Vivere come piace a me
di Isabella Ferrara
Torna il pubblico in sala anche al Teatro Bellini di Napoli, dove per la nuova stagione va in scena, dal 20 ottobre al 7 novembre, Don Juan in Soho di Patrick Marber ispirato al Don Giovanni di Molière per la regia di Gabriele Russo
NAPOLI, 22 ottobre 2021 - Dal 1600 ad oggi il Don Giovanni vizioso amante e instancabile seduttore non è cambiato. È passato attraverso i secoli perpetuando la sua essenza, adattandosi ai cambiamenti esteriori della società, riproponendosi senza vergogna all’umanità anch’essa fedele ai propri vizi e peccati, seppure diluiti nelle più variegate forme di esibizione dell’esteriorità.
Il regista Gabriele Russo propone un allestimento del Don Juan in Soho del drammaturgo e regista britannico Patrick Marber, a sua volta ispirato dal Don Giovanni di Moliere, che apre la nuova stagione teatrale del Bellini facendo divertire, sorprendere e riflettere lo spettatore. Accoglie il pubblico in sala dopo mesi di chiusure, restrizioni, paure e disinformata informazione, con scene, musiche, costumi, luci e attori energici, pronti a dare tutto senza risparmio. Il contatto con il pubblico non è apparenza, ma è espressione di contemporaneità, raccolta di necessità sociali e culturali cui dare riscontro.
Lo spettacolo risulta impertinente, scanzonato, irriverente anche, e divertente. Ti conquista come farebbe, e come fa, il DJ interpretato superbamente da Daniele Russo. Il parlato è esplicito e diretto; la recitazione è schietta; gli incontri, non solo amorosi, vengono rappresentati senza la superflua censura di perbenismo, ma pure senza tradire mai il buon gusto e la godibilità, anche ironica e scherzosa, di certi pur paradossali momenti di vita. Anche gli spazi di riflessione etica, i richiami alla morale, al rispetto dell’altro, al rispetto per la vita e per l’amore in ogni sua forma, risultano seriamente leggeri e alla portata di tutti, età, razza, sesso, religione. Ed è questo essere di tutti e per tutti, senza ipocrite discriminazioni più crudeli forse di ogni vizio, che attualizza ancor di più questo DJ, e lo rende un seduttore irresistibile, fascinoso seppure inconquistabile alla fedeltà e all’amore. È un uomo che sceglie liberamente e consapevolmente di vivere il presente nell’unica prospettiva dei piaceri che ci si può procurare; ha una sua versione del cogliere l’attimo, ha la sua fede in una forma di libero arbitrio che contempla la responsabilità delle scelte coscienti, ma non si occupa delle conseguenze sugli altri. Lucidamente critico verso la solita vecchia ipocrisia espressa in modi nuovi, dalla tv ai social, ma disinteressato con infantile disinvoltura agli effetti delle sue azioni su chi lo ama, lo ha amato o lo amerà. Questo messaggio incarnato nel Don Juan e nelle sue azioni, viene esaltato dal confronto con il suo servitore, complice e anche primo giudice di tali comportamenti, Stan. Alfonso Postiglione mette in scena uno Stan convincente, con espressioni e movenze perfette per un moralista abbastanza ipocrita che vive dello stipendio di chi egli stesso giudica amorale e corrotto da quei piaceri che spesso non disdegna di assaggiare. Ma è anche un’imbarazzata e affezionata presenza che gioirebbe dell’affetto di un impenitente sempre in tempo per cambiare.
Completano il protagonista la serie variegata di tipi umani che con lui si incontrano e si scontrano anche con veemenza, e violenza, la stessa che vorrà punirlo, mancando però di quel senso di giustizia che a fatica si scorge in chiusura. Chi può davvero dirsi nella ragione di una vendetta? Chi può minacciare di morte qualcuno per quello che è, per quello che fa, per come vive? Eppure si fa, e ogni giorno di più. L’estrema scelta del “voglio vivere solo come piace a me” come lo stesso DJ sostiene, è una libertà solo finché incontra la libertà altrui. La punizione è davvero ascritta all’offeso, al singolo che pericolosamente può macchiarsi di ipocrisia ed egoistico tornaconto? Intanto la gente fa foto di scene drammatiche, si scatta selfie sullo sfondo di una sofferenza che resta amaro paesaggio. Questa idea di fare foto, di vivere di immagini, di soddisfarsi nell’estetica dell’esteriorità è perfettamente resa dal gioco di luci che completa la scenografia e il ben riuscito espediente, di Roberto Crea, di una pedana girevole al centro del palco. Gli attori su di essa si muovono e corrono, prova di abilità non da sottovalutare, o vi si stagliano immobili come foto di archivio. È il girare continuo del rincorrere i tempi, dal 1600 ad oggi, da una donna ad un’altra, da una fuga ad uno scontro, da un vizio ad un altro, da una ipocrisia a un’integrità; da una luce piena di vita scintillante di strass e musica trascinante, ad un’ombra di solitudine, come luogo simbolico della resa dei conti. Basterà la statua di Molière, e di Marber e di Russo a indirizzarci nel gioco di luci e ombre della libertà, del rispetto, della giustizia?
Di certo aiuterà ritrovarci a teatro a ridere e pensare e goderci lo spettacolo.