NOTE DEL DIRETTORE
di Francesco Cilluffo
Gustav Mahler ne diresse la prima rappresentazione fuori dall’Italia. La Regina Victoria ne fu talmente entusiasta da richiedere una replica in forma privata al Castello di Windsor. Giuseppe Sinopoli ne fece una registrazione memorabile, portando in luce tutta la natura espressionista e rituale della partitura. Fu una delle pochissime opere liriche dirette in teatro da Leonard Bernstein. Non stiamo parlando di un’opera di Weber o di Wagner, bensì di Cavalleria Rusticana di Mascagni, una delle opere più popolari. Come interpretarla, alla luce di quanto appena ricordato? E' sicuramente sbagliato ignorare la tradizione esecutiva di un’opera lirica a priori, ma ritengo che per rendere giustizia a Mascagni sia importante guardare alla partitura con occhi obiettivi e, per quanto possibile, nuovi. Se da un lato certi indugi e certe libertà di tradizione sono ormai parte all’opera – e a ragione, trattandosi di scelte già testimoniate nelle incisioni di Mascagni stesso – dall’altro questo capolavoro nasconde aspetti meno scontati che cerco di mettere in luce in queste rappresentazioni. Ad esempio, il celeberrimo tema dell’Intermezzo parte con l’indicazione pianissimo e solo gradualmente va verso il crescendo, in un’atmosfera piena di Sehnsucht mediterranea che – per tornare a Mahler – si manifesta nella stessa tonalità e con lo stesso organico del celebre “Adagietto” della Quinta Sinfonia (scritta però dodici anni dopo la prima di Cavalleria); vanno inoltre sottolineati in modo esplicito certi passi affidati ai contrabbassi che, come in Guglielmo Ratcliff, raffigurano musicalmente il nervosismo e la tensione sottesi all’azione, qui associati al personaggio di Alfio dal Preludio fino al vortice finale della prima parte, al grido Ad essi non perdono!; amo esasperare anche il carattere espressionista dell’entrata di Santuzza (affidata agli archi gravi, con atmosfere che preannunciano quasi Richard Strauss e persino Šostakovič), oppure il tema del celebre brindisi di Turiddu, che, nel suo suggerire abbandoni dionisiaci, verrà citato quasi testualmente nella Prima Sinfonia di Jean Sibelius (scritta dieci anni dopo Cavalleria).
In che rapporto mettere, poi, Cavalleria Rusticana e La voix humaine di Poulenc?
Si tratta di due opere che guardano entrambe alla solitudine, rappresentata però attraverso due riti diversi: in Cavalleria il rito religioso, comunitario e mediterraneo, in Voix humaine quello privato, cittadino, laico e ancora attuale nel suo utilizzare un mezzo di comunicazione di massa quale il telefono per “gestire” una relazione sentimentale. Opere peraltro scritte da due autori di ispirazione marcatamente “vocale”, che hanno però saputo trovare nel discorso musicale un modo di trasfigurare e rendere tangibile la natura depressiva che al tempo stesso nutriva e minava la loro vita artistica e la loro vicenda umana. Il dialogo di Elle con l’interlocutore telefonico, sebbene connotato da una dimensione sensuale innegabile (alla quale l’autore stesso allude nel frontespizio della partitura), nasconde anche la metafora del confronto tra vittima e carnefice, e persino tra credente e Dio, come ben sapeva il cattolico Poulenc (che concepì i Dialogues des Carmelites durante il travagliato e tragico rapporto con Lucien Roubert a Tolone). Proprio per evidenziare tali contrasti ho voluto dare rilievo, in questa partitura, alle punteggiature più “cattive” e fauves degli ottoni e delle percussioni, senza rinunciare alla ricchezza degli abbandoni melodici sentimentali, quasi da chanson leggera, che ad esse fanno da contrappunto (Poulenc si chiedeva nelle sue lettere se certi momenti non sembrassero “troppo à la Edith Piaf”!).
Le due partiture mi suggeriscono due approcci interpretativi opposti e al tempo stesso complementari alla loro tradizione esecutiva: in Poulenc, esasperare i lati più “appuntiti” dell’orchestrazione, laddove spesso ci si aspetterebbe un mondo sonoro patinato, senza linee e falsamente “impressionistico”; in Mascagni, asciugare ogni connotato bozzettistico (come fecero mirabilmente Mitropoulos, Sinopoli e Karajan) per arrivare a mettere sotto la lente d’ingrandimento il conflitto atavico e assolato della partitura, che dialoga col mondo archetipico dello Strauss di Salome ed Elektra.
Parafrasando una celebre definizione di Alberto Arbasino, si potrebbe dire che se il Wozzeck di Berg è la Cavalleria Rusticana dell’Europa settentrionale, La voix humaine altro non è che l’Erwartung dell’Europa meridionale.