Il suggello di Gershwin
di Stefano Ceccarelli
Un bel Gala Gershwin chiude, a mo’ di suggello, la stagione regolare dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Come da tradizione, l’ultimo concerto è interamente dedicato alla musica del Novecento: in questo caso alla musica americana di George Gershwin, talento esuberante, spumeggiante, troppo presto stroncato dalla morte. Il gershwiniano William Eddins è un talento della bacchetta e esalta tutta la freschezza della musica dell’americano: dalle ouverture di alcuni musical, passando per la magnifica Rhapsody in Blue, fino al capolavoro operistico di Porgy and Bess, di cui s’esegue la suite.
ROMA, 23 giugno 2015 – Ultima serata della stagione 2014-15 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia: una serata di gala, che vede in prima linea il supporto di uno dei soci fondatori dell’Accademia, il gruppo Ferrovie dello Stato Italiane. Che la serata sia di livello lo conferma la presenza all’ingresso delle guardie del presidente: e infatti, pochi minuti dopo l’inizio del concerto, fa il suo ingresso in sala il neo-presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Eddins, in omaggio, esegue l’Inno di Mameli: un’esecuzione magnifica (ci credereste? Fatta da un americano!), sentita e intensa, grazie soprattutto al coro divino dell’Accademia.
Si pensi quindi a quale scarto di ethos quando Eddins ha attaccato l’ouverture da Funny Face: un ritmo travolgente, portentoso ci ha invasi. Eddins è una forza della natura: si trova perfettamente a suo agio con Gershwin; l’orchestra dell’Accademia è in forma di grazia, galvanizzata dall’importanza dell’evento. Io ho cominciato a ciondolare la testa a ritmo di musica e non ho più smesso almeno per tutto il primo tempo. Il pezzo è estremamente jazzato, coreutico, trascinante, ricco di quelle classiche sincopi, degli urbani glissati che rendono tali pezzi inimitabili. Il successivo Gershwin in Hollywood è un medley del 1953 approntato su una serie di songs di Gershwin su idea del fratello del compositore, Ira, e a realizzazione di Robert Russel Bennett, un ex collaboratore di Gershwin. Ai classici ritmi gershwiniani si alternano momenti di poetica liricità provenienti dai songs apprestati per i musical. Incredibile l’amalgama orchestrale e le atmosfere da notturno, levigate e serene. Vorremmo alzarci e ballare anche noi al suono dell’attacco dell’ouverture di Girl Crazy, come fa Eddins: ma il pezzo ci riserva anche, oltre ai trascinanti ritmi, i momenti di abbandono lirico delicatissimo che erano, appunto, l’altra faccia della musica di Gershwin. Termina il primo tempo il pezzo più famoso di Gershwin: la delicatissima Rhapsody in Blue, nella sua facies originale per piccola orchestra jazz. Eddins si fa pianista principale, mostrandoci tutto il suo poliedrico talento. Fin dal glissato ascendente del clarinetto, oramai entrato nella storia, l’energia che pervade il palco è incredibile: tutto è perfetto, i tempi da manuale; eseguita poi con una tale naturalezza, da far sembrare tutto facile, quando il pezzo è irto di difficoltà coordinative di ogni tipo. Eddins sembra invece divertirsi, e molto: con la mano di chi il pezzo lo suonerebbe a occhi chiusi. I ritmi swing, sincopati, jazz, blues, scorrono tessuti perfettamente in una trama accattivante, sensuale. Gli applausi finali sono dirompenti.
Il secondo tempo è dedicato alla suite per orchestra, coro e cantanti dell’opera-musical Porgy and Bess, capolavoro di Gershwin. I cantanti sono ottimi, specializzati nel musical (tanto che cantano col microfono) e soprattutto specialisti gershwiniani: il soprano Sarah Nicole Batts ha quella tipica voce afroamericana espressiva, calda, squillante, vibrante, con profondi respiri al suo interno (vagamente citante Leontyne Price); Rodney Earl Clarke ha un ottimo fraseggio, una voce profonda, tornita negli acuti, dalla vibrante corda baritonale. Proprio la Batts apre con una intensa (più che struggente) versione di Summertime, la ninna nanna di Clara: il modello è certamente la Price dei tempi d’oro. Intenso anche My man’s gone now. Clarke è bravissimo come camaleonte vocale, cambiando ruolo con tale nonchalance da stupire il pubblico: si consideri la spensieratezza felice e semplice di Porgy in I got plenty o’ nuttin’ e la blasfema dissacrazione dello spacciatore Sporting Life in It ain’t necessarily so (dove sciorina un’invidiabile mimica), o il There’s a boat dat’s leavin’ soon for New York con un potente «com’on». Tutti i pezzi corali sono fantastici: i coristi hanno una carica e una dizione magnifica, arrivando addirittura a scatenarsi nel dissacrante e divertente Oh! I can’t sit down e I ain’t got no shame. Gli applausi attestano l’altissimo gradimento: la serata è un vero successo, degno suggello a una straordinaria stagione.