L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Longevità all’uso giapponese

di Francesco Lora

In uso da oltre mezzo secolo all’Opera di Stato di Vienna, l’allestimento scenico della Madama Butterfly secondo Gielen e Foujita racconta ancor oggi un mestiere teatrale antico, a dispetto di un’esecuzione musicale di routine.

VIENNA, 22/04/2015 – Detto senza spregio veruno, è un autentico pezzo da museo: l’allestimento scenico della Madama Butterfly di Giacomo Puccini, con regìa di Josef Gielen e scene e costumi di Tsugouharu Foujita, è stato varato nel 1957 ed è ancor oggi in uso all’Opera di Stato di Vienna, attraverso oltre 370 recite, attestandosi in tal modo come il più longevo tuttora in carica nel massimo teatro austriaco. A vederlo, si riscoprono le intenzioni, il magistero e le ingenuità di altri tempi. Le scene consistono in fondali dipinti dalle tinte acquerellate e di antica sagacia prospettica (la veduta a capofitto sulle acque del porto), con quanto basta e giova di strutture praticabili (il ponticello passando il quale il corteo nuziale di Cio-Cio-San giunge davvero da lontano). Tutto è fedelmente improntato al verosimile, offrendo all’interprete e allo spettatore ciò che il libretto prescrive. Ma al puntiglio sartoriale dei costumi giapponesi non corrisponde poi – oggi come ieri, e per esempio – una pari e via via storicamente maturata cura del trucco per personaggi e coro: dai kimono spunta così non il popolo di Nagasaki, ma quello cosmopolita di Vienna, dominato da cordiali (e qui improbabili) lineamenti mitteleuropei. Quanto al gesto, esso è tutto desunto dalle didascalie e pone nelle personali capacità di ciascun interprete le proprie forme e sorti.

Nelle recite del 22 e 24 aprile è però andata in scena non tanto l’esposizione dei divi, quanto un sereno esempio di routine da parte di un teatro che conta levate di sipario quasi tutti i giorni per dieci mesi l’anno: occasioni nelle quali nemmeno il fotografo del teatro viene scomodato, ma che insieme attestano come la musica sia a Vienna un bene quotidiano.

Ecco allora, in Hui He, una Cio-Cio-San dall’accento un po’ troppo maturo nell’atto I per non dire matronale nel II e III, e dal canto così trattenuto e prudente da omettere con disinvoltura l’ascesa al registro sopracuto al termine del corteo di sortita. Ecco allora, in Jorge de Leon, un B. F. Pinkerton di mezzi vocali esuberanti ma un poco demotivato dal contesto e dunque assai poco sfumato nel porgere. Ecco ancora, in Monika Bohinec, una Suzuki più borbottante e calcata nel registro di petto che affettuosa e accorata e cantabile. Ecco infine, in David Pershall, uno Sharpless tanto timido e monocorde da sembrar quasi estromesso dall’elenco dei personaggi.

Decoroso il comprimariato, perlopiù formato dagli esperti stipendiati fissi del teatro: Lydia Rathkolb come Kate Pinkerton, Thomas Ebenstein come Goro, Peter Jelosits come Yamadori, Alexandru Moisiuc come Zio Bonzo e Yevheniy Kapitula come Commissario imperiale.

Non inedite scelte di concertatore ma buon polso di direttore in Philippe Auguin, alla bacchetta del quale risponde da par suo la scalpitante e variopinta Orchestra dell’Opera di Stato.


 

 

 
 
 

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