L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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CHABANON E LA SUA OPERA DE LA MUSIQUE

INTRODUZIONE AL TESTO

Michel Chabanon fu un musicista, compositore e teorico, e un letterato, naturalizzato francese: nacque a San Domingo nel 1730 e si spense nel 1792 a Parigi. Per quanto di formazione illuministica (era grande amico e ammiratore di Voltaire, che elogia anche nella sua opera De la musique), appartiene, come già detto, alla cultura preromantica e il titolo del testo esaminato in questo capitolo ne è testimonianza. La musica può legarsi ad altre arti e discipline, ma nasce come entità autonoma e indipendente da esse. Coadiuvata dalla parola, il linguaggio, la poesia e la sua teatralizzazione, la musica ripropone le passioni naturali, ma Chabanon sottolinea che anche quando è “pura”, cioè libera da rapporti e relazioni, è capace di esprimere affetti. Tale concezione è senza dubbio sintomo di una nuova coscienza che sta prendendo forma e che preludia la vera e propria emancipazione di quest’arte nel corso dell’Ottocento, che non condanna le passioni suscitate dalla musica e le accoglie come complemento dell’uomo, ma che soprattutto si interroga sugli effetti che quest’ultima ha sull’ascoltatore:

«Puis-je rèveiller le souvenir de nos disputes sur la musique, sans observer qu’il est de la destinée de cet art, plus que de tout autre, d’intéresser la concorde et la tranquillité des citoyens; ce qui tient sans doute à la prodigieuse force des impressions que cet art fait éprouver?»

Siamo dinnanzi al tentativo di dare un volto più complesso alla musica, che si impone prodigiosamente, molto più di ogni altra arte, ci travolge.

L’opera di Chabanon De la musique è uno scritto estremamente articolato, che, come esplicitamente espresso dall’autore, non vuole essere un trattato:

«Nôtre livre ne doit ni apprendre la musique à ceux qui ne la savent pas, ni perfectionner les talens de musique dans ceux qui les ont acquis: il doit faire penser et réfléchir ceux qui connoinssent l’art, et quex qui l’ignorent, ceux qui l’aiment, et ceux qui n’ont pur lui que du dégoût: c’est à proprement parler, un ouvrage de philosophie fait à l’occasion de la musique.»

Non parliamo più esclusivamente della musica dei teorici; personalità come Chabanon desiderano abbracciarla nella sua totalità, interessandosi alle esperienze degli amatori, che possono comunque esprimere giudizi, seppur non tecnici.

La peculiarità del testo risiede nel fatto che Chabanon parla di poesia, linguaggio e teatro come accessori della musica, per dimostrare che essa non ne ha bisogno per veicolare emozioni. Li cita per negarne la rilevanza.

Strutturalmente, l’opera consta di due ampie sezioni ed un’appendice finale. La prima parte è quella di maggiore interesse per la nostra ricerca di indizi che accostino De la musique alla costruzione di un percorso estetico-musicale settecentesco.

MELODIA E SOGGETTIVITÀ

L’uomo riesce a dominare le passioni grazie all’azione catartica della musica, la cui efficacia risiede in una potenza intrinseca, che dà voce alla sfera sentimentale, all’interiorità: secondo Chabanon, il potenziale della musica risiede nella melodia, linguaggio dell’anima. La melodia (un tessuto tra le cui trame non si intellige solo una combinazione di note, ma si intrecciano pensieri e sentimenti, che, divenendo sonori, diventano quasi tangibili) e il cuore discorrono amabilmente, come due amichevoli interlocutori.

La melodia è ciò che maggiormente differenzia un’esecuzione da un’altra, ed è quindi nuovamente evidente la volontà di Chabanon di dar spazio alla soggettività, che, però, è sorretta dalle solide basi dell’oggettiva armonia: in Rameau, l’autore identifica quel complesso di regole dalle quali non si può prescindere; anche se privilegia la melodia e critica Rameau con atteggiamento pressoché rousseauiano, Chabanon non si scaglia contro l’armonia. Così giustifica il maggiore risalto che dà alla melodia:

«Nôtre intention étant de réduire la musique à l’idée la plus simple qu’on puisse s’en fair, afin d’en raisonner plus pertinemment, nous la considérerons d’abord uniquement comme mélodie, sans tenir aucun compte des embellissemens que l’harmonie lui prête.»

La melodia è musica pura e tinge di unicità ogni composizione. Fra melodia e armonia, orizzontalità e verticalità, successione e simultaneità, non vi è un rapporto gerarchico, bensì coabitazione. La prima, sonorità pura, canto dell’interiorità, è implicita nell’armonia, anche se il sentimento prevale inevitabilmente sulla teoria: una melodia senza sovrastrutture armoniche può esistere, ma non il contrario (il risultato sarebbe «une musique qui ne chante pas>>, priva di quel “certo non so che”). Le regole esistono ed è giusto che sia così, sono necessarie, ma rimane pur sempre il fatto che risultano subordinate al gusto personale e impotenti dinnanzi alla sua autorevolezza. Il sapere teorico è innegabilmente capitale per chi vuole cimentarsi in un’opera d’arte, ciò non toglie che le fatiche dell’artista non siano sempre ricompensate o apprezzate da tutti:

«On condamne une musique que l’on n’aime pas (ou qu’on ne veut pais aimer) et, comme pour consoler le compositeur de cette improbation malévole, on lui laisse le triste dédommagement d’un éloge qui ne signe rien: on le reconnaît savant, pourvu que les autres le reconnoissent sans génie et sans goût; le détracteur gagne tout à cet échange.»

Nel secondo capitolo della prima parte della sua opera, Chabanon tratta di melodia, rapportandola non solo agli affetti, ma anche al principio d’imitazione. Sin qui si è detto che, secondo l’autore, la musica veicola passioni, e lo fa grazie alle proprietà individuali intrinseche delle melodie, caratterizzate da spirito soggettivo. A questo punto, Chabanon si domanda: tutto ciò rende la musica un’arte imitativa? Vale a dire, la melodia imita le passioni?

LA MUSICA È UN’ARTE IMITATIVA?

Secondo Chabanon, la musica non è un’arte imitativa. Innanzi tutto, a suo avviso, una melodia non imita gli affetti, ma è allegoria di una situazione: ad esempio, una fanfara può riportarci alla mente un’immagine guerresca. Il fatto che l’ascolto susciti emozioni non significa che la melodia stessa le debba star imitando: in altre parole, Chabanon sembra prendere le distanze dall’imperante sensibilità classicista, secondo la quale musica e ascoltatore sono direttamente proporzionali l’una all’altro. Una musica non deve per forza imitare un affetto per suscitarlo nel pubblico. Un canto malinconico può anche far affiorare un sorriso:

«Le chant d’une nourice soulange ses douleurs, calme son impatience, lui transmet une gaîte qu’atteste son sourire innocent. Transportons-nous dans les forêts qu’habitent les peuples féroces et indisciplinés, nous y verrons la musique, compagne inséparable de l’homme et comme lui réduite à l’instinct le plus sauvage.»

Indipendentemente dal contenuto, comunque importante per meglio comprendere l’ascolto, la musica ci colpisce, e sempre in maniera personale. Per sostenere le sue tesi, Chabanon si sposta geograficamente, porta l’esempio di culture extra-europee (di cui, come già detto, tratterà approfonditamente anche nell’appendice del testo) per identificare e studiare una musica il più possibile pura e libera da convenzioni. Continua Chabanon:

«Les sauvages emploient la musique dans leurs fêtes, qui sont militaires ou funéraires, et leurs chants, ainsi qu’ils les appellent eux-mêmes, sont des chants de joie ou de mort. […] Les chants des sauvages n’ont aucun des caractères dont nôtre imagination les juges susceptibles ; la mélodie en est douce et gaie plutôt que terrible et (ce qu’il faut bien remarquer) le chant de guerre ne diffère pas du chant de mort : l’un n’est ni vif ni bruyant, l’autre ni triste ni lent.»

Si era già accennato al fatto che il giudizio di Chabanon a proposito delle melodie dei nativi è inevitabilmente filtrato dalla sua percezione culturale, che non gli impedisce di comprendere appieno il significato dei canti e di differenziarli; in ogni caso, indipendentemente da questo discorso e dall'esattezza o meno di alcune sue affermazioni, ciò che ci interessa rimarcare è il suo messaggio, quello che desidera dimostrare: il canto non è imitazione. Più avanti, leggiamo ancora:

«L’incohérence du chant et des paroles se fait sentir dans les chansons des nègres qui peuplent nos colonies. Ils mettent en chant tous les événements dont ils sont témoins, mais, que l’événement soit heureux ou sinistre, l’air n’en a pas moins le même caractère.»

L’esistenza di oggetti esterni alla musica e dai quali essa è ispirata e provocata è comunque un dato di fatto, Chabanon ne è consapevole, ma al contempo la delinea sia come un’arte estremamente complessa, che si può associare ad altre, sia prettamente indipendente, a tratti autoreferenziale e quasi bastante a se stessa, nella quale non vige il principio di imitazione; nemmeno le melodie si imitano a vicenda, piuttosto possono assumere lo stesso carattere:

«L’imitation musicale n’est sensiblement vraie que lorsqu’elle a des chants pur objet. En musique on imite avec vérité des fanfares guerrières, des airs de chasse, des chants rustiques, etc. Il ne s’agit que de donner à une mélodie le caractère d’une autre mélodie.»

La natura, più che oggetto di imitazione, pare essere abitata dalla musica: la realtà è un palcoscenico sul quale si muovono le musiche-attrici, che non narrano una storia agli spettatori, ma spettacolarizzano la propria esistenza.

La questione dell’imitazione, o meglio della negazione di codesto principio in musica, porta Chabanon (che abbiamo notato essere filorousseauiano nel privilegiare la melodia rispetto all’armonia), nel nono capitolo della prima parte dell’opera, intitolato L’expression du chant ne consiste pas dans l’imitation du cri inarticulé des passions, a muovere un’evidente critica anche a Rousseau, soprattutto su un piano dialettico:

«Plusieurs de nos passions n’ont point de cri qui leur soit propre; la musique cependant les exprime. Les instruments incapables de rendre les cris de la voix humaine n’en sont pas moins les interprètes éloquents de l’énergie et de l’expression de la musique. […] Comment la musique, sans imiter la parole, ni les cris, exprime-t-elle les passions ? Elle assimile, autant qu’elle peut, à nos divers sentiments, les sensations diverses qu’elle produit ; c’est ce que nous allons développer.»

La musica possiede già determinati caratteri, pertanto non le è necessario ricorrere all’imitazione per manifestarli: semplicemente li ripropone in chiave propria. È una ricca tavolozza di passioni, che ognuno percepirà in base alla propria storia, alla propria soggettività: ciò rende la musica immensa. Una melodia ci può portare in un numero infinito di atmosfere diverse. Un’unica serie di suoni, a seconda di chi ascolta, può dar vita a innumerevoli versioni di sé, ciascuna meritevole; l’uomo del Settecento costruisce il sapere insieme ad altri compagni di viaggio, che contribuiscono ad arricchire la sua unicità.


 

 

 
 
 

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