Enigma e variazioni
di Roberta Pedrotti
G. Rossini
ouverture da Demetrio e Polibio, La cambiale di matrimonio, L'equivoco stravagante, L'inganno felice, Ciro in Babilonia, La scala di seta, La pietra del paragone, L'occasione fa il ladro, Il signor Bruschino, Tancredi, L'italiana in Algeri, Aureliano in Palmira, Il turco in Italia, Sigismondo, Elisabetta regina d'Inghilterra, Torvaldo e Dorliska, Il barbiere di Siviglia, La gazzetta, Otello, La cenerentola, La gazza ladra, Armida, Adelaide di Borgogna, Ermione, Eduardo e Cristina, Bianca e Falliero, Maometto II, Matilde di Shabran, Semiramide, Le siège de Corinthe, Guillaume Tell
ouverture da Robert Bruce e Ivanhoe
Sinfonia Il conventello, Sinfonia obbligata al contrabbasso, Sinfonia Bologna
Orchestra Filarmonica Gioachino Rossini
Donato Renzetti, direttore
Coro del Teatro della Fortuna M. Agostini
Mirca Rosciani, maestro del coro
4 CD Decca, 481 7046, 2018
Un secolo e mezzo ci separa dalla morte di Gioachino Rossini; è tempo di celebrazioni, ma anche di riflessioni e bilanci. Il repertorio rossiniano è tramontato e risorto nelle programmazioni dei teatri, negli interessi degli interpreti, nelle passioni del pubblico, talvolta con emblematici riscatti storici, come quelli di Ermione e Maometto II, tanto poco apprezzate nei rispettivi debutti, quanto rivalutate oggi come due fra i massimi capolavori del Belcanto.
Hanno resistito negli anni, con indefessa popolarità, le ouverture rossiniane, o quantomeno un florilegio che sopravanzava i titoli di riferimento: difficile trovare chi non abbia mai inteso almeno una volta almeno una parte della sinfonia della Gazza ladra o del Guillaume Tell, nondimeno non si può dire che le due opere nella loro integralità siano parte integrante dei cartelloni teatrali o che lo siano state con costanza negli ultimi centocinquant'anni. Nelle sale da concerto, però, pochi hanno resistito al fascino di quei cinque o dieci minuti sinfonici che, dal Signor Bruschino a Semiramide, sapevano trascinare il pubblico, esaltare la verve di bacchette e orchestre, ma anche le loro capacità tecniche nella gestione del crescendo, dei rapporti timbrici e dinamici, in assoli non semplici soprattutto per i fiati. Di interpretazioni memorabili, se vogliamo, ne avremo a bizzeffe e certo non è l'obbiettivo di questo cofanetto gettarsi nell'agone dei confronti fra Bernstein e Abbado. Piuttosto si tratta di fare il punto con intelligenza e consapevolezza su Rossini attraverso la proposta integrale delle sue sinfonie.
E integrale la raccolta lo è nel vero senso della parola, ché non si teme di proporre in tracce distinte, e rigoroso ordine di debutto a Milano, Napoli e Roma, le sinfonie di Aureliano in Palmira, Elisabetta regina d'Inghilterra e Il barbiere di Siviglia. Si tratta della medesima pagina, si dirà, ed è vero, ma solo in parte, e non tanto perché sussistono alcune differenze per esempio nella strumentazione, più florida o asciutta in rapporto anche ai mezzi dei teatri. Sfumature nell'agogica e nel fraseggio (tangibili anche solo nelle durate delle tracce) ci suggeriscono l'attenzione alla natura ambigua della musica rossiniana: oggettiva, nelle sue potenzialità intercambiabili e ricombinabili, e pure portatrice di un complesso di significati particolarmente sofisticato, ben identificato e nel contempo osservabile da diverse prospettive con diverse sfumature. L'autoimprestito in Rossini assume un valore quasi enigmatico, in bilico fra l'adesione al dramma (o, meglio, a quella che lo stesso Pesarese avrebbe definito la sua “atmosfera morale”) e lo straniamento. Ben lo evidenzia Daniele Carnini nel bel saggio introduttivo, concentrando l'attenzione sull'astrazione di questa musica e nella sua capacità di cogliere, tuttavia, la “tinta” dell'opera, di aderire alla drammaturgia anche nella riproposizione di temi preesistenti. Quanto valga la mano dell'autore lo conferma, poi l'ascolto delle sinfonie di tre opere considerate comunemente dei centoni: Eduardo e Cristina, Ivanohe e Robert Bruce. Nel primo caso si tratta di una partitura curata integralmente da Rossini, che stese anche pagine originali (già nell'ouverture l'introduzione che passerà nella Matilde di Shabran non era stata proposta in precedenza), e l'interesse – che si riverserà nell'auspicato e annunciato futuro allestimento pesarese – risiede proprio nella reinterpretazione da parte dell'autore stesso di propri materiali musicali in diversi contesti. I due pastiche parigini furono invece assemblati (almeno secondo lo stato attuale degli studi) con l'assenso e la supervisione di Rossini, ma non per sua mano: in un caso si tratta semplicemente della sinfonia di Semiramide, nell'altro di un'elaborazione curata da Louis Niedermeyer di temi da Zelmira, Armida e La donna del lago: un esempio di come una pagina posticcia à la manière de ammicchi ma non si avvicini nello spirito e nell'arguzia agli autoimprestiti “d'autore”. Saggia a tal proposito, nell'integralità aperta anche ai due pastiche autorizzati e approvati da Rossini, l'esclusione di un apocrifo senza quarti di nobiltà come la simpatica fantasia dai ballabili di Le siège de Corinthe spacciata, anche in programmi recenti, come “ouverture del Viaggio a Reims”.
L'ascolto consecutivo di tutte le sinfonie rossiniane - dall'assiduità dei primi anni alla rarefazione del periodo napoletano in cui si rinuncia anche a introduzioni strumentali o le si limita a brevi preludi saldati all'azione, fino ai due capolavori parigini per la prima e l'ultima delle creazioni destinate all'Opèra – impone un'ulteriore riflessione sul progresso tangibile delle forme prime codificate poi sottoposte a sperimentazioni (su tutte, la marcia con variazioni per Armida e l'inserimento del coro in Ermione), nella complessità della costruzione, nell'incisività drammatica. Il ritorno finale a pagine giovanili, se non adolescenziali, come Il Conventello provoca quasi un brivido nel constatare il percorso compiuto, il genio alla sua alba nel ragazzino e il suo splendere accecante nell'uomo ancor giovane che si apprestava a lasciare le scene teatrali per dedicarsi alla musica sacra e cameristica. Il saggio, non meno pregevole di quello di Carnini, firmato da Andrea Malnati esplicita con chiarezza proprio lo sviluppo strutturale e compositivo di queste pagine.
L'esperienza salda di Donato Renzetti, a capo dell'Orchestra Filarmonica Gioachino Rossini, è la base affidabile e attendibile per una riflessione moderna, con cognizione aggiornata di prassi, organici, testi, rapporti drammaturgici. Cionondimeno non manca qualche scelta che stupisce e accende viepiù l'attenzione, come lo stacco insolitamente vispo del tema ebraico della marcia funebre greca nella sinfonia di Le siège de Corinthe.
Dopo centocinquant'anni facciamo il punto, attraverso le ouverture sull'enigma ancora attuale che Rossini, sornione, continua a porci.