Assenza e presenza
di Luigi Raso
Di ottimo auspicio per il futuro la prima produzione affidata a Juraj Valčuha dopo la nomina a direttore musicale del Teatro di San Carlo: Elektra, nell'allestimento del 2003 firmato da Klaus Michael Grüber, convince senza riserve.
NAPOLI, 15 aprile 2017 - “L’assenza è presenza” afferma Lenny Belardo, l’immaginario Papa Pio XIII, protagonista della serie The Young Pope.
A Richard Strauss bastano i pochi accordi iniziali di Elektra per evocare Agamemnon, coprotagonista assente/presente del dramma; lo stesso re acheo, dopo pochi minuti di conversazione musicale tra le ancelle, sarà invocato/evocato dalla disperata figlia Elektra (“Agamemnon! Agamemnon! Wo bist du, Vater? hast du nicht die Kraft, dein Angesicht herauf zu mir zu schleppen?”, “Agamennone! Agamennone! Dove sei, padre? Non hai tu la forza di trascinare fino a me il tuo volto?”).
La “presenza” del re si avvertirà, attraverso il rimando speculare degli accordi iniziali, nel tragico finale del dramma, questa volta a vendetta compiuta e dopo la dionisiaca e catartica danza di Elektra.
Come il dramma hofmannstahliano ci porta immediatamente in medias res, l’orchestra scolpisce con accordi incisivi la figura del re degli Achei ucciso dalla moglie e allo stesso modo le scene e i costumi del grande artista Anselm Kiefer evocano immediatamente un mondo in brandelli, post bellico, atemporale, specchio delle tragedie personali dei protagonisti e della loro psiche destrutturata.
Scene monocromatiche evocative di mondi apparentemente inconciliabili: architettura industriale, container, elaborazione contemporanea delle rovine micenee della reggia degli Atridi.
Lo spettacolo con la regia di Klaus Michael Grüber, ripresa da Ellen Hammer, ritorna al San Carlo dopo il successo dell’inaugurazione della stagione lirica del 2003-2004, suggellato dal prestigioso Premio Abbiati nel 2004.
La regìa e le luci di Guido Levi, riprese da Fiammetta Baldiserri, delineano uno spettacolo di grande intensità emotiva, nel quale emergono chiaramente, seppur senza concessione alla platealità, le relazioni morbose ed esasperate intercorrenti tra i personaggi: l’odio e la feroce smania di vendetta di Elektra nei confronti della madre Klytämnestra, l’affetto tra la stessa eroina eponima e il fratello Orest.
Di grande intensità la scena dell’agnizione tra Elektra e Orest: dapprima lontani, quasi pietrificati l’uno di fronte all’altra, poi vicini e sciolti in un tenero abbraccio che prelude alla organizzazione della vendetta.
Intenso effetto teatrale è quello in cui Klytämnestra, entrando lentamente, si spoglia delle sue vesti regali le quali restano rigide e immobili sulla scena fino al termine del dramma, come adagiate su un invisibile manichino: scompare dalla scena la regina e fa ingresso la donna macerata dagli incubi e dal rimorso.
Le luci, le torce elettriche contribuiscono a ricreare efficacemente le visioni notturne che attanagliano i personaggi, nonché il senso di attesa e di angoscia nel quale viene concepito e si consuma il dramma e il duplice omicidio di Klytämnestra ed Aegisth.
La direzione di questa ripresa è affidata alle attente cure di Juraj Valčuha (nel 2003 sul podio c'era Gabriele Ferro), al debutto operistico al San Carlo nelle vesti di direttore musicale.
Valčuha scava nei meandri strumentali e armonici la complessa partitura, evidenziandone i nessi con il nascente Espressionismo musicale (la stesura di Erwartung di Schönberg risale allo stesso anno della prima rappresentazione di Elektra), ricomposta in una visione unitaria drammaturgica e musicale.
Una lettura, quella di Valčuha, serrata e scevra da roboanti e sensazionalistici effetti strumentali che tanto possono nuocere a Strauss, nella quale però non mancano gli abbandoni lirici e il ricorso a misurati rubati.
Il direttore slovacco “suona” l’orchestra più che dirigerla, con un controllo totale delle sezioni, impartendo gli attacchi a tutti gli strumenti e comunicando costantemente le intenzioni dinamiche, così da ricavare un unicum musicale serrato, compatto e dal bel suono, il tutto in perfetto equilibrio con le voci.
Ottima la prova dell’orchestra dunque, la quale senza sbavature ha affrontato l’impervia partitura di Strauss, confermando ancora una volta la duttilità e l’estrema professionalità dell’intera compagine.
Il ruolo della protagonista era affidato a Elena Pankratova, soprano russo dalla voce corposa, a proprio agio anche nel registro più acuto; la Pankratova ha delineato un personaggio dolente, consumato dalla smania di vendetta, che però riesce ad adattare la propria vocalità a momenti di lirismo, come durante il duetto con Orest. Un unico appunto alla prestazione: la Pankratova è apparsa alquanto impacciata scenicamente nell’orgiastica danza finale.
Orest era interpretato da Robert Bork, voce robusta, timbrata e possente: di grande intensità, scenica e vocale, il citato duetto con la sorella Elettra.
La Chrysothemis di Manuela Uhl ha voce squillante, di buon volume, leggermente sfuocata nel registro grave, ma in perfetta simbiosi, anche scenica, con la sorella Elektra.
La coppia assassina di Aegisth e Klytämnestra era interpretata da Michael Laurenz e Renée Morloc: il primo sfoggia una timbrata voce tenorile, probabilmente troppo spavalda per un personaggio succubo di sua moglie; la seconda, invece, un canto abbastanza logoro, di limitato volume, ma aderente al ruolo delle regina consumata dagli incubi e dal terrore nei confronti della figlia.
Le parti secondarie, essenziali nell’economia della partitura, assecondavano tutte la visione complessiva del concertatore, contribuendo alla riuscita dell’affresco musicale.
Il pubblico del Teatro San Carlo, numeroso malgrado la rappresentazione prepasquale, ha decretato un notevole successo per tutti, ottimo auspicio per il futuro lavoro del neo direttore musicale Valčuha.