L'abbraccio di Euterpe e Tersicore
di Michele Olivieri
Non è la prima volta che il corpo di ballo è chiamato a partecipare alla serata inaugurale della stagione lirica della Scala il 7 dicembre, se l'opera in cartellone lo richiede. A maggior ragione, la danza partecipa quest'anno, per il Sant'Ambrogio reinventato da Meyer Chailly e Livermore, con tre brani fra classico, contemporaneo e nuove creazioni.
Leggi anche il commento alla serata completa: Milano, A riveder le stelle, 07/12/2020
MILANO, 7 dicembre 2020 - Certamente non è la prima volta che la danza, nella lunga storia delle inaugurazioni scaligere, risulta presente alla sera del 7 dicembre. Magari ci si sarebbe aspettati qualche creazione in più, oltre alle tre programmate, nella lunga scaletta di arie d’opera, ma giustamente pur sempre si parla del tradizionale appuntamento di Sant’Ambrogio dedicato al melodramma. L’elemento più significativo è stato l’osservare in questa serata “particolare” le due arti sorelle, quella di Euterpe e quella di Tersicore, congiunte in un periodo storico frammentato dai distanziamenti. La musica e la danza sono state capaci di amalgamarsi, ognuna mantenendo la propria cifra stilistica, la propria visione ed estetica, riuscendo però a formare un tessuto unico. Magari è venuta meno sulla locandina ufficiale la citazione del Corpo di Ballo (è pur vero che la danza è stata rappresentata solo da alcuni solisti, primi ballerini e da un'étoile ma sempre del Corpo di Ballo scaligero) a beneficio dell’Orchestra e Coro, però l’alchimia che si è creata tra le due muse ha rivelato quanto l’una necessiti dell’altra per donare quella bellezza, quell’incanto e quello stupore che solo l’arte ha dalla sua.
Un evento storico senza pubblico, senza mondanità, senza contestazioni in piazza ma comunque evento irrinunciabile, che negli intenti ha teso a rappresentare l’arte totale: musica, prosa, balletto, linguaggi visuali. L’integrazione registica nella sua panoramica ha reso lo spettacolo più che teatrale, sicuramente televisivo: volendolo vedere dal lato puramente positivo, è il risultato di una commistione utile nel dare unità al mondo dello spettacolo duramente colpito dalla pandemia, un gesto di solidarietà e un abbraccio virtuale a tutti gli artisti come momento di rinascita, per non voler smettere di sognare, trasformando il dolore in una speranza. Abbiamo visto la Scala come non mai, una Scala che ha aperto ogni suo anfratto per intraprendere un viaggio inusuale, per unire l’Italia e il mondo intero facendo riscoprire al pubblico quei sentimenti che non mutano, una sorta di collante tra la profondità misteriosa del palcoscenico e la sua finzione della vita che stasera più che mai era autentica.
Entrando nello specifico della danza (alla prima uscita ufficiale con il neo-direttore del Corpo di Ballo Manuel Legris), troviamo al quattordicesimo posto in scaletta, tra “Una furtiva lacrima” di Donizetti e “Signore ascolta” di Puccini, l’espressione più nobile e pura di Čajkovskij nell’Adagio dal Grand pas de deux del secondo atto dello Schiaccianoci con i primi ballerini Nicoletta Manni e Timofej Adrijashenko, giustamente innamorati in scena e nella vita per restituire quell’atmosfera idilliaca, poetica, magicamente totalizzante del balletto natalizio per eccellenza. Il pezzo è storicamente una danza creata all’interno della danza stessa, isolata dal resto del balletto e destinata ai ballerini maggiormente dotati: un classico dei classici già a partire dall’inconfondibile musica composta seguendo le indicazioni del coreografo Petipa, qui nella versione di Rudolf Nureyev, dove i passi risultati predominanti e gli unici distacchi appaiono nelle corse simmetriche che culminano in altrettanto virtuosi passi per scendere a terra da un passé e terminare con una promenade in arabesque, il lieto fine non è altro che il frutto di un rapporto saldo, basato sulla reciproca fiducia e sulla complicità della coppia artistica; peccato che la tensione palpabile sia andata a discapito dell’intensità interpretativa, forse in questo caso una video-scenografia con effetti a tema sarebbe risultata di valido supporto. Come secondo e terzo brano, tra “Pourquoi me réveiller” di Massenet e il “Credo” dall’Otello di Verdi troviamo due coreografie consecutive, la prima di Massimiliano Volpini dal titoloWaves con Roberto Bolle sulle musiche di Davide “Boosta” Dileo, dove l’étoile balla un duetto con compagno il laser, proprio con quel dispositivo che permette di avere fasci di radiazioni elettromagnetiche nitide nello spettro visibile della scena. Danza con la luce quale sinonimo di vita? Come tale la luce è il primo atto creativo di Dio nella Genesi, forse Volpini poeticamente vuole farci intravvedere la luce come metafora di salvezza? Ma anche se non fosse così, visto che la coreografa è stata creata qualche anno fa in tempi non sospetti di pandemia, ci regala comunque colorati effetti nello spazio geometrico ricreato con esattezza tecnologica in palcoscenico per lo scultoreo ballerino piemontese, apollineo e suadente nella sua perfetta forma armonica, ma al contempo qui distante: una bellezza che rimane algida in un brano emozionalmente non appassionante, anche se certamente sorprendente a livello visivo e tecnico. A seguire il pezzo più entusiasmante, dal titolo Verdi Suite, con alcuni estratti dai ballabili da I Vespri siciliani, Jérusalem, Il trovatore con Martina Arduino, Virna Toppi, Claudio Coviello, Marco Agostino, Nicola Del Freo su coreografia di Manuel Legris, il quale ha saputo leggere esattamente lo spirito della serata, un omaggio alla grande Scala della tradizione accademica, un pezzo perfetto per stile nella fondamentale consuetudine della trasmissione da Maestro ad esecutore. Ballerini qui eccellenti per eleganza e portamento, con il direttore francese che pone particolare attenzione alla morbidezza delle linee, ma anche alla virtuosità tecnica, sulla flessibilità delle gambe e sulla velocità dei piedi, non tralasciando certamente l’espressività. Una esecuzione fresca, gioiosa a cui non si può muovere alcuna critica o alcun appunto, improntata aduna rigorosa accuratezza dei danzatori che unitamente appaiono affiatati ed incisivi, grazie anche alle immortali pagine musicali di Verdi, il cui solo ascolto è già fonte di gaudio, ma che innalzate alla dolcezza gentile e delicata della danza, diventano linfa che alletta i sensi.
foto Brescia Amisano