L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Omaggio ad un ciarlatano

di Irina Sorokina

Fa tappa anche a Modena la serata ideata da Daniele Cipriani e dedicata al genio dell'impresario Serghei Pavlovič Diaghilev, creatore con i Ballets russes del baleltto moderno.

MODENA, 21 dicembre 2021 -In primo luogo sono un ciarlatano, a dir il vero abbastanza brillante, poi, un grande incantatore; terzo, nessuno mi spaventa; quarto, sono pieno di logica e senza molti scrupoli; infine mi pare di non avere un talento reale… Nondimeno, credo di avere scoperto la mia vocazione, quella del Mecenate, di cui ho tutto; salvo il denaro. Ma lo avrò”. Quando si parla del balletto, per forza si nominano librettisti, compositori, coreografi, interpreti e scenografi. Sembra questa l’unica via per parlare del balletto, ma non è così. Quando si parla del balletto dei primi tre decenni del Novecento e soprattutto degli anni 1909-1914, spunta subito un certo signore dal nome altisonante: Serghei Pavlovič Diaghilev. È lui quel ciarlatano. Nel 1903 durante la prova generale dell’ultimo balletto di Petipa Lo specchio magico questo specchio cadde e si ruppe. Petipa lo prese come un cattivo presagio, ma, fortunatamente per lui, non sopravvisse alla fine del balletto classico. A mandarlo in pensione e quasi in oblio ci pensò il “ciarlatano” Serghei Diaghilev e la sua impresa teatrale privata, Les Ballets Russes. Ma non solo. I primi anni dei Ballets Russes fecero un vero furore in Europa; grazie a Diaghilev fu scoperta un’incredibile cultura russa, nacque un legame stretto tra l’arte e la moda, bambini vennero chiamati con nomi russi e le donne impazzirono per gli abiti e gli accessori a la russe. Il secolo ventesimo arrivò.

Sono pittore senza quadri, scrittore senza opera omnia, musicista senza composizioni… e se una volta sarà aperto un mio museo, cosa si potrà vedere là? Le mie scarpe vecchie e i miei occhiali rotti”.Amava le frasi a grande effetto, Diaghilev e forse, parlando delle scarpe vecchie e degli occhiali rotti, sperava di essere smentito immediatamente. Se così fosse stato, aveva ragione. Oggi possiamo solo immaginare come fossero stati questi balletti, perché nessuno si preoccupò di conservarli tramite un sistema di notazione simile a quella di Stepanov secondo la quale furono preservati molti balletti di Petipa. Ci furono dei tentativi di rianimarli, ma senza un vero successo: il problema sta non nella notazione mancata, ma dell’idea di dominio dello scenografo. Oggi ricordiamo non le coreografie di Fokine ma le succulente scenografie di Benois, Bakst o Roerich che furono di una bellezza così abbagliante da trasformare il ballerino in parte di esse. Per tutto il Settecento e l’Ottocento l’attenzione del pubblico fu concentrata sui ballerini, nel secolo nuovo l’ammirazione andò alle scene e ai costumi, ma soprattutto all’armonia creatasi tra tutti gli elementi dello spettacolo, comprese la musica e la danza.

Dice Daniele Cipriani della sua produzione Soirée russe: “Ho voluto fare un omaggio a Serghei Diaghilev, di cui l’entusiasmo, la creatività, l’amore per le arti, nonché il coraggio di osare e di rischiare, sono da sempre le mie maggiori fonti di ispirazione. Soprattutto, ho voluto rendere omaggio alla sua concezione del balletto quale arte della scena totale. Così, con Soirée russe porto in palcoscenico musica, danza e teatro: per dare ad artisti di varie discipline la possibilità di esibirsi dopo tanti mesi in cui sono stati costretti a fermarsi, ma anche per dare allo spettatore la possibilità di recuperare, in un unico spettacolo, la lunga astinenza dal teatro dal vivo”.

Ora, dopo aver girato alcune città italiane quali Verona, Trento e Jesi, la nuova produzione approda al Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena. Il ricco programma, che include una serie di titoli famosi della compagnia itinerante celeberrima del mondo, varia da una città all’altra e a Modena vengono presentati L'uccello di fuoco, Prélude à l’après midi d’un faune, Suite italienne, Apollo, La morte del cigno e Nozze d’Aurora. La bellezza particolare della produzione sta nella musica dal vivo, in scena sono presenti Marcos Madrigal e Alessandro Stella al pianoforte che eseguono le ardue trasposizioni delle partiture di Stravinsky per pianoforte a quattro mani e Lisey Abreu al violino, nonché Massimo Mercelli al flauto.

Diventa misterioso. Inventa una tua leggenda. Alla gente piace”. Si apre con Suite italienne da Pulcinella, balletto sulla musica di Stravinsky di cui proprio Diaghilev esaltò il genio, protagonisti due giovani danzatori italiani, entrambi formatisi alla scuola di Amburgo, Sasha Riva e Simone Repele, che nel 2020 hanno registrato il proprio marchio artistico. Sono stati proprio loro a coreografare Suite italienne su commissione della Fondazione Pergolesi Spontini per la 53ma stagione lirica di tradizione Teatro Pergolesi (Jesi) giustificando in pieno la definizione di “poeti della danza” che ha dato loro recentemente una giornalista. La poesia di due giovani danzatori italiani ci fa allontanare dalla maschera napoletana e avvicinare ad una mesta figura del teatro foraneo francese della prima metà dell’Ottocento, Pierrot impacciato e sfortunato che rimanda a un film celebre Les enfants du Paradis di Marcel Carné. Questa Suite non è altro che un lungo passo a due, una specie di lotta amorosa tra due ballerini vestiti di bianco, uno in pantaloni e maglietta, un altro in costume di Anna Biaggiotti ispirato da quello di Pablo Picasso, camicia lunga plissettata e calze rosse. In piena sintonia con la musica neoclassica di Stravinsky, la coreografia si appoggia sul vocabolario classico, sia nei tempi lenti isia in quei veloci. Alla fine, nel silenzio, la maschera scompare per far vedere il volto di un uomo.

Sii innovatore! Fai esplodere l’opinione pubblica!” Prélude à l’apres midi d’un faune (1911), un piccolo balletto su musica di Debussy coreografato dal beniamino di Diaghilev Vaclav Nijinskij richiese novanta prove ed è l'unico arrivato ai nostri giorni. Le movenze selvagge e sensuali del favorito dell’impresario nel ruolo di mezzo uomo e mezzo animale, nella calzamaglia aderente color carne con qualche macchia scura ideata da Léon Bakst scioccò il pubblico parigino: oggi il fatto desta un sorriso compiacente. Coreografato da Amedeo Amodio nel 1972 e presentato per la prima volta a Spoleto, al Festival di Due Mondi, ormai fa parte del repertorio contemporaneo. Fantasia e delicatezza caratterizzano questo passo a due, un gioco complicato tra due corpi è segnato da prese spettacolari. Susanna Elviretti nel ruolo della Ninfa avvolta in calzamaglia color carne fa gioire l’occhio con la sua grazia sublime, mentre Umberto De Santis disegna un Fauno sensuale attraverso le pose ben definite e i salti focosi.

Unisci le persone e falle lavorare” L’oiseau de feu (L’uccello di fuoco, 1910) fu voluto daDiaghilev come “il primo balletto russo”, perché, sosteneva lui, l’opera russa, la sinfonia, la canzone, la danza, il ritmo russi esistevano già, ma il balletto no! Tutte le favole russe furono già usate nelle opere, ma c’era un personaggio meraviglioso che non aveva ancora calcato le scene, l’Uccello di fuoco, appunto. Allora si misero insieme Diaghilev stesso, i suoi scenografi Benois e Golovin e insieme inventarono il libretto con motivi di diverse favole russe. Diaghilev optò per Stravinsky dopo aver pensato di commissionare la musica a un compositore rinomato, ma questi tardava. “Questa musica brucia, arde e emette scintille. È questo di cui ho bisogno per l’immagine di fuoco nel balletto”- ricordò Mikhail Fokine che coreografò la prima versione del balletto. Fortissimo impatto sul pubblico ebbero anche le scene di Golovin e i costumi di Bakst. Le coreografie di Fokine seguirono il disegno preciso per i personaggi dell’Uccello di fuoco: solo l’essere magico saliva sulle punte, mentre le principesse ballavano a piedi nudi e il mago cattivo Kaščey si spiegava tramite un linguaggio grottesco. Mai e poi mai Parigi aveva visto un balletto simile dove tutte le arti formavano una perfetta sintesi.

Oggi Marco Goecke ripensa la fiaba russa in chiave tutta sua e molto particolare: crea una partitura coreografica per soli due danzatori, gli stessi che interpretano Suite italienne da Pulcinella, Sasha Riva e Simone Repele. La storia originale scompare, lasciando lo spazio a due uomini a torso nudo, due esseri fantastici, due uccelli che sembrano chiusi in un cerchio magico senza uscita, visto che stanno quasi sempre su una gamba e sbattono le ali in continuazione, quasi meccanicamente, trasmettendo ansia.

Gheorghij? E anche Balančivadze? No, è troppo complicato. Sarai George, George Balanchine”. Fu Diaghilev che in un certo modo creò il fondatore del balletto americano, George Balanchine, di cui il nome vero fu Gheorghij Melitonovič Balančivadze. Con il nome d’arte inventato da Diaghilev, l’allora giovane coreografo diventò celebre. Sono due i suoi balletti legati all’impresa di Diaghilev, Apollo Musagete sulla musica di Stravinsky e Il figliol prodigo sulla musica di Prokof’ev; due variazioni e un passo a due del primo seguono L’Uccello di fuoco nello spettacolo modenese. Ci vogliono due star per eseguire queste coreografie e a Modena troviamo interpreti perfettamente adatti allo stile balanchiniano, Ana Sofia Scheller dalle linee perfette e Alessandro Riga (che sostituisce Sergio Bernal infortunato) dall’eleganza innata.

Questo pezzo è davvero simile al nuovo balletto russo”. Lo disse il coreografo Mikhail Fokine riferendosi al Cigno; si, una miniatura sulla musica di Saint-Saёns al momento della creazione si chiamava proprio così. Il pezzo non c’entrava nulla con Les Ballets Russes di Diaghilev, fu quasi improvvisazione, diventata celebre nell’interpretazione di Anna Pavlova che possedeva caratteristiche fisiche in aperto contrasto con quelle delle prime ballerine d’epoca: fu eterea e longilinea mentre le altre decisamente robuste e con le gambe corte e muscolose. La coreografia di Fokine, semplicissima, fu nient’altro che una serie di pas de bourres e di port de bras. Oggi sarebbe giusto parlare dell’idea di Fokine e non della coreografia, perché ogni ballerina presenta al pubblico la propria versione. In Soirée russe l’eterea Susanna Elviretti balla la versione di Milena Zullo, trepidante ed irrequieta, sulle note del violino di Lissy Abreu e del pianoforte di Marcos Madrigal.

Mai risparmiare i soldi per la pubblicità e la stampa!” Correva l’anno 1921 quando Diaghilev decise di far conoscere al pubblico londinese il capolavoro assoluto del tardo Petipa, La bella addormentata. Gli inglesi applaudirono la partitura di Čajkovskij, la messa in scena lussuosa, con le scene e i costumi di Léon Bakst e la grazia impareggiabile della prima ballerina del Teatro Mariinsky Olga Spessivtseva. Ma fu un fallimento finanziario. Nel 1922 sempre a Londra e sempre su iniziativa di Diaghilev apparve lo spettacolo chiamato Aurora’s wedding (Le nozze di Aurora), il terzo atto del celebre balletto. E da questo divertissement prende l’ispirazione il pezzo conclusivo del Soirée russe, ovviamente, non si tratta né delle decine di personaggi né delle scene grandiose e i costumi lussuosi. Le nozze di Aurora è un piccolo balletto creato da due giovani danzatori, sempre Sasha Riva e Simone Repele, per se stessi e… una bambola vestita di rosa. In questa chiave il divertissement classico più famoso della storia del balletto assume tratti decisamente ironici, rimanendo comunque un omaggio alla più imponente creazione classica di tutti i tempi.

Una serata interessante ed emozionante e accoglienza calorosa, ma con poco pubblico in sala. A chi dare la colpa: alla pandemia che miete nuove vittime o a poco interesse verso la danza? In ogni caso, la festa c’è stata e il ciarlatano russo di nome Serghei Diaghilev è stato omaggiato anche se con i mezzi modesti.

Che cosa sta facendo qui, gentile signore? Non dirige l’orchestra, non suona uno strumento musicale, non dipinge le scene e non balla. E allora cosa sta facendo qui?”. – “Ci somigliamo, Sua maestà. Non lavoro. Non faccio nulla. Ma non si fa senza di me”. Questo dialogo avvenne tra il ciarlatano russo e il re di Spagna.


 

 

 
 
 

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