La voce secondo Democrito, Anassimandro e la scuola stoica
L’Umanesimo, la cultura del Rinascimento, legata all’esigenza, sentita, come è ormai noto, anche da Maffei, di ricollegarsi al mondo greco-latino, individua la verità nella ricerca: come diceva Platone, che in questo discordava con Aristotele, la verità non è in mano a uno, ma è costruita dal sapere di più soggetti che condividono il bisogno di trovarla. In tal senso, nelle epistole di Maffei, un genere letterario fortemente personale, fondato sul dialogo fra più individui che condividono conoscenze e domande, aleggia un’inclinazione platonica. Credo che questo dato sia estremamente importante per tingere di nuove sfumature il pensiero di un filosofo dichiaratamente aristotelico. Interessandoci agli studi di Maffei relativi alla voce, non possiamo trascurare nessun dettaglio, tantomeno un elemento di questo tipo, indice del suo approccio metodologico squisitamente umanista e di matrice platonica.
Invece, l’atomismo di Democrito pare molto distante dalla visione di Maffei: avversato da Aristotele, Democrito spiega il reale solo da un punto di vista materialistico, fondato sull’incorruttibilità degli atomi, e questa prospettiva sfocia anche in una rigorosa fisica acustica, di cui la voce rimane vittima. Vale comunque la pena citarlo, perché, innanzi tutto, si è dedicato a studi scientifici acustici, è l’iniziatore della teoria matematica della scala musicale e ha contribuito al consolidamento, che abbiamo visto è resistito anche nel Rinascimento, della musica come scienza; infine, nelle sue opere di logica, scrisse che l’uomo non sa nulla in modo autentico, perché la verità giace nel profondo; conosciamo solo ciò che si trasforma secondo la disposizione del nostro corpo. Esulando dall’ottica atomistica, ritroviamo precetti basilari anche per Maffei: c’è una verità celata, resa parzialmente individuabile dai mutamenti che sono in relazione con le condizioni in cui versa il corpo che ne ha esperienza. Inoltre, dobbiamo rammentare che il materialismo di Democrito fornisce l’imprescindibile base per speculazioni ulteriori: del resto, l’invisibile non è il risultato del visibile? Senza un corpo non può esservi né suono né voce. Tengo a sottolineare una frase del già riportato esempio del vaso di rame:«[…] v’è necessaria la materia; perche né lo maestro, né l’instromento fariano effetto alcuno, s’il rame non vi fusse». Inoltre, sia Maffei che Aristotele legano, come vedremo minuziosamente nel paragrafo 3.2, la produzione della voce a precisi organi, in assenza dei quali la voce non può addirittura esistere; in aggiunta, si è già più volte ricordata la rilevanza che Maffei attribuisce al rapporto che intercorre fra la condizione del corpo sonoro e il risultato vocale ne che consegue. Passione e materia sono inscindibili, ed è la loro unione che genera la voce. Eppure, deve esserci un qualcosa che dia il via a codesta unione, che consenta alla voce di vivere e riflettere all’esterno l’interiorità: è insito nelle parole di Maffei un richiamo a un impulso iniziale. Tutto ciò ricorda la mescolanza originaria, principio dell’universo per Anassimandro: il filosofo di Mileto, che probabilmente fu maestro di Pitagora, propone un modello di circolarità, nel quale l’infinito è inizio e fine di tutto. Maffei pensa ad una voce che è specchio di chi la emette, esce dal corpo, ma recando parte di esso con sé, “un non so che”, un cosmo sonoro; ma questo non basta, deve esserci una sorta di scintilla, un principio della voce, e, per spiegarlo il nostro solofrano si accosta a un concetto caro ad Aristotele e anche agli stoici. Il “pneuma”, nei filosofi pre-socratici, indica il principio vitale; nello stoicismo, acquista l’accezione di “spirito”, mediante il quale il divino anima le cose, dona loro la vita. Per gli stoici, gli elementi costitutivi di un organismo rispondono, armonicamente, all’azione finalistica di un “fuoco artefice” o “soffio vitale” (concetto noto anche ai rinascimentali e all’aristotelico Maffei), il pneuma, appunto, che nella biologia aristotelica era usato per spiegare i meccanismi della respirazione e del movimento. L’armonioso organicismo stoico è piuttosto simile al finalismo degli organi fonatori e respiratori in Maffei, nei quali l’aria è un’elastica generatrice di suono: il soffio vitale, il respiro, animano il suono ed i “moti interni” che si fanno voce vibrano nell’aria. Ergo, l’aria dà vita alla voce, ed è altresì il luogo in cui la materia acustica esiste: un medium, un “macrocontenitore” che al contempo è fertile creatore; la ragione del prefisso “macro” è che sappiamo che anche la voce ha un certo non so che al suo interno. Pertanto, il modello illustrato è a più livelli, nonché assai complesso, ma evoca immagini finite: il contenitore è un qualcosa di chiuso, nel quale, nel nostro caso, vi è energia sonora, e quest’ultima si rinnova partendo, perciò, da se stessa. Le passioni muovono il suono, caratterizzato, come in effetti la scienza testimonia, da un moto ondulatorio simile a quello dell’acqua; un’allegoria maggiormente convincente e pertinente sarebbe uno specchio d’acqua circoscritto, come uno stagno. Gli stoici usarono questo preciso esempio per esplicare, su un piano visivo, i meccanismi acustici. Abbiamo uno stagno e l’acqua è ferma, ma basta che io getti un sassolino e la staticità si tramuta in movimento. Le increspature che si creano si inseguono fino ai bordi dello stagno; anziché infrangersi, si ripiegano su se stesse.
Il modello stoico dello stagno illustra come intende la fisica del suono anche Maffei. Tuttavia, è indubbio che nei discorsi di Giovanni Camillo Maffei ci siano i presupposti per una metafisica della voce che trascende la scienza. Secondo l’illustre solofrano la genesi dell’infinito risiede in ciò che non è tale; quel “non so che”, poliedricamente sfaccettato e riducibile all’affetto, non è calcolabile o precisamente delineabile. Non ha confini, tant’è che non può non valicare l’uomo, e per farlo ha eletto la voce a messaggera. Ecco che parlare, cantare, divengono l’equivalente di porte che spalancano i cuori verso l’esterno. Infine, si profilano anche i limiti delle scienze, che ad un certo punto si fermano. La voce, invece, va oltre le leggi, è un’abitante di un altro mondo.