Un nuovo inizio
di Roberta Pedrotti
Dopo un inizio più interlocutorio con Das Rheingold, il Ring wagneriano del Comunale di Bologna convince maggiormente nella Walküre.
BOLOGNA, 17 ottobre 2024 - Dopo un prologo un po' interlocutorio, con la prima giornata il Ring wagneriano intrapreso dal Comunale di Bologna con la sua direttrice musicale Oksana Lyniv sembra aver trovato il proprio passo.
La forma oratoriale che nel Rheingold era parsa piuttosto casuale, appena punteggiata da qualche gioco di luce, ora sembra volgere verso una più organizzata visione semiscenica, complice anche un intreccio più compatto e lineare. Resta purtroppo uno iato fra il dinamismo degli interpreti più scafati nei rispettivi ruoli e altri ancora ancorati al leggio, ma l'impegno interpretativo è in tutti evidente, sì da far passare in secondo piano questo squilibrio. Si nota, semmai, come ci sia stato uno studio maggiore dello spazio del Teatro Manzoni, per entrate, uscite e interventi fuori scena o dislocati in diverse posizioni (per esempio il finale del secondo atto, con lo scontro fra Siegmund e Hunding). Insomma, questo Ring in concerto sembra aver intrapreso la strada di una più precisa e meditata identità anche teatrale.
Migliora anche il cast, per quel che concerne le vecchie conoscenze degli ultimi Wagner bolognesi. Sonja Šarić era piaciuta come Senta [Bologna, Der fliegende Holländer, 28-29/01/2023], era piaciuta come Freia [Bologna, Das Rheingold, 12/06/2024] e continua a piacere come Sieglinde: voce dolce di timbro ed emissione, interprete sensibile alla complessità di colei che per prima ha compreso il mistero di Siegmund e ne proclama il nome, per farsi poi eroica portatrice del nascituro Siegfried, non solo una vittima, ma anche una donna consapevole nella passione e nel dolore, nel dualismo fra la colpa evidente e una morale al di là del bene e del male. Stuart Skelton era stato un interprete valido del primo atto della Walküre proposto sempre da Lyniv a Bologna nel 2022 [Bologna, Die Walküre (atto I), 15/01/2022], ma allora aveva anche mostrato una tendenza molto rischiosa a strafare nelle grandi corone di “Wälse” e “Wälsungen blut”, in cui la voce tendeva a incrinarsi. Ora non solo il canto è più solido, ma anche il gusto meglio affinato, il fraseggio sfumato e la sua prova del tutto convincente. Anche Thomas Johannes Mayer, già Wotan nel Rheingold, piace molto di più in questa occasione: senza essere un tonante titano vocale, appare in forma decisamente migliore, con un'ottima tenuta complessiva e un'interpretazione decisa e personale. Non è più il dio fiabesco che si districa fra ambizioni, burle e inganni durante la costruzione del Walhall, è già segnato dalla profezia di Erda, sente i segni della sua impotenza, lo scontro fra il desiderio e la necessità, eppure è ancora vitale, ribelle, a tratti perfino istrionico, irruente, rabbioso, ma talvolta anche sfinito e quasi distaccato. Una visione non certo priva di interesse, in buona sintonia con la Brünnhilde di Ewa Vesin, voce sempre a fuoco e ben proiettata, più sfogata in acuto che nel grave, interprete che al debutto nella parte fa intuire un'indole fiera ma anche capace di delicatezza, tanto da risultare toccante nel terzo atto nella sua sincerità d'irruente, idealista giovane donna.
Convince anche l'imponente, altero Hunding di Albert Pesendorfer e conferma l'efficace impressione destata nel Rheingold di giugno la Fricka di Atala Schöck. Buono il gruppo delle walkirie: Yuliya Tkachenko (Gerhilde), Lisa Wittig (Ortlinde), Egle Wyss (Waltraute), Maria Cristina Bellantuono (Schwertleite), Chantal Santon Jeffery (Helmwige), Eleonora Filipponi (Siegrune), Marina Ogii (Grimgerde) e Federica Giansanti (Rossweisse).
Ci sono, poi, naturalmente, Oksana Lyniv e l'orchestra del Comunale, che l'interpretazione intensamente drammatica della direttrice ucraina vede in prima linea come forza trainante. Qui si nota il maggior salto di qualità rispetto al Rheingold: la partitura appare più metabolizzata, l'incedere nel complesso più fluido e, di conseguenza, la lettura più evidente. Quello di Lyniv si presenta come un Wagner concreto, spiccatamente narrativo, seppur alieno da espansioni e slanci lirici. Ne è un esempio l'Incantesimo del fuoco, che sembra proteso più all'aspetto descrittivo del crepitare crescente della fiamma che a una qualche suggestione assoluta, tant'è vero che è semmai nei passi più accesi dello scontro fra Siegmund e Hunding o della furia di Wotan imperioso e maledicente, nelle ardenti suppliche di Brünnhilde alle sorelle o nella Cavalcata che il podio sembra liberare la maggior energia, quasi una primordiale violenza. E se, tuttavia, da un lato si percepisce il vigore dell'impulso, dall'altro il respiro del fraseggio appare sempre estremamente sobrio e asciutto. Lo stesso inno primaverile del primo atto, debitamente luminoso nel colore, non si espande di per sé nella propria intrinseca ebrezza, bensì indirizzandosi come propulsore dinamico verso il finale, la conquista della spada, l'unione e la fuga dei gemelli.
Più azione che poesia, più pulsione che estasi, verrebbe da dire: il bello di Wagner (e non solo di Wagner) è la varietà di possibili chiavi di lettura. Questa evidentemente ha convinto il pubblico bolognese, che applaude con grande calore dopo ogni atto e vero entusiasmo alla fine.