L'Eldorado del piano fra cicale e cavallette
di Alberto Spano
Piccolo paradiso del pianoforte, La Roque d'Anthéron ospita ogni anno, immersi nell'incantevole (anche quando, talora, un po' invadente) natura provenzale, artisti di fama mondiale, glorie nazionali e giovani promesse.
La Roque d'Anthéron (Francia), 11-14 agosto 2015 - Fino a 35 anni fa La Roque d'Anthéron era uno sconosciuto paesino di neppure tremila anime sperduto nell'Alta Provenza, a 25 chilometri da Aix-en-Provence, noto per lo più per la sua tranquillità, per una nota clinica specializzata in malattie nutrizionali situata all'interno di un antico castello adiacente uno splendido parco di 360 platani secolari e per un dolcetto tipico squisito, simile ai nostri ricciarelli di marzapane. Nel 1980 al vecchio sindaco di origine italiana, Onoratini, ai suoi figli e ad alcuni amanti della musica venne in mente l'idea un po' folle di allestire un grande teatro all'aperto all'interno del parco dei platani e di organizzarci dei concerti di pianoforte. Piaceva (e piace) l'idea di un pianoforte gran coda aperto che risuona fra gli alberi. Quasi di colpo la formula pianoforti-platani ebbe immediato riscontro e fin dalle prime edizioni centinaia, anzi migliaia di spettatori affollarono i concerti. Complici di questo miracolo la pace e la bellezza del luogo, l'efficienza dell'organizzazione, la bravura degli interpreti e la funzionalità di una speciale conchiglia acustica appositamente costruita in mezzo al parco e ogni anno sempre più perfezionata, in grado di rendere particolarmente piacevole l'ascolto di un pianoforte all'aperto davanti ad una platea in grado di ospitare fino a 2.020 comodi posti a sedere.
La sagacia dei fondatori e del direttore artistico, il bravissimo René Martin, ha creato il miracolo: per farla breve, il Festival Pianistico alla Roque d'Anthéron è diventato in pochi anni il festival pianistico più importante e frequentato al mondo, con una media di 3000 spettatori paganti al giorno per quasi un mese nel cuore dell'estate, con la partecipazione dei più grandi pianisti, da Martha Argerich a Grigory Sokolov, da Nelson Freire a Murray Perahia e chi più ne ha più ne metta, ma anche di un bel numero di ottimi pianisti noti in Francia e sconosciuti all'estero e, ovviamente, di centinaia di giovani talenti, promesse e vincitori di concorsi, spesso al loro debutto nel Paese. Nel giro di 20 anni La Roque d'Anthéron si è trasformata in una specie di Eldorado per chi ama il pianoforte e la sua letteratura, una tappa obbligata nelle proprie vacanze estive. C'è infatti chi le programma a seconda del cartellone, che come di tradizione nei grandi festival europei, viene annunciato con grande anticipo e che offre immancabilmente programmi originali e repertori poco frequentati nelle stagioni invernali. Tutti i media francesi si mobilitano in grande stile, e molti concerti vengono trasmessi in diretta radiofonica, alcuni anche dalla tv nazionale. La macchina del festival è micidiale, perfettamente oliata. Un potente sistema di merchandising informa la giornata alla Roque d'Anthéron, con vendite di centinaia di cd e libri dedicati al pianoforte, nonché di magliette e foto degli artisti stampate in tempo reale per il classico autografo al termine del concerto. Ogni anno un autore è il fil rouge che caratterizza l'intera stagione. Quest'anno, in occasione del 35esimo, Chopin. Nonostante i tempi di crisi che hanno fatto sì che per esempio il catalogo da un librone di quasi due chili si sia trasformato in un agile libretto di centocinquanta pagine, il festival non si è certo risparmiato: ben ottantanove concerti complessivi dal 24 luglio al 21 agosto, dislocati fra il grande parco della Roque d'Anthéron e ben altre unidici sedi di concerto alternative o in contemporanea (chiese, piazze, cortili, musei) dislocate nella provincia della Bocca del Reno, incantevoli località come Lambesch, Lourmarin, Saint-Martin-De-Creu, Mimet, Gordes, Cucuron e Rognes. Un'enorme 'industria culturale' che produce notevole indotto nel paesino (gli abitanti fanno a gara per ospitare artisti e spettatori con la formula del bed & breakfast), dando lavoro ad un centinaio di persone e mobilitando decine di volontari per un intero mese. Un modello di sistema virtuoso al quale si dovrebbe guardare con grande ammirazione e un pizzico di invidia.
Fra le grandi “star” della tastiera del 2015 ricordiamo le presenze di Denis Matsuev, Boris Berezovsky, Chick Corea (c'è anche apertura verso il jazz e la musica di confine), Jean-Marc Luisada, Jan Lisiecki, Daniil Trifonov, Khatia Buniatishvili, Anne Queffélec, Nicholas Angelich, Nicolai Luganski, Pierre Hantaï (al clavicembalo), Renaud Capuçon (al violino), Alexandre Tharaud, Arcadi Volodos e Grigory Sokolov. Il quale ultimo, da una decina d'anni conclude proprio alla Roque d'Anthéron la sua tournée annuale con un magico concerto al Grand Théâtre de Provence ad Aix-en-Provence: maniaco della perfezione, Sokolov è l'unico pianista a non accettare di suonare all'aperto.
Prima giornata: la cavalletta e la pianista
Giunti in paese l'11 agosto, ecco infilarci in un concerto pomeridiano al bellissimo Tempio protestante di Lourmarin, costruito sui resti di un'antica chiesa valdese rasa al suolo da Luigi XIV, per ascoltare alle 18 in punto con quasi 40 gradi all'ombra (mentre nel Parco della Roque il russo Miroslav Kultyshev snocciolava i 24 Studi di Chopin) l'austero pianista francese Florent Boffard, in Italia praticamente sconosciuto, ma che in Francia gode di un credito straordinario soprattutto nel campo della musica contemporanea, della quale è paladino indefesso. Allievo di Yvonne Loriod (la moglie di Messiaen) Boffard affascina per la sua tecnica forbita, per la sua grande musicalità e per la serietà interpretativa che gli consente di muoversi agevolmente nelle rotte incantate della Barcarola e degli ultimi otto Preludi chopiniani, nella grande costruzione della Sonata di Alban Berg, nelle seduzioni timbriche della Sonata “Ottobre 1905” di Leos Janacek, ma soprattutto di immergersi con commovente dedizione nell'immenso geroglifico sonoro costituito dalla Sonata n. 3 di Pierre Boulez, compositore-direttore leggendario di cui anche al Festival della Roque si festeggiano le 90 primavere.
Alle 21, questa volta nello splendido Parc du Châeau de Florans, quello della conchiglia, ecco ritrovare più in forma che mai la russa Yulianna Avdeeva, 30 anni, vincitrice del Concorso Chopin 2010, in lotta titanica per tutta la prima parte con una cicala particolarmente tenace e ispirata nascosta fra i platani centenari. Considerati i numerosi ostacoli acustici e ambientali (cicale, grilli, raganelle e ogni altro tipo di farfalle e falene notturne, pipistrelli, rumore di fronde, vento, umidità, etc.), tutto sembrerebbe ostare a un ascolto raccolto e concentrato. E invece, dopo i primi minuti di disorientamento, ecco che le orecchie di duemila persone si adeguano e si abituano, al punto di godere del suono dei pianisti grazie all'efficacia della splendida conchiglia bianca costruita in mezzo al parco. L'Avdeeva è stata eroica: col sottofondo fortissimo della cicala ha attaccato i tre Notturni op. 9 con un suono vibrante e calibrato, con un controllo assoluto delle dinamiche e dei rubati, il tutto combattuto fra ragione e sentimento. Una prestazione maiuscola la sua, proiettata verso un apice sonoro ed emozionale coincidente con la monumentale (e commovente) Polacca op. 44, dopo le 4 Mazurche dell'opera 17. Non da meno la prestazione della Avdeeva nella settima Sonata n. 8 op. 84 di Prokof'ev, dove ha saputo calibrare con altrettanta sapienza, lucidità mentale e percussività, e dove ha dato prova di eccezionale sangue freddo. Tutto l'ultimo micidiale quarto movimento (Vivace) è stato funestato da una gigantesca cavalletta verde che ha saltellato impunemente sul palco, fino ad attaccarsi ai capelli della pianista subito sopra il suo orecchio destro. La quale non si è scomposta minimamente, ha continuato a suonare per interminabili secondi con l'insolito orecchino, poi al momento musicale opportuno l'ha tirata via con la mano. La piccola celifera melomane, dopo altri cinque o sei salti inquietanti sul palco, si è lanciata definitivamente all'interno del pianoforte, provocando ineffabile espressione schifata della pianista, e lì vi è rimasta, probabilmente assordata dalle enormi masse sonore del Vivace prokofieviano. Chapeau a Yulianna, che non ha perso una nota e un accento. Bis fascinoso con la Méditation op. 72 di Tchaikovsky.
Seconda giornata: in duo e in trio
Il 12 agosto in mattinata capatina nel parco e, sorpresa! All'interno di un gazebo bianco nel cuore del parco, ecco spuntare come nella favola di Alice una master class pubblica del violinista Jean-Marc Phillips-Varjabédian (del Trio Wanderer) al giovanissimo Trio Michel, formato da tre giovani sorelle molto promettenti. Veniamo così a scoprire che oltre agli ottantanove concerti in programma (di cui settantadue a pagamento), il festival organizza anche fruttuose masterclass (quest'anno sessantadue!) di pianoforte e musica da camera con alcuni dei musicisti del festival o dei gruppi in residenza.
Il pomeriggio alle 18, nel Parco, ecco un bravo duo pianistico, il Duo Jatekok, molto noto in Francia, formato da Adelaide Panaget e Naïri Badal. Due pianiste sulla trentina formate alla gloriosa scuola di Brigitte Angerer e Nicholas Angelich al Conservatorio di Parigi, affiatate e straordinariamente spigliate nel porgersi al pubblico. Suonano veramente molto bene, affrontano con bravura e cura del suono qualsiasi repertorio a quattro mani, sia a uno che a due pianoforti. In programma c'erano le Danze Polovesiane di Borodin, la Rapsodia Spagnola di Ravel, le Variazioni su un Tema di Haydn di Brahms, la Valse di Ravel (clou del concerto) e una serie di bis preziosi. Bel pomeriggio di musica raramente eseguita, molto propedeutico all'evento serale, uno dei più riusciti dell'intero festival: l'esecuzione dei due Concerti per pianoforte e orchestra di Fryderyk Chopin da parte del russo Nikolai Lugansky (che nel 1994 sfiorò la medaglia d'oro al Concorso Tchaikovsky), coadiuvato dalla Sinfonia Varsovia (orchestra in residence del 2015) diretta da Alexander Vedernikov. Coloro cioè che hanno realizzato di recente per l'etichetta Naïve una delle migliori registrazioni degli ultimi vent'anni di questi due gioielli. Luganski sfoggia una tecnica superiore, da vero grande pianista, il suono è potente, legatissimo e rotondo, si espande senza fatica nel parco e penetra nelle orecchie. Con lui ogni nota, ogni frase è sempre come scolpita nel marmo. Ne esce uno Chopin romantico senza retorica, asciutto, moderno, splendidamente fraseggiato e chiarissimo. E memorabile l'intesa col direttore, dal gesto poco ortodosso ma efficacissimo. Una lezione di stile, un concerto memorabile, al quale Luganski ha voluto aggiungere come bis il Valzer in la minore op. 64 n. 2, condotto alla Rachmaninov, cioè con con superbi rubati.
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Terza giornata: pioggia e ghiaccio
Il 13 agosto alla Roque piove: che succede in questi casi? Il festival distribuisce appositi “ponchi” di plastica e la gente ascolta sotto la pioggia. Se c'è tempesta, il concerto salta, biglietti rimborsati e recupero del pianista l'anno dopo. Siamo fortunati, e appena comincia il concerto delle 18 con Marie-Catherine Girod, la pioggia si ferma all'istante. Il concerto è salvo, solo un po' umido e le cicale zittiscono. Monografia chopiniana molto felice: Ballate 1 e 4, Fantasia op. 49, Notturni op. 9 e Andante spianato et Grande Polonaise Brillante op. 22. La Girod, sessantasei anni, apprezzata docente a Parigi e pianista dal repertorio vasto che predilige la riscoperta di opere di musicisti trascurati (per esempio l'obliato Gabriel Dupont), è strumentista molto solida, dotata di tecnica adeguata e classe da vendere. Apice del suo concerto la Tarantella op. 43, offerta come fuoriprogramma con eccezionale verve ritmica.
La sera del 13 agosto, sempre al Parc, ecco finalmente presentarsi la russa trentaduenne Anna Vinnitskaya, vincitrice del Bruxelles nel 2007, allieva di Osipenko e Koroliov: un recupero, il suo, dato che il suo recital nel 2013 era saltato per un temporale omerico. Elegante e distaccata, Vinnitskaya possiede una bellezza pura e un po' cattiva: potrebbe benissimo uscire da un film in costume di Matteo Garrone. A tanta algida avvenenza corrisponde un pianismo lucido e determinato e una tecnica di primissimo ordine, non però un suono altrettanto curato e rotondo. Qualità queste quasi ideali per suonare una perfetta Ciaccona di Bach trascritta per la sola mano sinistra da Johannes Brahms e per affrontare, con ammirevole concentrazione gli otto Klavierstücke dello stesso Brahms, le rarissime Danze di bambole di Dmitri Shostakovich e soprattutto la Sonata “di Guerra” n. 6 in la maggiore di Sergej Prokof'ev, nella quale Vinnitskaja sfodera una logica musicale assolutamente stringente. Fra i bis concessi con principesca magnanimità, molto apprezzato il Preludio in si minore di Bach-Siloti.
Quarta giornata: epilogo
L'ultima nostra giornata,alla Roque, il 14 agosto, comincia alle 18 al Parc du Château con il gettonatissimo e ormai classico “Concerto dei Professori dell'Ensemble in Residenza”, altra bella tradizione del festival che vede alcuni noti strumentisti francesi e un gruppo ospite esibirsi in programmi rarissimi appositamente pensati. Al Trio Wanderer (trio con pianoforte) si sono aggregati quest'anno i pianisti Claire Désert, Emmanuel Strosser e Christian Ivaldi (il grande pianista francese che costituì uno storico duo con Noël Lee), il fascinoso violinista Olivier Charlier e il simpatico violoncellista Yovan Markovitch, storico componente dell'ormai disciolto Quartetto Ysaÿe. Ecco dunque i quattro pianisti (il quarto è Vincent Coq del Trio Wanderer) prodursi in una sconosciuta quanto interessante trascrizione a otto mani (e due pianoforti) di Emil Kronke de Le Préludes di Franz Liszt, poi il duo Markovitch-Ivaldi in Waldes ruhe dalla suite De la Forêt de Bohème op. 68 di Dvorak, poi lo Scherzo dalla Sonata F.A.E. d Brahms col duo Charlier-Désert e le tre Bagatelle per due violini, violoncello e pianoforte di Dvorak (Charlier, Phillips, Markovitch, Strosser). Esecuzioni davvero impeccabili. Infine il Trio n. 2 per pianoforte, violino e violoncello di Mendessohn col Trio Wanderer, in forma scintillante. Dunque un concerto da camera di gran pregio che ha preceduto l'atteso recital di Benjamim Grosvenor. Che a soli 23 anni è ormai da considerare il pianista inglese più ricercato al mondo, presente nelle maggiori istituzioni concertistiche. Cos'ha di così speciale? In una parola, il suono. Grosvenor possiede mezzi prodigiosi, mani grandi, una corporatura ideale per il pianoforte, ma in particolare una sensibilità al fatto sonoro, alla calibratura del tasto, da vero virtuoso. Ascoltandolo vengono alla mente nomi leggendari. Se n'è ben accorta la Decca che l'ha subito messo sotto contratto e sforna ogni sei mesi sue splendide incisioni. Il suono di Grosvenor, così ricco di rifrazioni infinitesimali e di screziature dai colori pastello, ha illuminato due Preludi e Fughe di Mendelsshon, la Ciaccona di Bach-Busoni, il Preludio Corale e Fuga di Franck e soprattutto Le Tombeau de Couperin di Ravel, vero cuore del programma, in cui Grosvenor ha sfoderato milioni di sfumature timbriche dal pppp al ffff, con l'exploit finale della temibile Toccata conclusiva, dominata con la souplesse dell'assoluto fuoriclasse. Chiusura con Venezia e Napoli di Liszt e tre fuori programma deliziosi: Love Walked in di Gershwin/Grainger, Boogie Woogie Etude di Morton Gould e Mazurca in fa minore op. 62 n. 2 di Chopin. Di Benjamin Grosvenor sentiremo parlare molto nei prossimi anni.