Questioni di famiglia a Teutoburgo
di Roberta Pedrotti
G. F. Handel
Arminio
Cencic, Claire, Magoulas, Sancho, Yi, Donose, Sabata
orchestra Armonia Atenea
direttore George Petrou
registrato ad Atene dal 7 al 18 settembre 2015
2 CD Decca 478 8764 DHO2, 2016
Fin dalle prime battute dell'Ouverture staccate da George Petrou è chiaro che ci troviamo di fronte a un dramma incalzante e tormentato in cui un episodio chiave della storia romana – la sconfitta di Varo a Teutoburgo – è narrato nella prospettiva dei Germani ribelli ad Augusto senza sconti e conciliazioni verso l'Impero. Handel, che a Londra ben conosceva precarietà e concorrenza, sapeva di dover conquistare e mantenere il favore di un pubblico di madrelingua inglese, cui potevano spiacere lunghi e sofisticati recitativi; privilegia allora un'azione movimentata fin dall'esordio, che ci mostra l'eroe eponimo e della sua sposa Tusnelda risolversi per una rapida ritirata strategica dopo una sconfitta militare. Snellito senza troppi riguardi, il libretto di Antonio Salvi non potrà vantare gli equilibri formali di Metastasio (che ne avrebbe rigettato la polimetria delle arie) né la sua sottigliezza di drammaturgo, tuttavia propone un intreccio efficace che sviluppa con una certa originalità il fortunato e longevo topos iniziale del conquistatore innamorato di una congiunta del leader nemico, se non della stessa regina sconfitta. Varo, è vero, ama Tusnelda, ma la sua figura resta in ombra, consuma la sua ragion d'essere in un paio di arie (l'eponimo ne ha sei, con due duetti e un recitativo accompagnato, la sposa sette di cui una in finale d'atto e tre duetti), antagonista ben poco presente. L'attenzione si concentra, piuttosto, sulle dinamiche familiari che circondano Arminio, giacché il suo primo avversario è proprio il suocero Segeste, traditore dei suoi e alleato di Roma capace di tramare la morte del genero. A questo più concreto spetta comunque un'aria sola, lasciando spazio e tormenti ai quattro giovani. Tusnelda si trova dunque divisa fra amor patrio e coniugale da una parte, amor filiale dall'altra, supportata dall'energica cognata Ramise, mentre più lacerato appare l'altro figlio dell'infido Segeste: Sigismondo ama, infatti, Ramise, e ne sarebbe riamato se trovasse la forza di ribellarsi recisamente al padre, cosa che infine avviene, premiata, alla vittoria di Arminio e alla morte di Varo, dalla clemenza dell'eroe eponimo che, riconciliandosi con il suocero pentito, suggella la ritrovata pace familiare e la felicità per le due coppie.
Petrou, da concertatore esperto, mantiene ciò che ha subito promesso e conferisce alla partitura – alla prima londinese del 1737 non troppo lodata fuor dalla cerchia dei fedelissimi handeliani – la giusta vitalità, il tono corrusco e angoscioso delle tensioni psicologiche che la animano, una compattezza che non offusca la varietà degli affetti. L'orchestra storicamente informata Armonia Atenea risponde guizzante ma non nevrotica, anzi, quando serve, morbida, sempre ben a fuoco ed espressiva nei fiati, incisiva nella cura degli archi barocchi in tutte le loro potenzialità sonore.
Il cast di cui Handel poté disporre poteva contare sui castrati Domenico Annibali (contralto) e Gioacchino Conti (soprano) per Arminio e Sigismondo, sulla grande primadonna Anna Maria Strada del Pò (soprano) per Tunselda, sul contralto Francesco Francesca Bertolli per Ramise, sul basso Henry Reinhold per Segeste, su John Beard (tenore) e Maria Caterina Negri (contralto) per Varo e il suo luogotenente Tullio. In quest'incisione successiva a una messa in scena per il festival Handel di Karlsruhe, la locandina è, parimenti, di tutto rispetto: Max Emanuel Cencic è un protagonista autorevole, perfettamente padrone dello stile e dell'emissione, fraseggiatore elegante, sempre intenso nel cogliere il mordente della parola cantata e dell'articolazione musicale. Vince Yi lascia invece sempre un po' perplessi per la resa dei recitativi e per la dizione confusa, quasi accessoria alla fonazione; sale tuttavia in trono quando le sue arie gli consentono di sfoggiare una vocalità prodigiosa di sopranista in nulla distinguibile da un soprano naturale. Se Cencic cancella ogni sospetto d'artificio sciogliendo una personalità timbrica affascinante nella sua inafferrabile ambiguità – e nella sua sorprendente virilità – con Yi sembra di ascoltare a tutti gli effetti una donna, e, sia chiaro, una donna bravissima, dall'acuto scintillante, dall'emissione duttile tanto nelle colorature quanto nei filati, nelle messe di voce nel canto patetico. Questa caratteristica, peraltro, si sposa bene al personaggio, sentimentale e rimproverato dal padre per la sua “effemminata” debolezza amorosa nei confronti di Ramise. Questa, scelta felice e abile contrasto, è resa da Ruxandra Donose con un piglio contraltile così energico che se si trattasse di un'opera un'ottantina d'anni più tarda l'avremmo senza dubbio ritenuta consona a un personaggio en travesti (e questa, in effetti, era la specialità della prima interprete). Siamo invece nella sensuale astrazione settecentesca e ai languori sopranili di Sigismondo si sposano magnificamente i pugnaci affondi di Ramise, che contribuisce anche all'ottima riuscita del bel duetto delle cognate “Quando più minaccia il cielo”. Qui, in spire di malinconia e fierezza accompagnate da flauti suadenti e da sferzate degli archi (forse uno dei momenti più alti della partitura anche come strumentazione), alla Donose si unisce Layla Claire, soprano dal timbro prezioso che s'impone per la musicalità di una linea duttile e sempre sensibile alle ragioni espressive del dramma fra testo e partitura, assottigliando ora il suono, ora sostenendolo con autorità, senza che mai venga meno la cura raffinata dello stile, né il senso ultimo dell'affetto e del gesto sonoro.
Juan Sancho è un Varo nobilmente autorevole, confermando i pregi più che i difetti del suo Catone nell'opera di Vinci [leggi la recensione]. Petros Magoulas declina l'autorevolezza nei termini del tradimento e della tirannia, e lo fa con pari efficacia, nei recitativi come nella sua unica aria. Xavier Sabata, Tullio, completa degnamente il cast.
La bontà dell'incisione, all'altezza del prestigio dell'etichetta, si sposa alla cura pregevole del libretto, con i versi di Salvi tradotti anche in francese, inglese e tedesco, un'accurata lista delle tracce e dei numeri musicali e un saggio di David Vickers eloquente (al patto di leggere una fra le lingue di Goethe, Shakespeare e Racine).