L’Ape musicale

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Rigoletto

NOTE DEL DIRETTORE

di Pietro Rizzo

L’11 marzo del 1851 è certamente una data da ricordare nella storia del melodramma italiano. Infatti, il pubblico della prima del Rigoletto, al Teatro della Fenice a Venezia, assistette ad un’opera “rivoluzionaria”, con la quale Verdi impresse un’accelerazione, ancora maggiore che nelle sue opere precedenti, alla riforma dell’opera romantica italiana che raggiungerà il suo culmine con Otello e Falstaff, le due ultime opere del Maestro: nonostante anche nella musica si trovino degli elementi innovativi nella scrittura verdiana, le novità nel Rigoletto riguardano maggiormente la costruzione drammaturgica. Nonostante la struttura di scene, arie e cabalette rientri negli schemi tipici dell’opera ottocentesca, con la raccomandazione al librettista Piave di attenersi il più fedelmente possibile ai versi del “Le Roi s’amuse” di Hugo, e soprattutto con la richiesta di compattezza nello svolgimento della trama (i Versi di Piave sono 707 contro i 1681 di Hugo), Verdi riesce ad imprimere una forte tensione drammatica alla sua opera, addirittura rinunciando ad alcuni schemi tipici dell’opera ottocentesca: l’unico vero concertato è quello che porta a termine la prima scena del primo atto, mentre invece i finali di tutti e tre gli atti vedono protagonisti solamente Rigoletto (finale primo e terzo) o Rigoletto e Gilda (finale secondo atto). Se si fa un confronto con le precedenti grandi opere di Verdi (soprattutto Nabucco, Macbeth, I Lombardi, Ernani), la differenza è notevole. Verdi riesce a dare continuità musicale allo svolgimento dell’opera nonostante i cosiddetti “numeri chiusi” (arie, duetti, scene, ecc), in modo che i diversi numeri che si susseguono siano sempre legati da una continuità armonica (dove finisce un numero, ne inizia un altro nella stessa tonalità, o comunque in una tonalità vicina). Dal punto di vista non solo musicale, ma anche teatrale, Verdi ha posto grande attenzione alla composizione delle “scene”, ovvero le parti recitative che introducono le parti strettamente musicali (duetti, arie, il quartetto del terzo atto). Ne è un grande esempio il recitativo (Pari siamo...), nel quale Rigoletto, dopo aver incontrato Sparafucile, si avvia verso la sua casa. Qui Verdi, con pochi mezzi, con un recitativo accompagnato soprattutto dagli archi, crea una scena di profonda introspezione psicologica nel personaggio di Rigoletto, nel quale Si percepiscono la rabbia e la cattiveria, ma anche la sua preoccupazione e amore per sua figlia... Lo stesso duetto precedente, tra Sparafucile e Rigoletto, non propone un canto spianato dei due personaggi, ma un declamato sopra una melodia affidata ad un violoncello solo ed un contrabbasso solo, accompagnati dagli strumenti di timbro scuro dell’orchestra (clarinetti, fagotti, gran cassa, viole, violoncelli e contrabbassi), per creare un’atmosfera notturna, cupa e misteriosa (già sperimentato con successo nel duetto del primo atto di Macbeth tra il protagonista e la Lady). La genialità musicale di Verdi sta nel creare delle melodie non solo di grande immediatezza, ma anche di grande coerenza con il carattere dei vari personaggi. Forse a tutti non è noto che Verdi presentò “La donna è mobile” al tenore solo alla prova generale, nel timore che l’aria sarebbe “uscita” dal teatro prima della prima. In effetti quest’aria è di grande semplicità, ma apparente: Verdi compone una melodia che calzi perfettamente dei versi palesemente volgari, una musica che metta in mostra la superficialità e la “sbruffoneria” del Duca di Mantova. Lo stesso dicasi per la ballata del primo atto (Questa o quella). Le uniche parti puramente espressive del Duca sono nel duetto con Gilda, nel quartetto (Bella figlia), ovvero quando il Duca si “trasforma” in galante, ma soprattutto nella sua aria che apre il secondo atto (Parmi veder le lagrime), dove lo stesso Duca si crede vicino all’innamoramento (“colei che prima poté in questo core destar la fiamma di costanti affetti”). Verdi presenta da subito la “tinta“dell‘opera, inziando il preludio con l‘incipit, affidato ad una tromba e ad un trombone, che verrà riecheggiato da Rigoletto durante il primo atto (“Quel vecchio maledivami!“). Il preludio si sviluppa poi su colori scuri e una tessitura che esprimono la sofferenza di Rigoletto. Il primo atto poi si apre con un‘atmosfera completamente diversa: una festa al palazzo Ducale, dove suona anche una banda da dietro il palcoscenico. In questa scena Verdi, con la sua solita compattezza, riesce a presentarci tutti i personaggi che ruotano attorno alla corte del Duca. Segue il meraviglioso duetto tra Rigoletto e Sparafucile, dove i due personaggi si trovano a duettare non con un canto “spianato“, ma con un declamato, dove invece la parte melodica è affidata ad un violoncello e contrabbasso solo, accompagnati dagli strumenti “scuri“ dell‘orchestra: clarinetti, fagotti, viole, violoncelli, contrabbassi e gran cassa, in modo da creare un‘atmosfera di cupezza e mistero. Segue il recitativo già menzionato che

funge anche da introduzione al seguente duetto tra Rigoletto e Gilda. È anche da notare come Verdi abbia modellato la sua opera come un susseguirsi di scene e duetti, dove invece le arie sono in netta minoranza. Il duetto tra Rigoletto e Gilda, ed il seguente tra il Duca e Gilda invece sono caratterizzate da una struttura che guarda ancora al belcanto, con la classica forma che si conclude con una cabaletta, nonostante la conclusione del duetto Rigoletto-Gilda non presenti virtuosismi o comunque una drammaturgia brillante che normalmente caratterizzano le cabalette. Anche la seguente aria di Gilda (Caro Nome...) è in effetti una vera e propria aria di belcanto, con le sue cadenze ed ornamentazioni. A concludere l’atto segue la scena del rapimento, anche questa composta più come un susseguirsi di scene più agite che cantate. Il secondo atto si apre con la scena ed aria del Duca di Mantova, l’unica vera aria del Duca di Mantova, dove il dubbio di essersi veramente innamorato di Gilda è espresso con una musica dolce ed espressiva. Anche qui, con l’entrata del coro, troviamo un “tempo di mezzo” che separa l’aria dalla cabaletta brillante che chiude la scena. Rigoletto entra e nella lunga scena con i cortigiani, si alternano momenti di declamato e puro cantato, che raggiungono l’apice della tensione stagione 2017-2018 6 teatro Fraschini – Pavia con lo sfogo rabbioso di Rigoletto (Cortigiani, vil razza dannata), seguito dal “Miei signori, perdono, pieta’”, composto come un duetto tra la voce del baritono ed il corno inglese, accompagnati da un violoncello obbligato. La musica più commovente del secondo atto è sicuramente il duetto che segue tra Rigoletto e Gilda (“Piangi”), che si chiude con la cabaletta (“Sì, vendetta”) che termina così il secondo atto. Con un’introduzione di solo otto battute, affidata agli archi, Verdi crea nuovamente l’atmosfera adatta ad aprire il terzo atto, che si compie nella notte, fuori dalla città, presso al fiume Mincio. Il quartetto è uno dei capolavori di tutto il repertorio verdiano in assoluto, qui Verdi riesce a presentarci quattro personaggi, che cantando contemporaneamente, riescono però ognuno a esprimere una drammaturgia diversa: la severità di Rigoletto ed il pianto di Gilda, contrapposti al Duca che corteggia Maddalena mentre questa lo irride. Nella scena della tempesta Verdi presenta grande fantasia nell’orchestrazione, con mirabile effetto: il vento affidato al coro dietro le scene, i tuoni e i fulmini affidati agli archi i primi, ed al flauto ed ottavino i secondi, e finalmente l’esplosione della tempesta a tutta orchestra. L’ultima scena è introdotta nuovamente da dei recitativi di grande effetto drammatico, seguiti dal duetto finale tra Rigoletto e Gilda. L’opera si conclude esattamente come alla fine del primo atto, con Rigoletto solo sulla scena a gridare la maledizione che l’ha colpito. Verdi rinuncia al finale originale di Victor Hugo, dove un dottore entra in scena per appurare la morte per emorragia di Gilda, il tutto alla presenza del popolo nel frattempo accorso ad assistere all’accaduto; Verdi capisce quale maggior effetto possa avere la conclusione dell’opera con Rigoletto da solo sulla scena, costretto a piangere la morte dell’amata figlia e a compiangere il proprio destino maledetto, nel buio della notte, sulle rive del Mincio fuori le mura cittadine. Un grande coup de théatre.


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