L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il prezzo dell’evasione secondo Pasolini

 di Pietro Gandetto

Intenso allestimento del Calderòn di Pasolini al Piccolo Teatro Studio di Milano. Il valido cast della compagnia Teatri Uniti compensa la complessità di un testo carico di significati e messaggi.

Il Calderòn Pier Paolo Pasolini (1966) è un’opera ambigua e controversa, che nei decenni ha messo alla prova registi, interpreti e critica, per la complessità del testo e la difficoltà di districarsi da quel senso di smarrimento che si avverte sin dalle prime battute. L’alternarsi continuo tra realtà e allucinazione e l’enorme fardello che Pasolini affida al personaggio di Rosaura inducono chiunque si avvicini a Calderòn a perdersi nel dramma, fino a comprendere a stento le intenzioni di Pasolini e quelle del dramma stesso.

La Rosaura dell’ottima Maria Laila Fernandez è una donna dalla psicologia anfibia, incastrata nell’impossibilità di evadere da un clima claustrofobico, di sociale e psicologica compressione. Sin dalle prime battute, è una donna avvolta nel mistero, brillante di una sensualità algida e al contempo animalesca; resiste a fatica alle sofferenze di un ambiente che non le appartiene e che le sta stretto. E da questa castrazione psicologica esplode, a contrario, un personaggio di dimensioni enormi che trova nel sogno l’unico modo per evadere dal suo senso di inadeguatezza, sia come donna, sia come madre e, infine, come figlia. Sono sogni in cui la protagonista immagina di essere qualcun’atro, rincorrendo un’identità che però le scivola via, e vedendo quindi frustrata ogni prospettiva di appagamento.  E infatti, il suo disperato tentativo di fuga non la porterà a nulla se non a obbedire supinamente alle convenzioni imposte dalla propria classe sociale, dalla quale non riesce ad evadere.

Nel primo sogno, Rosaura s’innamora di Sigismondo (Andrea Renzi), un ex amante della madre che scoprirà essere suo padre; nel secondo, nei panni di una prostituta spagnola, si innamora di Pablito (Luigi Bignone), che poi scoprirà essere suo figlio, e, nel terzo, è una moglie rassegnata e angosciata che si innamora di Enrique, un diciannovenne studente universitario.  Rosaura è una diversa, un’aliena e immorale, in quanto inamorata di ciò che è considerato immorale secondo i canoni della classe sociale di appartenenza. L’alter ego di questa diversità è rappresentato dalla sorella Stella, che poi sarà Carmen e infine Agostina. Ruoli efficacemente interpretati dalla forte personalità di Clio Cipolletta.

L’opera si chiude con l’ultima rappresentazione del dramma della protagonista, che diventa una reclusa, vittima delle SS naziste, nello stesso salone del palazzo di Las Meninas, addibito a lager, mentre sullo sfondo si ode il roboante coro dei rivoluzionari comunisti. Rosaura è consapevole di aver vissuto tre diversi mondi: quello aristocratico, quello della povertà e quello piccolo borghese, mentre la sua situazione attuale è quella di vittima delle SS. Dopo una struggente descrizione della propria disperata condizione, emette un grido di speranza: un sogno nel quale il popolo, fasciato dei colori del comunismo, intervenga unito contro le sopraffazioni del potere. Basilio l'ascolta per metterla subito dopo a tacere dicendole che quanto da lei sperato è un sogno, ma non sarà mai realtà.

I deliri di Rosaura sono fortemente connessi all’altro macro topos del Calderòn, e cioè il tema del potere, inteso come un mostro subdolo, che non perdona le persone fragili e piene di dolore come Rosaura e le manipola a proprio piacimento, vanificando ogni naturale tentativo di salvezza. Il potere è impersonato da Basilio, il quale appare, all'interno del dramma, come personaggio ricorrente.

Lo smarrimento di piani e situazioni è intensificato, si direbbe, dall’ingombrante presenza del capolavoro Las Meninas di Diego Velázquez, un dipinto emblema, appunto, del sogno e del potere, che riproduce il senso di ambiguità, smarrimento e aristocratica evanescenza tipico di Calderòn. L’autore gioca con Las Meninas, ambientando alcune scene all’interno della tela stessa, mischiando elementi dell’azione scenca con quelli della pittura e ispirando il dramma stesso a quel terreno mutevole, fluido e scivoloso tipico dell’arte figurativa.  Nell'impianto drammaturgico è forte la presenza dell'elemento metateatrale, tramite l'intervento dell'autore stesso, sia come speaker, sia nella propria rappresentazione scenografica all'interno del quadro Las Meninas.

La regia di Francesco Saponaro ripropone con buoni esiti l’atmosfera onirica di Calderòn pur con qualche momento di intoppo nella scorrevolezza scenica dovuto a un appesantimento del già così denso testo pasoliniano [cfr, fra tutte, il dialogo del III episodio tra Basilio re e Lupe regina e quello del IV espisodio tra Manuel, medico curante di Rosaura (Francesco Cordella), e Stella in merito alla strana amnesia della sorella].

Le scene di Lino Fiorito e le videoproiezioni di Mauro Penna richiamano una duplicazione di cori e palcoscenici che attua un costante sdoppiamento dei personaggi, funzionale alla ricerca della propria identità. Emblema di questa ricerca è lo scarno letto di Rosaura, il trait d’union tra i due mondi che la protagonista attraversa senza tregua. L’intenso contributo di Anna Bonaiuto (Doña Lupe, Doña Astrea) conferisce al II episodio, uno dei più riusciti dello spettacolo, una sacralità d’effetto.  

Discutibile la scelta di non frapporre ai vari episogni un intervallo che, su uno spettacolo già intenso, avrebbe agevolato una migliore fruizione del dramma.


 

 

 
 
 

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