Nutrire l’anima e lo spirito
di Antonio Caroccia
Si fa apprezzare a Macerata la regia di Alessandro Talevi per il dittico verista, mentre la pur valida direzione di Christofer Franklin non realizza appieno le peculiarità delle due opere. Pur con i dovuti distinguo, si fa valere il cast ben assortito, con alcuni elementi di spicco.
MACERATA, 24 luglio 2015 - Alla Cinquantunesima edizione del Macerata Opera Festival, ossia Arena Sferisterio – per amici e affezionati – non sono mancate di certo le sorprese; per alcuni aspetti già annunciate dal titolo della manifestazione, ossia “Nutrire l’anima”. Il fantasioso direttore artistico Francesco Micheli, pur mantenendo una linea alquanto rigorosa nell’ambito di una tradizionale stagione, senza peraltro azzardare scelte di inediti titoli (a questo proposito, ricordiamo, ancora, la Cleopatra di Lauro Rossi di qualche anno fa, con l’ammaliante regia di Pier Luigi Pizzi), si collega idealmente all’Expo Italia: «Abbiamo preso molto sul serio il motto dell’Esposizione Universale che si svolge quest’anno a Milano e lo abbiamo fatto nostro: l’Arte, la Musica, il Teatro sono per lo spirito necessità primarie non meno del cibo per il nostro corpo» (Francesco Micheli, Nutrire il pianeta, energia per la vita, in Nutrire l’anima, Macerata Opera Festival-Arena Sferisterio, Macerata, Biemmegraf, 2015, p. 7). Non v’è che dire, un bel binomio: cibo e musica. Ora dovremmo coinvolgere il gentilissimo lettore in un turbinio di cibi marchigiani suscitando in lui quell’acquolina in bocca, che a noi certo non è mancata nell’assaporare i gustosi e tradizionali piatti delle dolci colline maceratesi. Preferiamo, invece, rimandare questa lista alle prossime occasioni, ma invitiamo il gentile lettore a visitare di persona questi ameni luoghi leopardiani.
Concentriamoci, invece, sulla musica.
Si sa, Cavalleria rusticana di Mascagni sintetizza il caldo color delle passioni estreme, che si esprime attraverso precise scelte narrative (intreccio conciso) e musicali (orchestrazione a tinte forti). In Pagliacci, invece, Leoncavallo descrive dall’interno i risvolti che le passioni estreme inducono nell’animo dei personaggi, e se in Cavalleria prevale l’azione, in Pagliacci prevale la riflessione. Purtroppo, Christopher Franklin (giovane direttore d’orchestra australiano), pur dimostrando un gesto nobile, sicuro e preciso, non riesce mai ad imprimere all’orchestra quel giusto calore delle tinte forti che avvolge Cavalleria rusticana e a rendere quella scrittura raffinata e sottile dei Pagliacci. Certo, va da sé che l’Orchestra Filarmonica Marchigiana non sempre brilla per chiarezza sonora, ma di più, certo non si può chiedere ad un organico che soffre di limitazioni economiche. Encomiabili, davvero, il Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini” diretto dal maestro Carlo Morganti e i Pueri Cantores “D. Zamberletti” diretti da Gian Luca Paolucci; qui sì, che il vero calore del dittico operistico è emerso in tutta la sua bellezza, grazie, anche, alle precise scelte registiche del sudafricano Talevi, a cui torneremo a breve.
Anna Pirozzi (Santuzza e Nedda/Colombina) ci ha convinto di più nel ruolo di Nedda/Colombina, molto meno in quella di Santuzza. Pur dimostrando buone dote vocali e interpretative, l’artista sembra non aver ancora assimilato a dovere la parte di Cavalleria, come dimostra la debole interpretazione di “Voi lo sapete o mamma”. Decisamente meglio l’acuta “ballatella” di Pagliacci e il bellissimo duetto con Silvio “Tutto scordiam”, per giungere poi al solido finale. Qui si vede un’abile costruzione nella ricercatezza di un timbro e una tessitura vocale, che ben si allinea alle finissime raffinatezze orchestrali di Leoncavallo. Alquanto sufficiente Rafael Davila (Turiddu e Canio/Il Pagliaccio) non sempre all’altezza dei ruoli, soprattutto nella difficoltà di raggiungere gli acuti come è accaduto per il si naturale di “Un grande spettacolo a ventitré ore” o nella mancanza dei colori vocali e nell’assenza di fraseggio nel finale leoncavalliano; difficoltà peraltro già avvertite nella Cavalleria durante il duetto con Santuzza “Mamma, quel vino è generoso”. Molto ben impostato Alberto Gazale (Alfio): la sua voce giusta negli accenti, riesce ad imprimere nel duetto con Santuzza la giusta intensità interpretativa. Nulla da rilevare per Elisabetta Martorana (Lola) e Chiara Fracasso (Lucia): voci perfettamente a fuoco e aderenti ai dettami della partitura, con una buona dose di interpretazione scenica. Marco Caria (Tonio/Taddeo) e Pietro Adaini (Beppe/Arlecchino) dimostrano anche loro di aver ben assimilato le esigenze vocali dei rispettivi personaggi; molto bella e gradevole, sia vocalmente sia interpretativamente, la serenata di Arlecchino. Lodevole l’interpretazione di Giorgio Caoduro (Silvio) che riesce a far vibrare e a toccare le corde dell’animo nell’appassionato e virile duetto con Nedda.
Veniamo ora alla regia di Alessandro Talevi. Questa, forse, è la parte che ci ha convinti maggiormente. Sebbene la scelta di utilizzare in scena, nell’intermezzo di Cavalleria, l’apparizione della Madonna incoronata, che si palesa a Santuzza, risulta difficile da accettare. Dobbiamo ammettere che a noi non è dispiaciuta, anzi, ai molti potrebbe sembrare una sana provocazione in tempi cristianamente difficili. Quell’apparizione celeste riesce per un istante a far emergere il lato virginale del personaggio della giovane contadina. In effetti, pur sempre di seduzione si tratta: non terrena, ma celestiale. Talevi, a parte questa provocazione, cerca di mantenere un buon livello registico sfruttando ampiamente l’intera profondità dell’Arena, con giochi di luci e di ombre che ben si amalgamano con le buone scenografie di Madeleine Boyd. Seppure queste ultime a volta risultano alquanto discrete, se non un po' misere. Nella norma, anche, i costumi di Manuel Pedretti. Funzionali e molto interessanti i giochi di luci e ombre creati da alcuni bambini nel volo degli uccelli suggeriti dal testo di Pagliacci.
Nel complesso il pubblico che gremiva l’Arena-Sferisterio sembra aver gradito questo spettacolo, per alcuni aspetti entusiasmante ma per altri perfettibile. Alla fine, applausi convincenti e per “nutrire l’anima” e lo spirito “viva il vino spumeggiante, nel bicchiere scintillante”.
foto ©A.Tabocchini