Immenso Jehovah
di Andrea R. G. Pedrotti
Cast in gran parte rinnovato per questa recita di Nabucco, che si rivela, nel complesso, più convincente della prima anche per quel che concerne direzione e messa in scena.
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VERONA, 18 luglio 2015 - Arena colma ed entusiasta per un titolo storico almeno quanto i marmi che ospitavano il folto pubblico. Le mura dell'antica Babilonia sono cinte dalle meno vetuste, ma altrettanto maestose, mura dell'anfiteatro romano. Manca ancora la protezione del placido perigeo lunare e, per la prima volta dopo tanti anni, nemmeno un filo d'aria accarezza le stanche anime dei presenti, ma, per fortuna,a stimolare lo spirito romantico ci pensa l'intramontabile magia del luogo.
Il clima secco, per quanto risulti pressoché insopportabile durante il giorno, è certamente più favorevole dell'insistita umidità dell'inaugurazione della stagione, proprio con Nabucco. Quella è rimembranza che pare orma persa nel ricordo della generosa concessione del respiro che ci veniva donata dagli elementi, quando si tremava letteralmente, sferzati da un freddo pungente. Oggi nulla di tutto ciò era presente e i meccanismi, in condizione di tranquillità organizzativa, hanno funzionato a dovere. La regia di Gianfranco de Bosio risulta meno manierata e puramente iconografica. Intendiamoci, non siamo alle meraviglie dinamiche che ammirammo nell'allestimento di Aida di La Fura Dels Baus, ma i movimenti delle masse sono più fluidi -specialmente quelli del coro- e appropriati. Molti cambi scena slentano eccessivamente la fluidità dei numeri musicali e l'attesa risulta eccessiva, in particolar modo, fra l'aria e il tempo di mezzo della scena di Abigaille “Ben io t'invenni, o fatal scritto!...”. Sottolineiamo, ancora una volta, la bella intuizione di chiudere il melodramma con le braccia del popolo di Abramo levate al cielo e l'inchino delle picche assire, quale riconoscimento della libertà di Israele. Fra idee più o meno felici, comunque, il lieto esito dell'opera non viene mai messo a rischio.
Nel ruolo del titolo troviamo il baritono Dalibor Jenis, il quale -al contrario di prestazioni del passato- ha saputo stupirci positivamente. Recitazione e presenza scenica sono adatte al personaggio, la vocalità corretta, ma ciò che maggiormente abbiamo apprezzato è stato un felice sforzo interpretativo del cantante slovacco, che ha fraseggiato e delineato un protagonista misurato a sufficienza e ben sviluppato negli altalenanti turbamenti interiori, dalla furia nei confronti delle genti del Giordano, fino al definitivo riconoscimento del Dio di Israele, giungendo, in questo modo, alla soluzione e alla sintesi finale del percorso travagliato della sua anima combattuta.
Susanna Branchini è una buona Abigaille, molto partecipe scenicamente e misurata, quanto disinvolta. La voce corre molto bene in tutti i registri e le agilità sono eseguite senza patemi di sorta. Come in occasione della prima, spiace notare qualche piccolo taglio nella cabaletta della “Salgo già del trono aurato”, con -per esempio- la mancata esecuzione, da parte del coro, del primo “di Belo la vendetta”. Purtroppo questa assenza mina in efficacia comunicativa di questo numero musicale, inficiando la perfetta alchimia emotiva creata dal genio di Giuseppe Verdi.
Dmitry Beloselsky, come già alla prima, tratteggia uno Zaccaria solenne e carismatico. Il ruolo gli è noto e lo doma senza problemi, riscuotendo anch'egli un franco successo.
Sebbene impegnata in un personaggio di non grandissima personalità, Fenena, troviamo una Sanja Anastasia corretta, forte della professionalità di un'interprete che molte volte abbiamo ascoltato in Arena.
Decisamente migliorato Piero Pretti, più squillante e sicuro, senza l'impiccio dell'umidità e del debutto. Possiamo tranquillamente definire un lusso avere il tenore sardo in un ruolo come Ismaele, certo non considerato fra i più desiderabili. Il giovane ebreo ha una bella scena nel secondo atto, ma serve all'economia drammaturgica dell'opera solo come scusa per creare contrasti fra altri. Pretti riesce, comunque, a emergere con grande classe, bello squillo e fraseggio di rilievo.
Completavano il cast Gianluca Breda (Gran Sacerdote di Belo), Antonello Ceron (Abdallo) e Francesca Micarelli (Anna).
In questi tre giorni siamo felici di notare che il coro dell'Arena di Verona, preparato da Salvo Sgrò, è finalmente tornato al suo notorio splendore. Particolarmente importante in un'opera come Nabucco la massa rappresenta un unico personaggio reso in eccepibile unisono, specialmente nel corso del III e del IV atto. Come di tradizione abbiamo assistito al bis di “Va pensiero”, per l'interpretazione del quale il coro stesso compie alcuni passi verso il proscenio, forse a riprova che la ripresa di questa tradizione fosse data per scontata quando de Bosio ideò l'allestimento.
Grazie alle condizioni climatiche possiamo ascoltare anche un Riccardo Frizza in una situazione più tranquilla. Le sezioni sono ben equilibrate, i tempi non sempre tradizionali, ma conformi al dramma. Abbiamo preferito il maestro bresciano nel rapporto con in cantanti e nella gestione con il palco, piuttosto che nelle parti meramente sinfoniche, ma la sua concertazione si può dire complessivamente più che positiva.
Bellissimo ammirare più di diecimila persone a batter freneticamente ed entusiasticamente mani e piedi, e, finalmente, rinnovato lo storico rito dell'intera galleria illuminata dalle scenografiche candeline, cifra caratteristica dell'Arena di eri e di oggi.
Le scene erano di Rinado Olivieri e il direttore degli allestimenti scenici era, come sempre, Giuseppe De Filippi Venezia.
foto Ennevi