Le difficili speranze di Ciccio Speranza
di Stefano Ceccarelli
Al Teatro Due va in scena La difficilissima storia della vita di Ciccio Speranza, su testo di Alberto Fumagalli, per la regia del medesimo e di Ludovica D’Auria; Tommaso Ferrero fa da aiuto regista. Lo spettacolo, che vede solo tre ruoli in scena, interpretati da Francesco Giordano, Giacomo Bottoni e Antonio Orlando, è un successo, applaudito e gradito dal pubblico presente in sala.
ROMA, 27 ottobre 2021 – Mai giorno fu più azzeccato per andare a teatro a vedere La difficilissima storia della vita di Ciccio Speranza. Il 27 ottobre scorso, infatti, tutta Italia ha assistito alla caduta in senato del DDL Zan; una caduta che fa tanto più male perché accompagnata da uno scroscio di applausi che, certo, trascendono il cattivo gusto. Mai si dovrebbe applaudire alla negazione di tutele e diritti umani basilari, ancor di più se chi se ne fa alfiere (di questa negazione, intendo) è chi ha il compito istituzionale di tutelare ogni cittadino. Se, poi, tali senatori abbiano esultato per aver – a loro dire – assolto al compito di alfieri della tradizione, specchio dell’Italia retrograda di cui tutti abbiamo esperienza quotidiana, forse avrebbero fatto meglio ad andare a vedere Ciccio Speranza, avendo orecchie per intendere.
La difficilissima storia della vita di Ciccio Speranza, uscito fuori dalla mente di Alberto Fumagalli, è una storia astratta ma concreta al contempo. Tratta, infatti, delle speranze di Ciccio Speranza. Ciccio è un bracciante che desidera solo, nella sua vita, poter danzare e provare a tutto il mondo quanto è bravo nel farlo. In questo allestimento è interpretato da un ispirato Francesco Giordano, che ne coglie gli aspetti più delicati, intimi, altruistici, come pure comici. Ciccio è presentato in scena fin dal principio della pièce con un abito da ballerina, quelli di un classico rosa antico, che cozza, ovviamente, con la sua statura ben piantata e che rappresenta il primo vero segnale di straniamento. Tutta l’opera ruota intorno alla difficile vita di campagna di un padre, cui è morta la moglie, e due figli, i suoi unici braccianti, che lo aiutano nell’impresa agricola di famiglia. Lo sfondo – si intuisce – è un paese come tanti in Italia, un paese di campagna dove vige un severo patriarcato che non può ammettere l’esistenza di Ciccio, un uomo che vuol fare il ballerino. Nel momento in cui Ciccio trova un escamotage per rivelare il suo vero sogno ai famigliari (il gioco della bottiglia), viene deriso e accusato di essere omosessuale. Tutta la pièce è giocata poi sul lento lasciarsi andare di Ciccio stesso, via via che le stagioni progrediscono, il quale non ha più uno scopo per vivere, intrappolato in un universo che non gli appartiene e non lo rappresenta. Ciò che rende veramente singolare Ciccio Speranza è la lingua scelta per la recitazione, una sorta di dialetto/grammelot che contiene elementi attinti da quasi tutta la penisola italiana, come pure elementi spagnoli e forestierismi vari. Il lavoro di Fumagalli sulla lingua è incredibile, non solo perché fa calare benissimo lo spettatore in un’atmosfera paesana e aumenta l’asfissia psicologica di Ciccio, ma anche perché, al contempo, disorienta e universalizza la vicenda recitata, giacché non si può legare l’idioma utilizzato a nessun luogo reale. Il senso dell’operazione di Fumagalli è chiaro e limpido: non è un certo determinato luogo che castra le speranze di un essere umano, ma è una sovrastruttura sociale che si esplica proprio nel rispetto rigido di una società patriarcale e immutabile.
Specchio di questa società patriarcale e – apparentemente – immutabile sono il padre e il fratello di Ciccio, rispettivamente interpretati da Giacomo Bottoni e Antonio Orlando. Bottoni riesce a rendere come meglio non si potrebbe un padre autoritario, preoccupato solo dell’aspetto economico della vita, del tutto insensibile alle ‘speranze’ di Ciccio; violento, irascibile, sciancato, ha tutto quello che serve per renderlo un credibilissimo campagnolo ottuso e insensibile. Antonio Orlando regala un’ottima performance nel suolo del fratello di Ciccio. La sua bella presenza e la calibrata mimica facciale lo rendono adattissimo ad un ruolo di carattere come questo, un ragazzo poco sveglio, rozzo, diseducato alle emozioni, preda dei più bassi istinti (ne farà le spese l’unica capretta della fattoria), che però sarà l’unico a tentare di comprendere le ‘speranze’ del fratello. La fine della pièce (Ciccio che danza) lascia aperti vari scenari: del resto, lo spettacolo parla delle speranze di Ciccio e sorvola delicatamente sulle possibili conseguenze, appartenenti al regno dell’ignoto. Alla fine dello spettacolo gli attori vengono calorosamente applauditi, confermando il successo di uno spettacolo già blasonato in più di un festival (Roma Fringe Festival, Direction Under 30 e In-Box).