Ripartire dall'inizio
di Roberta Pedrotti
Al Teatro Dal Verme di Milano l'anteprima della stagione dei Pomeriggi Musicali celebra Puccini e ripropone Le Willis a centoquarant'anni dalla prima assoluta avvenuta nella stessa sede.
MILANO, 5 ottobre 2024 - Ritornare dove è cominciato tutto. Centoquaranta anni fa (31 maggio 1884), in questo stesso Teatro dal Verme, andò in scena il debutto assoluto di Puccini come operista: Le Willis, su libretto di Ferdinando Fontana, fu subito un grande successo, tale da sollecitare subito nuove riprese al Regio di Torino, alla Scala e di nuovo al Dal Verme, con il titolo Le Villi, ampliamenti e aggiustamenti. E benché oggi la prima nata non si può dire sia rimasta in repertorio, sopraffatta dalle sorelle, il meccanismo delle celebrazioni ha fatto sì che di un titolo già raro in questi anni sia diventato più frequente ascoltare la prima versione, priva delle arie del soprano (“Se come voi piccina”) e del tenore (“Torna ai felici dì”). Le Willis è stata incisa da Opera Rara, proposta in prima italiana in tempi moderni a Parma [Parma/Reggio Emilia, Le Willis e Cabaret!, 5-6/06/2022], poi a Torre del Lago in un bizzarro dittico [Torre del Lago, Le Willis/Edgar, 12/07/2024] e ora, dovuto ricordo del debutto, al Dal Verme ricostruito.
Fa un certo effetto pensare che proprio qui Puccini ottenne il primo successo, ma anche che quella sala gloriosa – fra la fine dell'800 e i primi del '900 una sorta di contraltare della Scala aperto ai giovani, all'operetta, a titoli internazionali – non esiste più: distrutta durante la Guerra, fu convertita in cinema e solo con il nuovo secolo restituita alla musica con un nuovo, efficiente, assetto. Sembra quasi una metafora dell'opera stessa, che rimane nello spirito ma cambia pelle, mutevole e pur riconoscibile come il fiume eracliteo.
Quello della forma che l'opera assume di volta in volta è anche il tema ricorrente della seconda parte della tavola rotonda Puccini in scena, oggi promossa dall'Associazione nazionale Critici musicali. Se la prima sessione a Lucca [Lucca, Lucca Classica, 24-25/04/2024] aveva interessato più gli aspetti speculativi, la critica e la musicologia, a Milano, come corollario della ripresa delle Willis, si dà la parola ai responsabili della pratica: artisti e operatori culturali, sovrintendenti, compositori, dramaturg (e la traduzione di “consulente del direttore artistico o del regista per la drammaturgia” sembra poter mettere d'accordo tutti, senza i sospetti suscitati in molti da un termine esotico), registi, direttori. Si parla delle peculiarità e dell'eredità di Puccini, delle problematiche etiche del tempo moderno. Emblematiche le posizioni contrapposte di Laura Bernam, dell'Opera di Hannover, che presenta una Turandot in cui “Nessun dorma” è cantato dal soprano, e Mathieu Jouvin, del Regio di Torino, che sostiene come tutto quello che può sembrare offensivo a qualcuno, per esempio a un'altra cultura o per una nuova sensibilità, non deve portare a irrigidimenti ideologici, non deve essere eliminato né creare una barriera, ma essere un'occasione di dialogo e comunicazione, spiegando significati e contesti. Gli fa eco anche la regista Valentina Carrasco, nel rivendicare la natura del teatro come finzione. Con i colleghi presenti – Stefano Vizioli, Moshe Leiser e Patrice Caurier – è emersa anche una riflessione condivisa sulla scrittura dettagliatissima di Puccini, che sviluppa una vera e propria regia con la quale è necessario confrontarsi, valutando anche il rapporto fra soggetti spesso prossimi al verismo e una musica che verista non è affatto, così come la necessità di comprendere e abbracciare tutte le sfumature e la sostanza del testo, anche i sottintesi, per i quali è fondamentale studiare a fondo anche la partitura. Concetto che dovrebbe essere scontato, ma che vale sempre la pena ribadire è stato pure quello dell'ambientazione slegato dalla qualità e dalla modernità della regia: ciò che conta è la qualità della recitazione, dell'interpretazione, del lavoro sul senso del testo, non il fatto che si indossino i jeans o un abito d'epoca, il significato dell'opera pucciniana va ben oltre l'accessorio decorativo. Infine, dopo la presentazione dell'Annuario 2024 della critica musicale italiana, con un bell'intervento di Alessandro Cammarano che ha, tra l'altro, ben chiarito la differenza fra critica professionale e amatoriale, fra recensione e post social, è stata la volta di Riccardo Chailly che ha raccontato il suo rapporto con Puccini offrendo un appassionato punto di vista sul ruolo del concertatore nell'opera del Lucchese.
Chailly è anche rimasto nel pubblico per Le Willis e la presenza di un grande direttore assiduo interprete di Puccini anche fra ospiti e spettatori sancisce una volta di più l'importanza di questa ripresa in forma di concerto. Dopo il dovuto saluto istituzionale del presidente del Comitato nazionale per le celebrazioni pucciniane, prende la parola anche Diego Fasolis, prima di salire sul podio, per introdurre la trascrizione per orchestra della Prière op. 20 di Franck a lui dedicata da Fabio Arnaboldi. Circa un quarto d'ora che, con il suo afflato spirituale, ben si ricollega alle radici familiari di Puccini nella musica sacra così come alla sua viva attenzione verso la musica d'area francofona.
Ci immergiamo poi nella fulminea prima creazione pucciniana, un'ora scarsa di musica, “leggenda in un atto in due parti” che poco o nulla concede al melodrammatico, riservando solo al baritono una necessaria meditazione funzionale all'epilogo, mentre tutta la vicenda d'amore, abbandono e sovrannaturale vendetta si consuma in un respiro sinfonico, pronto a portare in primo piano nelle versioni successive quello coreutico con la definizione di “opera-ballo” (il soggetto, dopotutto, è il medesimo di Giselle). L'impegno dei cantanti è concentrato in tempi brevi, sfuggenti squarci melodici (resta in mente giusto “Ah... dubita di Dio... | ma no, dell'amor mio non dubitar!”), frasi declamate e concitate. L'unica aria, “Anima santa della figlia mia”, è interpretata da un partecipe Marco Bussi (Guglielmo), normalmente avvezzo al repertorio secentesco o contemporaneo. Francesca Sassu, Anna, ha comunque modo di far intendere un bel timbro dolce e screziato, mentre un segno d'affaticamento del tenore Giuseppe Talamo nel duetto iniziale è soccorso con un bicchiere d'acqua dallo stesso Fasolis, che lascia il podio per un istante prima di attaccare l'Intermezzo sinfonico (qui chiamato solo Nebulosa, senza la ripartizione successiva fra Abbandono e Tregenda).
Questo è anche il momento in cui soprattutto si attendono direttore e orchestra. Il nome di un esperto del barocco e della prassi storicamente informata per Puccini può stupire e dare adito a qualche interrogativo, ma la scrittura delle Willis è così poco melodrammatica, in senso tardo ottocentesco, e così incline, viceversa, a forme fugate e contrappunti, da rendere l'approccio di Fasolis più che plausibile, molto compatto, coerente con la concisione della partitura. Semmai, si percepisce la tendenza a non cercare una cavata più profonda negli archi, già caratteristica precipua dell'orchestra dei Pomeriggi Musicali, in genere improntata a un nucleo sonoro piuttosto leggero. Quando, nella Tregenda e nel finale soprattutto, percussioni e ottoni fanno la loro parte, tendono a prevaricare. Il Coro della Radiotelevisione Svizzera si mostra ancora una volta un buon complesso forte dell'abitudine all'ascolto reciproco.
Gli applausi finali salutano il ritorno del primo Puccini là dove tutto è cominciato, con le prospettive perché, dopo centoquarant'anni, tutto possa continuare.