Lo sguardo oltre la benda
di Roberta Pedrotti
Il Macerata Opera Festival promuove InclusivOpera: un'occasione per scoprire le arti figurative e il teatro musicale con guide e compagni di viaggio diversamente abili, per lo più non vedenti o ipoudenti. Le distinzioni fra i sensi "normalmente" intesi si fanno da parte per aprirsi a nuove percezioni e riflettere sul nostro rapporto con l'altro.
Il progetto InclusivOpera è in collaborazione con
l’Università di Macerata,
il Museo Statale Tattile Omero di Ancona,
la University of Pittsburgh (Pennsylvania),
l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti
l’Ente Nazionale Sordi.
MACERATA, 25 luglio 2020 - Un museo potrà pur essere sempre lo stesso. Potrà giusto ospitare esposizioni temporanee, dare in prestito qualche opera, periodicamente rinfrescare illuminazione e allestimenti. Ma resta sempre quello. Almeno, così spesso siamo portati a credere: si usa trasferire un'idea fasulla di immutabilità, di oggettività alla musica e al teatro (e via con i “povero Verdi”, i “povero Mozart”, le giaculatorie sui “baffi alla Gioconda”), difficilmente si riflette su quanto sia vero il contrario e anche la percezione dell'opera d'arte non performativa (l'oggetto finito che non richiede un interprete – attore cantante o strumentista che sia – ma offre già all'osservatore la scultura o il dipinto) possa essere suscettibile di mille variabili. Ogni volta che ascoltiamo una sinfonia di Beethoven sarà diversa perché diverso sarà il direttore, diversa l'orchestra, l'acustica, la nostra esperienza, il nostro umore. Ma anche ogni volta che osserviamo uno stesso dipinto di Raffaello può essere diversa la luce, la collocazione, diversi gli accostamenti, i nostri stati d'animo, il nostro vissuto.
Un museo, visita dopo visita, non sarà mai lo stesso. Cambia, anche in base alla compagnia, alla visita solitaria, autonoma, guidata, in coppia, in comitiva. Cambia anche per la percezione dell'altro. Pensate, allora, a quanto si può scoprire se con noi c'è chi non si rapporta al mondo come noi, chi non solo ha esperienze, vissuti, sensibilità diverse, ma anche sensi e possibilità fisiche diverse. Disabili o diversamente abili, si usa dire, alla ricerca di una parola che possa definire l'altro, le sue prospettive, le sue difficoltà.
Quando inizia la visita al palazzo Buonaccorsi, sede della Pinacoteca di Macerata, e Brando – un ragazzone ipovedente di quattordici anni – ti fa notare che il pavimento non è in pietra o laterizio, ma in legno di quercia antico, ti accorgi subito della ricchezza di una prospettiva diversa di sensi diversi. Ti ricordi che da quell'ingresso sei passata tante volte, per i musei, per uno spettacolo o una cena dopo una prima allo Sferisterio, e non ci facevi più caso, anche se un paio d'anni fa la tua amica Lucia te l'aveva pur detto, che era quercia e non selce. Ci voleva Brando a farti ripensare a quel che calpesti distrattamente ogni estate.
Brando ci fa da guida con Giulia e Valeria in alcune sale della raccolta d'arte moderna. InclusivOpera, iniziativa realizzata dal Macerata Opera Festival, procede anche con le limitazioni sanitarie: mascherine, distanziamenti, e, soprattutto, i guanti. Poiché l'esperienza tattile è fondamentale per “vedere” le opere esposte come le nostre guide, è naturale che la situazione attuale comporti una visita più breve e un tocco filtrato attraverso il lattice, amore protetto che non è per questo da meno, anzi. Tuttavia, forse, proprio le costrizioni delle norme anti-covid ci spingono a ponderare ancor di più ogni dettaglio, come la ragazza con mascherina trasparente per consentire la lettura del labiale agli ipoudenti, a riconsiderare il nostro stesso rapporto con i sensi anche attraverso l'arte.
Ci fermiamo attorno all'Aeroritratto di aviatore del futurista Umberto Peschi. Avevamo già letto della sua poetica del tarlo, il cui scavare è simbolo della condizione umana rappresentata dai forellini che tempestano la scultura, non mancano schede e didascalie, ma quando è una ragazza non vedente, il cui rapporto con l'opera si è sviluppato tutto attraverso le mani a raccontartelo, guidandoti nel ricercare con le dita (guantate) l'idea di Peschi, è tutta un'altra cosa.
In questa strano riappropriarsi del tatto, della fisicità riscoperta mentre è negata, anche gli studi di design e architettura, che il non addetto ai lavori rischiava di trascurare visitando il museo, si abitano con uno spirito nuovo, rivelano come se fosse la prima volta i volumi, le geometrie, perfino i colori, soprattutto la relazione con l'umano del lavoro di Ivo Pannaggi.
Non si tratta, però, solo di opere tridimensionali. Con i ragazzi dell'UICI (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti) “vediamo” come non avevamo mai visto anche i dipinti, i colori. Valeria – totalmente cieca dalla nascita – è sorprendente, non solo per la fluidità e la proprietà di linguaggio, ma anche per la capacità di descrivere e spiegare in maniera minuziosa senza dare mai la sensazione di aver imparato a memoria, di ripetere ciò che ha sentito senza averne avuto esperienza: no, i colori, le pennellate sulla juta, il loro senso, le forme perfette sono lì e par di toccarle, di sentirle solo con sensi diversi, come li ha conosciuti Valeria.
InclusivOpera non include solo chi è diversamente abile, ma anche noi considerati nel pieno possesso dei nostri sensi e che ci vediamo aprire nuove, molteplici possibilità di percezione.
E, poiché l'opera è, in fondo, anche musica che si vede e si tocca sul palcoscenico, l'incontro non poteva che chiudersi allo Sferisterio. Non, come al solito in questi casi, per accarezzare i costumi, palpeggiare le parrucche, tastare elementi scenografici, ma almeno per conversare. Per esempio scopriamo una melomane ipovedente che all'opera va solo a Macerata per poter usufruire dell'opzione di audiodescrizione. Sì, forse a noi vedenti l'idea di andare al teatro con una voce in cuffia che aggiorna sull'azione può sembrar fastidiosa, eppure... eppure il melodramma non è solo canto, non è solo suono: ci rendiamo conto di quanto questa opportunità di audiodescrizione possa essere utile e preziosa per molti, generare dubbi e curiosità, come quando la stessa signora chiede delucidazioni su azioni che si è sentita raccontare e che l'hanno stupita. Il dibattito sulle regie si riverbera perfino qui, ma con molta serenità, lasciando prevalere, piuttosto, un senso di inclusione e comunità fra sensi e abilità diverse, così come fra persone, sensibilità esperienze diverse.
Nel frattempo si prova Il trovatore in forma di concerto: senza scene, costumi e azione, tutti distanziati, noi e gli artisti, ci sarà differenza fra chi vede e chi non vede? Sì, penso proprio di sì: l'esperienza dal vivo è sempre un'esperienza di tutti i sensi, anche se alcuni sono più o meno sollecitati. Anche se ci sembra di dover solo ascoltare, non lo facciamo solo con l'udito, né solo con la percezione immanente, ma con tutto ciò che abbiamo conosciuto e vissuto fino a quel momento.
Proprio per questo, in un'epoca di strettissimi contatti virtuali, distanziamenti sociali, incontri di popoli e culture, barriere di bufale e ignoranza, entrare in contatto anche con la sfera di percezioni altrui può essere un'ulteriore, straordinaria occasione per riflettere sulla pluralità del mondo, sulla varietà di prospettive, sulla fisicità dell'esistenza.