Mahler e il patto d’alleanza
di Francesco Lora
Il concerto conclusivo del 78° Maggio Musicale Fiorentino presenta la Resurrezione mahleriana e sancisce lo speciale patto artistico tra Daniele Gatti e le maestranze del teatro. Prezioso il canto di Eleonora Buratto e Sonia Ganassi.
FIRENZE, 28 giugno 2015 – Dulcis in fundo, con exploit da nozze di Cana: con tutta la sua ricchezza di programma (quattro produzioni operistiche e concerti a volontà, oltre le iniziative collaterali), il 78° Maggio Musicale Fiorentino ha calato gli assi alle ultime due mani, siglando indirizzi artistici perentorii e patti d’alleanza irrevocabili. In queste pagine si è già detto di un Pelléas et Mélisande [leggi la recensione] italiano dal primo all’ultimo suo interprete, come per rivendicare un orgoglioso primato di scuola direttoriale, teatrale e canora anche sul repertorio francese: lettura densa di suono e poderosa di gesto, tesa all’espressione drammatica prima che all’atmosfera ambientale, sontuosa nel materiale vocale come non altra. Una volta calato il sipario sull’ultima recita (25 giugno), il concerto conclusivo del festival le ha fatto da coronamento ideale (28 giugno): interpreti perlopiù in comune e analogo programma poetico.
Serata monografica nell’Opera di Firenze, con la Sinfonia n. 2 in Do minore (Resurrezione) di Gustav Mahler, gigantesca nell’organico ed enciclopedica nelle risorse. Dirigeva, come nel Pelléas, lo stesso Daniele Gatti che già aveva diretto, nel febbraio scorso, un’impressionante Messa di Requiem verdiana per la stessa istituzione. Il suo rapporto con Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino è baciato dal destino: ogni musicista pende dal suo gesto senza un solo momento di approssimazione; estrema è la volontà di comprendere, realizzare e approfondire insieme, per consegnare all’uditorio una reputazione artistica superlativa. Il più antico festival italiano ha dunque in casa i suoi tesori, più che convocando dall’esterno i Berliner Philharmoniker, e potrà cercare in Gatti il più degno erede a Zubin Mehta e il più vero alleato dei suoi musicisti.
Ed ecco il Mahler della serata ottima: impasto timbrico corposo e possente come piace al direttore, e metallo tipico dell’orchestra fiorentina con bagliori inediti; espressione risoluta e castigata, intenta alla franchezza e mai all’edonismo; temi talvolta assai dilatati nel loro svolgimento agogico, senza che l’orchestra accusi fatica nel sostenerli con eguale tensione; escursione dinamica ampia oltre l’immaginabile, con favoloso risalto di colori e dominio tecnico in ciascuna sezione. La macchina da guerra, in mano a tanto stratega, manda eco minacciose all’indirizzo dell’egemonia sinfonica germanica. E il relativo coro, preparato da Lorenzo Fratini, non è certo da meno per impeto ed elegia, difendendo in questo caso un primato che è già italiano senza tema d’esagerazione.
Come nel Pelléas, anche in Mahler le due voci soliste sono glorie nostre schierate in repertorio straniero: il soprano è Eleonora Buratto, sempre più smaltata e risonante pur conservando la freschezza e la duttilità di modulazione tipica del calibro leggero; e il contralto è Sonia Ganassi, già Geneviève in Debussy, bronzea nel timbro e vellutata nell’emissione. Nel quarto movimento, Urlicht, formalmente un Lied che le compete in esclusiva, ella stringe al seno la partitura chiusa, come se l’adorante contatto meglio le ispirasse ciò che la memoria già possiede, e si protende sull’orchestra con un fervore di fraseggio precluso a chi non si sia fatto le ossa su Rossini e Donizetti, Bellini e Verdi, Bizet e Massenet. Sull’esempio della belcantista, da questo concerto in avanti molti porteranno la Resurrezione di Mahler assai più stretta al cuore.