Connessioni trasversali
di Michele Olivieri
Alla sua prima prova da coreografo per un balletto a serata intera, in un teatro di grande tradizione come quello di Pavia anch’esso alla sua prima produzione di danza, l’allestimento è sostenuto dal realismo, dall’assunzione di responsabilità del ruolo, in grado di offrire una svolta inattesa, un cenno che si trasforma per gli spettatori in sentimento di aspettazione.
PAVIA, 20 novembre 2021 - Nello spettacolo l’estetica forma una narrazione che parla di noi esseri umani, come fossero le tappe di cui è composta la vita, le sospensioni, i colori, il gioco, la consapevolezza e la serietà, la giovinezza sensibile e intricata, il peso dell’essere adulti e la libertà, le nostalgie e la sapienza. Un balletto che riesce a tenere delicatamente per mano lo spettatore mentre assiste ad una rigorosa tecnica di matrice accademica, capace di restituire uno stile contemporaneo che seduce e conquista. Gli insiemi si alternano a piccoli gruppi agli assolo, per giungere al pas de deux conclusivo evocando atmosfere sfaccettate come fossero l’oscurità degli angeli, dove essi accettano con indulgenza il compito di ascoltare la parola dell’uomo che col suo canto (e la sua danza) è chiamato a celebrare la bellezza della vita, della natura, delle cose e dell’universo malgrado avvenimenti tortuosi sulla strada maestra. La danza, in fin dei conti, non ha l’obbligo di dichiarare sempre da che parte sta: il suo luogo è la complessità dove anche le contraddizioni sono funzionali all’espressione. Non esiste una danza migliore, ma bensì esiste una ideologia creativa capace di trasmettere i suoi valori, la sua storia, il passato per guardare al futuro in maniera sottile. La danza è estremamente bella, sa raccontarsi diventando essa stessa valore di riferimento per gli animi sensibili pronti a coglierla. Ci sono passi, dinamiche, gesti ed intenzioni che si ammirano per il puro piacere di cogliere significati anche nell’astrattezza o emozioni tramite la musicalità della costruzione nell’armonia dei singoli esecutori, tutti empaticamente in ottima forma. Spesso, in mezzo alle ceneri, la tenacia rimane aggrappata alla vita e a un’entità superiore. La creazione di Oliviero Bifulco racchiude tutto ciò. Alla sua prima prova da coreografo per un balletto a serata intera, in un teatro di grande tradizione come quello di Pavia anch’esso alla sua prima produzione di danza, l’allestimento è sostenuto dal realismo, dall’assunzione di responsabilità del ruolo, in grado di offrire una svolta inattesa, un cenno che si trasforma in sentimento di aspettazione. Bifulco, con Viola Busi, Julia Canard, Valentino Chou, Coralie Murgia, Renato De Leon, Martina Marini, Layla Proietti Bovi, Anna Zardi, Matteo Zorzoli ci invita a preservare e, innanzitutto, a comprendere l’interconnessione che unisce le difficoltà che l’umanità si trova a fronteggiare, non solo in ambito sanitario. Il coreografo, supportato da validi collaboratori (scene e luci di Cécile GiovansiliVissière, costumi di WibkeDeertz, assistente alle coreografie Adele Fiocchi), si interroga sulle somiglianze e sulle differenze tra la natura e l’essere umano, cercando una risposta esaustiva per mezzo dell’arte. E la trova nel linguaggio muto del corpo, in cui a parlare sono le suggestioni fornite dalla musica di Max Richter, il quale non ha certo bisogno di presentazioni. Sessanta minuti dove lo spazio di approfondimento diventa fluidità, un continuum all’interno del quale ogni persona può inserirsi e muoversi idealmente, ricoprendo più posizioni di pensiero (e di sogno). Immaginate una linea di luce (quella iniziale ad apertura di sipario), ai cui estremi si trovano i danzatori. Ciascuno è libero di collocare la propria identità in un punto qualsiasi di questa linea e di cambiare posizione durante il corso della vita, in base all’inclinazione personale e alle influenze culturali di appartenenza. Ma il senso di appartenenza è comune, pur cambiando e modificandosi nell’arco del tempo e della superficie scenica vestita dalla magistrale luce, senza togliere nulla al percettivo. Una prima nazionale in cui il mai visto si compie da un passo appena accennato, spostandosi piano piano dalla solita traiettoria in un crescendo, per far sì che nell’esatto momento in cui si stende il secondo piede ci si indirizza a cogliere il meglio di qualcosa che già esiste “in materia”, ma solo per rafforzarlo ed evolverlo all’infinito.