Frontino, il servitore che ordisce l'equivoco del presunto castrato. Il coro del Teatro della Fortuna di Fano preparato dalla maestra Mirca Rosciani si integra assai bene, con una recitazione assai spassosa, nella commedia.
Se poi tutti si esprimono al meglio, un gran merito va anche alla bacchetta di Michele Spotti, che è sempre un piacere ritrovare a Pesaro come altrove. Come in ogni spettacolo riuscito, il podio e la regia vanno di pari passo dettando un ritmo perfettamente oliato e come la scena, nella sua semplicità, è arricchita dalle sfaccettature di una recitazione cura nel minimo dettaglio, così la concertazione non s'impone appariscente, bensì naturalissima, ma con dovizia di dettagli e sfumature nella dinamica e nell'articolazione. Se l'autore riversò più numeri nel suo primo maggior successo, La pietra del paragone, è evidente che per quanto si tratti di un'opera giovanile con alcuni tratti acerbi, la qualità sia alta e il lavoro di Spotti lo evidenzia.
Anche se Giorgio D'Alonzo al cembalo è privato di archi compagni d'avventura per il basso continuo (peccato!), anche se la Filarmonica Rossini non si allinea ai fasti dell'Orchestra Rai in Bianca e Falliero (anzi, qualche inciampo nei soli purtroppo si avverte), questo Equivoco viene meritatamente salutato non solo da boati di applausi, ma anche dai luminosi sorrisi del pubblico – in sala anche Liliana Segre e Pierluigi Pizzi. Quando uno spettacolo è realizzato con competenza, gusto e intelligenza da registi e direttore di comune accordo, quando il cast si pone al servizio della commedia con buon affiatamento, allora sbagliare è quasi impossibile. E dire che a Bologna nel 1811 L'equivoco stravagante si fermò a tre sole recite! È vero, in quel caso intervenne la censura (di cui, per somma ironia, il librettista Gaetano Gasbarri era per di più un funzionario), ma oggi possiamo ben affermare che l'opera abbia avuto la sua meritata rivincita.