Una giornata Senzaspine
di Roberta Pedrotti
L'orchestra Senzaspine, attiva a Bologna da 2013, crescendo non smette di programmare un cartellone onnivoro ed eterogeneo, ma ben riconoscibile per lo spirito informale. In attesa del Don Giovanni che andrà in scena in novembre, un'intensa fine settimana mozartiana offre interessanti spunti di riflessione fra laboratori teatrali nel segno dell'inclusività e dell'accesibilità e la possibilità di sperimentare lezioni di vari strumenti.
BOLOGNA, 19 settembre 2021 - Ultimamente va di moda guardare con sospetto ogni forma di possibile “politicamente corretto”, magari mascherando sotto forme di opposizione a presunti “pensieri unici” e “censure” varie forme latenti e inconsce di complottismo, omofobie, discriminazioni varie. A caccia di click, condivisioni e reazioni, i mezzi di comunicazione si buttano a capofitto nella mischia aumentando la confusione e le indignazioni ad libitum, spesso senza sostanziali appigli nella realtà. D'altra parte, è un fenomeno dilagante nell'universo virtuale, ma basterebbe guardare con un po' di lucidità a quello concreto per ridimensionarlo. Pensiamo, per esempio, alla parola diversamente abile, che potrebbe suonare come un eufemismo un po' peloso rispetto all'ormai desueto “handicappato” o al più recente “disabile”. Sì, è indubbio che a chi non può vedere, ascoltare, camminare manchi qualcosa, ma non è detto che questa mancanza non possa corrispondere, più che un'assenza, soprattutto una diversità di approccio.
Un paio d'anni fa, a Macerata, avevamo seguito un percorso di visita alla Pinacoteca e allo Sferisterio con guide non vedenti, rendendoci conto che perfino la pittura potesse essere compresa e raccontata da chi non può far uso dei cinque sensi comunemente intese. Ascoltando questi nostri Virgilio di una dimensione parallela e ignota, parlando con loro, era chiaro che non avessero imparato una lezione a memoria, ma avessero trovato una loro strada per incontrare l'arte. Progetti di questo tipo, per fortuna, si moltiplicano e arrivano a toccare anche l'opera, vale a dire una delle forme d'arte più complete e complesse anche dal punto di vista sensoriale: se possiamo immaginare di poter raccontare scene, costumi, azione a chi non vede, come possiamo, però, sperare di far intendere la musica a chi non sente? Già ci sono stati casi di danzatori non udenti che si sapevano orientare percependo le vibrazioni dal suolo, forse ci sono altre vie da percorrere? Un assaggio lo abbiamo avuto partecipando al laboratorio organizzato, in collaborazione con Community Opera - compagnia L'Albero, dall'Orchestra Senzaspine di Bologna nell'ambito del MozartFest programmata fra gli eventi legati alla produzione di Don Giovanni e a un progetto dedicato proprio all'inclusione e all'accessibilità.
Come fece “liberamente sul Campo di Siena” Farinata degli Uberti, per partecipare a un laboratorio di questo tipo, bisogna innanzitutto saper deporre ogni vergogna. Già questo è un bel punto di partenza, a cui si aggiunge un assaggio del rapporto fra LIS, la Lingua Internazionale dei Segni, e la musica. Sì, perché magari siamo abituati a notare distrattamente un interprete LIS in un riquadro durante un telegiornale e a considerarla solo una forma meccanica di “mimare” il discorso. Invece il gesto significante LIS può essere vissuto, interpretato, fatto poetico, teatrale, perfino musicale. D'altra parte nasce da un'espressione fisica, viene trovato più che codificato a priori, tant'è vero che proprio questo nuovo interesse per un approccio dei non udenti all'opera sta portando a tradurre i titoli cercando il gesto più appropriato che lo interpreti. Perché di tradurre e interpretare si tratta, non di illuderci di creare un surrogato di quel che noi “normalmente abili” consideriamo l'ascolto e la visione, ma di trovare una forma per comunicare l'arte anche a chi ha percezioni diverse. Si tratta di strade in gran parte inesplorate, ma che vale la pena non abbandonare, anche per chi non sarebbe direttamente interessato ma potrebbe scoprire prospettive nuove e stimolanti.
Nel pomeriggio si cambia registro, ma, in fondo, la sostanza rimane la stessa: esplorare, con tutti i sensi e in tutti i sensi. Andrebbero offerte più spesso occasioni come questo open-day in cui, con tutte le opportune precauzioni igieniche, è possibile sperimentare una prima lezione di vari strumenti. Una stortura della nostra mentalità scolastica è proprio quella che scinde in maniera manichea saperi umanistici e scientifici, teorici e pratici, con conseguenze nefaste che si possono osservare quotidianamente. Se già, poi, nei programmi la conoscenza della musica è negletta rispetto alle già neglette arti figurative, figuriamoci l'approccio a uno strumento o al canto, riservato, al di là di risibili rudimenti, solo a chi mostri già la vocazione a una carriera professionale (ammesso e non concesso che si riconosca al musicista lo status di lavoratore). La musica, insomma, sembra restare mero “ferro del mestiere” pratico, al più un hobby sofisticato e non parte della formazione di un cittadino. Proviamo, invece, mettiamoci in gioco. Rosalba, la mia insegnante di violino per un giorno mi chiede se fosse più facile o più difficile di quanto pensassi: entrambe le cose, in realtà, perché una guida ti fa rendere conto che è possibile trarre un suono dallo strumento (ci avevo provato clandestinamente anni fa e ne era sortito solo un imbarazzante silenzio), ma anche di quante insidie inaspettate ci siano (nel mio caso, la postura delle dita per impugnare l'archetto fa rima con tortura), quanto lavoro serva per trasformare in musica quello stridio sgraziato. Non parliamo, poi, degli strumenti a fiato, soprattutto quando per istinto un bimbetto che a malapena ti arriva ai fianchi in pochi minuti squilla come cerchi invano di fare da un'ora. Sì, perché non basta soffiare in una tromba per far uscire un qualunque “perepé”, la cosa è un po' più complicata: per fortuna sono testarda (anche se provo a divagare con chiacchiere musicali) e Marco ha la pazienza di Giobbe. Per fortuna esistono anche trombe da studio in materiale plastico leggere, economiche, utilissime per un primo approccio. Da lì passare al corno sembra un po' più semplice, perché la meccanica dell'emissione è simile, e il fatto che Giulio abbia un metodo di insegnamento un po' diverso – ma pari pazienza – aiuta ancor più ad aprire la mente al rapporto fisico con lo strumento e il suono, che ha molto in comune con il canto anche se a vibrare non sono le corde vocali. Non è importante, poi, tanto diventare strumentisti, per solo diletto o di professione, importa constatare cosa sia il lavoro sul suono, constatare che “si può fare”, ma anche quanto impegno richieda. Importa anche solo vivere l'esperienza fisica e mentale della concentrazione su di sé, sul respiro, il rapporto con lo strumento e la vibrazione della nota.
Qualche ora di pausa, ed è subito sera. Non subito, a dire il vero, perché se bar e cucina sono subito iperattivi per l'ultimo appuntamento c'è un po' da aspettare. È lo scotto da pagare per un concerto borderline, dove noi che siamo avvezzi a spaccare il secondo e a guardarci intorno spazientiti se dopo dieci minuti l'orchestra non si è ancora accordata incontriamo un pubblico abituato a tempi molto più dilatati e aleatori, fra un drink e l'altro. Fa parte del gioco, mentre nello staff tutti fanno un po' di tutto, passando dal violino alla cassa con nonchalance, per tenere fede allo spirito iniziale disimpegnato anche ora che il calendario si sta alzando di livello, per esempio con la recente presenza in residence nel cartellone estivo dell'Accademia Chigiana di Siena. Il programma di stasera è frutto di un piccolo concorso rivolto a chi si occupa di generi lontanissimi dal classico (dj e dintorni) per elaborazioni su temi mozartiani. Alcune scelte sono decisamente sofisticate, vanno a frugare anche nella Clemenza di Tito senza fermarsi alla Kleine Nachtmusik o ai picchiettati della Regina della Notte, le coreografie hip hop non stonano con la voce del soprano vestito in tema con i codini alla Harley Quinn, mentre sul podio si alternano Matteo Parmeggiani e Tommaso Ussardi. Il vecchio capannone del mercato ortofrutticolo, ribattezzato Mercato Sonato, è senz'altro simpatico, ma non proprio acustico in senso tradizionale, quindi si presta a qualche bizzarria più che ai concerti tradizionali, che si svolgono in altre sedi. E in una birra artigianale o in un cocktail dal nome mozartiano possiamo affogare il disagio generazionale (?) di non riuscire a capire il declamato rap-freestyle. Ci sta, dopo una giornata tanto piena e ricca di stimoli, anche un epilogo di folli accostamenti senza bisogno di doverci ragionare troppo sopra. L'unico confine, necessario, oggi è il greenpass, poi via libera a lunghe chiacchiere rilassate ma che possono soffermarsi anche fra Carlos Kleiber, Rosamunda Pisaroni, il senso di far musica, di parlarne e di scriverne.