Puck e il complesso labirinto dell’amore
di Michele Olivieri
Rai 5, nel palinsesto di Rai Cultura, ha proposto la coreografia ideata da John Neumeier, trasmessa in prima televisiva. Creato nel 1977, il balletto è stato registrato nel 2021 ed è ispirato all’omonima commedia di Shakespeare. Protagonista – su musiche di Felix Mendelssohn Bartholdy e György Ligeti – è l’Hamburg Ballett. La scenografia è firmata, insieme ai costumi, da Jürgen Rose, che pone nella centralità un ulivo, simbolo di un mondo antico, fiabesco e mitologico.
AMBURGO – Il balletto, basato sulla commedia di William Shakespeare, racconta le vicissitudini di due giovani coppie che vengono a trovarsi in una foresta incantata e della baraonda suscitata dal dispettoso folletto Puck con la sua polvere magica che fa innamorare. Il lavoro di Neumeier rimane, insieme all’iconica versione di Balanchine (la prima rappresentazione danzata in assoluto del titolo, in scena a New York nel 1962), l’esempio di come il direttore dell’Hamburg Ballett abbia manifestato con il suo personale stile le tendenze e i gusti del mondo moderno. La presente produzione è in repertorio al Ballet de l’Opéra National de Paris, Bolschoi Ballet, Houston Ballet, Polish National Ballet, Royal Danish Ballet, Royal Swedish Ballet, Vienna State Ballet. Con la compagnia di Amburgo il balletto è stato presentato nel 1978 a Stuttgart, Frankfurt-Hoechst, Munich, Leverkusen, nel 1979 Warsaw, Paris, Cologne, nel 1980 Luxemburg, Mannheim, Bucarest, Lausanne, Bregenz, Wiesbaden, Brussels, nel 1981 São Paulo, Rio de Janeiro, Buenos Aires, St. Petersburg, nel 1983 New York, Venice, Dortmund, nel 1984 Toronto, Ottawa, Chicago, nel 1986 Tokyo, Sendai, Yokohama, Nagoya, Osaka, Kita-Kyushu, nel 1990 Ludwigshafen, Stuttgart, Taormina, Schwerin, nel 1991 Belfast, nel 1993 Frankfurt-Hoechst, nel 1997 Hannover, nel 1999 Hong Kong, Shanghai, Beijing, nel 2000 Prague, Baden-Baden, nel 2011 Gütersloh, nel 2012 Baden-Baden, Brisbaine, nel 2014 San Francisco, nel 2015 Salzburg e recentemente, nel 2021, a Baden-Baden.
Altre versioni e riprese sulla musica di Felix Mendelssohn sono state create nel tempo da Marius Petipa (1876), da Michel Fokine (1902), da Frederick Ashton (in un atto unico intitolato The Dream nel 1964 al Covent Garden). La versione di Ashton fu l’apice dei festeggiamenti per il 400° anniversario della nascita di Shakespeare, anche se il coreografo inglese produsse differenti modifiche alla commedia originale, eliminando ad esempio la narrazione di Teseo e Ippolita e la raffigurazione di Piramo e Tisbe, per dare risalto solamente ai quattro amanti ateniesi, trasportando l’ambientazione scenica dalla Grecia classica alla Londra vittoriana. Si ricorda inoltre l’allestimento di Robert de Warren a Manchester nel 1981, in seguito portato al Teatro Lirico di Milano e al Teatro alla Scala nel 1990 (quando il Maestro divenne direttore del corpo di ballo scaligero). Per il Balletto di Zurigo il coreografo Uwe Scholz diede vita alla sua rilettura nel 1989. Una versione della commedia con intermezzi musicali e balletti era già stata portata in scena da Elizabeth Vestris nel 1940 al Covent Garden. Il coreografo Tom Schilling realizzò il balletto in maniera inedita con il titolo A New Midsummer Night’s Dream, su musica di G. Katzer per la Komische Oper di Berlino Est nel 1981. Sul palcoscenico dell’Aterballetto di Reggio Emilia si ricorda il debutto del Sogno nel 1993 a cura di Amedeo Amodio. Mentre la coreografia di Stephen Petronio è stata messa in scena nel 1996 nell’ambito della manifestazione fiorentina Maggio Danza. Con il titolo Oberon’s Flower-Who Do You Love? nel 2001 si è assistito all’edizione firmata da Amanda Miller (già co-direttrice con William Forsythe del Balletto di Francoforte e fondatrice della Compagnia Pretty Ugly) all’insegna dell’eclettismo musicale. Ciò che della commedia ha catturato la coreografa è un elemento singolare della storia: la trasformazione fisica da essere umano a essere soprannaturale. Esplorando questo aspetto mediante il movimento, ha esaltato il lato magico, lasciando che questo agisca all’interno della storia per creare situazioni che si allontanano sempre più dal reale. Vicende d’amore non corrisposto, stregoni, la magia nera della foresta e il potere del piccolo fiore.
Per il Teatro Digitale del Teatro dell’Opera di Roma, nel 2021, il Sogno di una notte di mezza estate è stato proposto con la coreografia di Alessandra Delle Monache per gli allievi dei corsi superiori della Scuola di Danza del Teatro dell’Opera diretta da Laura Comi. Nel balletto, in un solo atto, i giovanissimi esecutori si sono cimentati in pezzi di insieme, assoli, pas de deux difficili e insoliti. Particolare cura è stata rivolta all’espressività. A tale scopo, infatti, è risultata importante la collaborazione con l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di cui fa parte Giulia Tomaselli, la voce recitante. Ad arricchire la rappresentazione la presenza di alcuni elementi del Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma diretto da Eleonora Abbagnato. Sullo spettacolo, a suo tempo, è così intervenuta Alessandra Delle Monache: “Rimango fedele all’ironia usata da Shakespeare e pongo l’accento sul via vai tra l’amore e la sua caricatura, sull’assurdo delle relazioni amorose, sul desiderare proprio chi non ricambia il sentimento. I problemi umani – prosegue la coreografa – si fondono con il magico mondo degli elfi. Il linguaggio coreografico è quello neoclassico-contemporaneo, pertinente alle qualità degli allievi della Scuola di Danza del Teatro dell’Opera”.
Da menzionare con particolare attenzione la versione di Lindsay Kemp e David Haughton (1979). Di quest’ultimo riportiamo per sua gentile concessione (in collaborazione con Daniela Maccari) il testo del programma di sala redatto al tempo del debutto: “Sogno di una notte di mezza estate è la più fantastica delle opere di shakespeariane e l’idea di creare uno spettacolo nel contesto di un’innocenza così giocosa e vivace era per noi di particolare interesse per il contrasto con la violenta intensità di Flowers e di Salomè. Tuttavia sotto la bizzarra e affascinante superficie del racconto serpeggia una corrente di pura malìa, in cui la personalità sembra diventare impotente alla mercé di una forza anarchica ma armoniosa che potremmo chiamare natura. Dentro le commedie fantastiche e buffe scorre un torrente di energia dionisiaca e la nostra prima preoccupazione è stata quella di esprimere questo elemento. Non siamo stati attratti da questo testo per le sue qualità intellettuali e letterarie, ma lo abbiamo scelto come un’occasione per inventare una celebrazione sensuale della magia, dell’amore, della natura e della teatralità. Come per Genet e Wilde in Flowers e Salomé, ci siamo serviti di Shakespeare senza alcuno scrupolo per solleticare i nostri appetiti e la nostra immaginazione. Volevamo guardare a questa commedia con gli occhi di un bambino, raccontare la storia come una fiaba della sera, dove le forze inconsce sono viste con ingenua e verosimile vividezza, dove lirismo e paura sono senza freni. Stilisticamente, pertanto, abbiamo fatto uso di un tipo di ingenuità più che ovvia, non dissimile dall’approccio degli “operai” alla loro impresa teatrale nella commedia di Shakespeare ma influenzati anche da Hollywood (e perfino da Disneyland) e dal teatro elisabettiano e mischiando stili e periodi con tutta l’innocenza di una commedia scolastica o di un circo. Parte per necessità e parte per il piacere di mascherarci, abbiamo esplorato i contrasti e le continuità tra i tre livelli dell’opera shakespeariana (aristocratico, paesano, fiabesco) ricorrendo a ruoli doppi e tripli in modo da far vedere i diversi intrecci come differenti aspetti psicologici di una sola personalità. Abbiamo enfatizzato particolarmente l’elemento fiabesco perché è nel regno delle fate che le forze dell’inconscio vengono simbolizzate: la magia di Puck, il folletto, è la magia dell’immaginazione dell’artista. Traendo ispirazione in particolare dai disegni di Richard Dadd, Patton, Blake e Fusell, abbiamo immaginato le fate come essere infantili e dispettosi e, allo stesso tempo, eroticamente dionisiaci. Il folklore fiabesco a cui attinse Shakespeare non era affatto decorativo ma piuttosto un’area di potere accettata come una realtà psichica. Noi abbiamo cercato di credere nelle fate ma anche, di presentarle entro i termini e i clichés tradizionali delle produzioni shakespeariane, specie nell’epoca vittoriana: così a tutti i livelli della nostra versione, parodia e serietà vanno mano nella mano. Shakespeare dette vita al mondo incantato che descriveva attraverso la poesia che gli era propria; noi, a nostra volta, abbiamo cercato di produrre un simile incantamento dei sensi con ogni mezzo a nostra disposizione, non solo attraverso canto, danza e spettacolo ma soprattutto attraverso una struttura ricca di musica e di proiezioni. Fin dalle prime vaghe idee in gestazione di Lindsay Kemp ed io pensammo alle proiezioni come parte essenziale per dar corpo alle forze della natura e del sovrannaturale e siamo stati molto fortunati di poter collaborare per molti mesi con mio fratello, Richard Haughton, che aveva già un’esperienza di sequenze filmate e di lavoro con la nostra compagnia. Così è stato anche per Carlos Miranda, un caro amico e un collaboratore di vecchia data, che aveva composto degli ottimi brani per i due balletti di Lindsay Kemp e per il Ballet Rambert e con il quale per un lungo periodo abbiamo potuto discutere e sviluppare idee per il collage musicale. Sebbene fosse un nostro sogno da anni, solo in questi tre mesi estivi passati in Italia siamo riusciti a preparare questa produzione quasi sempre provando “per strada” negli angoli, nel foyers e nelle soffitte degli alberghi, negli scantinati, sugli autobus e sulle spiagge mentre giravamo di città in città con Flowers e Punch and Judy. Occasionalmente abbiamo avuto la fortuna di usare per quattro o cinque giorni il Teatro Metastasio di Prato o l’ancora più attraente Teatro Olimpico di Sabbioneta. Abbiamo anche passato una settimana strana e meravigliosa vivendo e lavorando a Villa Passalacqua sul Lago di Como, tra fontane fatiscenti, mobili orientali, fantasmi, lune, nebbia e temporali. Di questo siamo debitori a Susie Bassano e al Centro Europeo del Teatro di Como. L’intera produzione, tuttavia, è stata resa possibile solo dal grande entusiasmo, dalla generosità e dalla fiducia del Teatro Eliseo e di chi vi lavora e, in particolare, di Romolo Valli che si è adoperato per portare, in primo luogo, la nostra compagnia in Italia. Grazie all’Eliseo e al Teatro Metastasio di Prato e all’opera di coordinamento di Julio Alvarez, siamo riusciti a fare in Italia quello che non eravamo riusciti a fare in Inghilterra... finanziare una nuova produzione. Siamo grati per questa occasione, e, speriamo che il sogno che sogniamo possa sedurre il nostro pubblico fino a farlo sognare e celebrare con noi il complesso labirinto dell’amore e a dire con Puck (e con il sorriso malizioso e affettuoso di Puck) ‘Signore, questi mortali quanto sono sciocchi’.”
Continuando nell’excursus storico, troviamo nel 1975 Heinz Spoerli con una personale produzione per il suo ensemble al Teatro di Basilea, riproposta nuovamente nel 1996 al Teatro dell’Opera di Zurigo su musica di Felix Mendelssohn Bartholdy, Steve Reich e Philip Glass; la coreografia dosava sapientemente la tradizione classica accademica con dinamiche innovative e una netta precisione. Sogno di una notte di mezza estate si è visto inoltre nella produzione Lost Théâtre Company per la regia di Riccardo Italiano con le coreografie di Claudio Grimaldi e Alessandra D’Apice. “È un balletto che è stato proposto ormai in tutte le forme e tutte le maniere, tuttavia ritengo necessario riproporre costantemente simili capolavori, per consentire anche alle nuove generazioni di godere di tali meraviglie” ha spiegato all’epoca del debutto (2017) il regista. Anche il Balletto dell’Opera di Roma diretto allora da Carla Fracci, sul palcoscenico estivo delle Terme di Caracalla, presentò il Sogno di una notte di mezz’estate con la coreografia del canadese Paul Chalmer (già direttore del Balletto dell’Opera di Lipsia) per la regia di Beppe Menegatti nel 2009. Lontano dalla corte elisabettiana, ad Atene, i folletti, gli elfi, le fate, la foresta della commedia più misteriosa e magica di Shakespeare prendono corpo attraverso le musiche di un diciassettenne di talento: Mendelssohn-Bartholdy era, infatti, così giovane quando strumentò l’ouverture delSogno per due pianoforti, per eseguirla come un innocente gioco di ragazzi con la sorella Fanny. Un divertissement da cui, con il compimento della scrittura per orchestra, prese forma il balletto.
Nel 2018 appare una nuova versione del Sogno per il “Balletto di Roma”, un atto unico per otto danzatori: quattro uomini e quattro donne in co-produzione con il Festival Oriente Occidente, sulla coreografia di Davide Valrosso (rielaborazione musicale di Pierfrancesco Mucari). Si trattava di un allestimento in bilico tra dimensione intima e collettiva, tra surrealismo e folklore. La creazione rifletteva su due temi fondamentali: la magia e il sogno e in termini coreografici si osservava il passaggio fluido degli elementi accademici ad una danza più materica: tracciati ambivalenti che si nutrono l’uno dell’altro, in un migrare continuo dall’etereo al corporeo. Sempre nel 2018 al Teatro dell’Opera di Norimberga si è assistito al Sogno di una notte di mezza estate con la musica di Owen Belton, Felix Mendelssohn-Bartholdy, Franz Schubert, Robert Schumann e Johannes Brahms, diretta da Lutz de Veer, a fare da cornice alla suasiva coreografia di Goyo Montero creata per lo Staatstheater Nuremberg Ballet.
Tornando alla versione vista su Rai 5 da Amburgo si può definire lodevole per la bravura degli interpreti, per l’umorismo tradotto in movimento e per lo stile prettamente esilarante. La produzione venne presentata in anteprima mondiale nel 1977, all’inizio del mandato di Neumeier alla Direzione Artistica dell’Hamburg Ballet, ma come ha affermato lo stesso coreografo, “l’opera è sempre in evoluzione e quindi appare fresca e contemporanea come se fosse stata creata ieri”. Fedele al racconto originale a parte alcuni piccoli dettagli, splende per l’accattivante sensualità. Neumeier punteggia grazie alla musica ciascuno dei personaggi. Il balletto si apre con i preparativi per il matrimonio di Ippolita con Teseo, duca di Atene. Un grande fondale di seta blu drappeggiata, quasi fosse un sipario tra il palcoscenico del reale e quello del fantastico, fa da cornice allo scatenato prologo. Obbligando (in senso buono) lo spettatore a compiere immaginarie giravolte, salti e contorcimenti per riuscire a cogliere ogni dettaglio. Appaiono i principali protagonisti: Hippolyta/Titania (Anna Laudere), Theseus/Oberon (Edvin Revazov), Philostrate/Puck (Alexandr Trusch), Helena (Hélène Bouchet), Hermia (Madoka Sugai), Demetrius (Karen Azatyan), Lysander (Jacopo Bellussi), Bottom/Pyramus (Marc Jubete), Flute/Thisbe (Borja Bermudez), Quince/Wall (Lizhong Wang), Snout/Wall (Pietro Pelleri), Starveling/Moonshine (Marià Huguet), Snug/Lion (Aleix Martínez), Klaus (Louis Haslach). Da menzionare in altri ruoli i giovani Marcelino Libao, Alessandro Frola, e molti altri validi esecutori del pensiero neumeierano. Il coreografo statunitense sceglie il medesimo ballerino nel ruolo di Ippolita e Titania, idem per Teseo e Oberon, Filostrato e Puck, scegliendo una lettura maggiormente lineare tra il mondo ateniese e quello fatato.
Le gradazioni di colore ci riportano all’azzurro e alle nuance del crema, con tonalità di giallo molto chiaro, a tratti quasi tendenti al bianco negli splendidi costumi di Jurgen Rose e nell’allestimento con il light design firmati sempre da Neumeier, che segue l’architettura neoclassica d’epoca georgiana, aggiungendo un ulteriore tocco di eleganza e luminosità alla struttura del balletto (soprattutto nella prima ed ultima parte). Lo “stile Neumeier” è divenuto un biglietto da visita che non necessita di ulteriori definizioni. La gestualità, le intenzioni, i movimenti rimandano all’accademismo della disciplina classica, presentati con garbo e mestiere. Come un’onda la seta blu elettrico si infrange sugli ipotetici scogli del mare della vita, e lascia spazio a un universo onirico, fatato e magico, fatto di insidie e seduzioni. Ippolita si immerge in buie visioni estetiche, dopo aver stretto sciolto i capelli, stretto a sé la lettera d’amore e la rosa rossa. La musica cambia registro. Entrano dalle quinte le fate in tute attillatissime di lamé, con caschi di suggestione aliena, in capo. La danza si trasforma, il registro è moderno... l’accademismo lascia spazio a forme e costrutti coreografici contemporanei. La Bouchet è una Ippolita espressiva, pienamente ancorata al ruolo. Come Titania si trasforma in agguerrita creatura. Il partneraggio si rivela saldo e sicuro. Gli amanti lavorano bene sull’interiorizzazione dei ruoli a loro assegnati e la sfortunata ed occhialuta Helena (dimessa nel trovarsi “un passo indietro” rispetto agli altri) ottiene il miglior tratteggio interpretativo. L’Hamburg Ballet si rivela così un corpo di ballo duttile, capace di unire la danza all’attorialità, senza mai mostrare momenti di cedimento o “sopra le righe”. Il Lysander del primo ballerino Jacopo Bellussi, vanto italiano in terra tedesca, emoziona ed ispira. Nel complesso la narrazione è limpida pur negli eccessi della modernità, e di qualche smodata macchinosità. L’edizione si distingue principalmente dalle altre per i costumi e la scelta musicale con l’inclusione dell’organetto da strada nato dall’inventore Giovanni Barbieri nel 1702. Questo insolito strumento gode di numerosi esempi nella letteratura contemporanea, e proprio György Ligeti gli dedicò alcune composizioni. Da qui la scelta di Neumeier di inserirlo nel balletto, connotandolo di significato, marcando esattamente la tradizione agli usi e costumi germanici. Queste “note in più” sottolineano come non mai i luoghi inconsueti, gli incontri frettolosi e distratti che si trasformano in occasioni gioiose, di sogno e di gioco dal sapore fanciullesco. Nella speranza di trovare la città incantata, il porto sicuro, il luogo d’elezione, l’affinità elettiva... e riempire pertanto le esistenze. Le nozze si celebrano, i festeggiamenti sono tradotti in momenti d’allegria, tutto è gioia e simpatia. C’è letizia! Citando Walter Kempowski “il dottor Wagner teneva la valigia salda sulla slitta, come fa un suonatore d’organetto col suo strumento”. Esattamente ciò che ha fatto Neumeier con la coreografia, mano sicura e intuito perspicace. Pur tuttavia, non è da annoverare tra i suoi capolavori, ma allo spettatore più attento (e preparato) viene offerta l’occasione di trascorrere un paio d’ore in semplicità e chiarezza.