Una vita trascorsa in punta di piedi
di Michele Olivieri
Un filo inspezzabile lega il nome di Carla Fracci al Teatro alla Scala, alla sua scuola, alla sua storia, al suo pubblico, alla sua Milano, e all’intero Paese quale ambasciatrice della danza e della cultura nel mondo. Innumerevoli sono state le occasioni per poterla accogliere, applaudire, acclamare ed esaltare, a conferma delle sue insuperabili interpretazioni in balletti memorabili, al fianco di altrettanto gloriosi partner. Con questa premessa è nata, in omaggio alla divina, la nuova serata che ha saputo unire notori passaggi dalle sue interpretazioni dei grandi classici - che alla Scala l’hanno vista in scena - con altri titoli da tempo non allestiti al Piermarini o che sono stati presentati per la prima volta dagli artisti diretti da Manuel Legris. Applausi, commozione e bellezza hanno fatto da cornice al Gala.
MILANO, 9 aprile 2022 – Pubblico delle grandi occasioni, nella sala del Piermarini: tutti riuniti per celebrare l’indimenticabile étoile scaligera nel Gala a lei intitolato. Nella doppia vocazione di custode della tradizione accademica e di atelier aperto alla contemporaneità, l’eccellente corpo di ballo della Scala diretto da Manuel Legris (con il coordinamento di Marco Berrichillo) rappresenta al meglio il grandioso repertorio, con il preciso intento di mostrare il talento delle giovani stelle. Al loro fianco quattro ospiti del calibro di Alessandra Ferri, Roberto Bolle, Carsten Jung, Marianela Nuñez a rendere omaggio alla divina che rimane l’incontrastato cardine della storia della danza internazionale del Novecento e figura di riferimento per il Teatro alla Scala. La prima edizione del Gala Fracci (che diventa così un appuntamento fisso annuale) ci parla tutto di lei e della sua ascesa verso le vette della perfezione.
A far da corona al ricordo, un parterre di titoli che hanno visto la ballerina milanese protagonista assoluta e in taluni casi prima interprete al debutto in ruoli a lei dedicati. Il carattere della donna e le capacità artistiche le hanno permesso di raggiungere pieni livelli di soddisfazione, anche grazie a quella proverbiale disponibilità a mettersi alla prova, costruendosi una carriera votata alla perseveranza virtuosa. L’impegno, la forza, il suo essere una danzatrice moderna ancorata all’idea di purezza classica si è rivelato anche nella scelta del programma che ha restituito la sua sigla esegetica.
Sul podio il maestro moscovita Valery Ovsyanikov dirige la compatta orchestra della Scala. A introdurre ogni pezzo, una raffinata mise en place con al pianoforte Fabio Ghidotti, Alberto Nanetti, Paolo Piazza e Marcelo Spaccarotella, mentre sul telo scorrevano evocative ed intense immagini della Fracci firmate da autorevoli maestri della fotografia come Erio Piccagliani, Lelli e Masotti, Andrea Tamoni, Mario Brescia, Rudy Amisano (video proiezioni di Balázs Delbó). L'occasione ha permesso di rivedere e ricordare numerosi altri volti e nomi del massimo milanese come Roberto Fascilla, Paolo Bortoluzzi, Mario Pistoni, Vera Colombo, Micha van Hoecke, in un corale abbraccio per chi ha fatto grande il balletto a Milano (con un mio personale pensiero rivolto alla Maestra Loreta Alexandrescu da poco prematuramente scomparsa, profonda amica della Fracci, che ha forgiato intere generazioni di ballerini alla Scuola di Ballo scaligera diretta da Frédéric Olivieri). Le foto sono diventate anch’esse un’arte vivente capace di scolpire e riscolpire l’immaginario degli spettatori, fino alla proiezione del titolo e all’apertura di sipario. Indistintamente dal brano coreografico proposto, il pubblico si è sentito abbracciato fisicamente in un’atmosfera ininterrotta di luce, sensazioni, ricordi, movimenti e suoni. Ciò ha permesso di tessere un filo tra passato e presente anche a chi non ha avuto la fortuna di vedere la Fracci in scena, fortificando nella memoria collettiva le radici, le fonti e le modalità di realizzazione sorprendenti di un’artista come lei.
A dare il via alla serata Alice Mariani con Caterina Bianchi, Agnese Di Clemente e il Corpo di Ballo nell’estratto dal secondo atto di Giselle ( Myrtha e le Willi) nella diafana ripresa coreografica di Yvette Chauvirè. Eseguita sulla partitura di Adolphe Adam, l’esibizione ha posto in scena il consono aspetto drammatico nella coreografia originale di Coralli-Perrot, adorabile in questa istantanea di una storia d’amore tragica: l’eternità di un mito che ha reso la “signature pièce” alla carriera della Fracci. A seguire una entusiasmante e poetica carrellata di passi a due, come quello con Camilla Cerulli e Mattia Semperboni, nel ruolo della Civiltà e delle Schiavo per Excelsior con la coreografia di Ugo Dell’Ara e le musiche di Romualdo Marenco (ricordando idealmente anche Pippo Crivelli, a pochi mesi dalla sua scomparsa, a cui va la preziosa riscoperta di questo Ballo). Terzo pezzo in scaletta il passo a due da Chéri con Emanuela Montanari (la quale ha dato in questa occasione il suo addio alle scene scaligere) in coppia con Nicola del Freo, a ricordarci la coppia Carla Fracci e Massimo Murru nel 1996 (l’interpretazione di lei allora venne definita “tragédienne” per sottolinearne l’impareggiabile statura). Così la Fracci aveva festeggiato i suoi sessant’anni di vita e i suoi cinquanta di danza sul palcoscenico della Scala, con questa signorile novità coreografica di Roland Petit tratta da due romanzi di Colette su musiche di Francis Poulenc, la storia di una avvenente cortigiana francese che all’età di quarantanove anni diviene l’amante del ventenne Chéri. Immancabile il passo a due del balcone (atto primo) da Romeo e Giulietta con Vittoria Valerio e Marco Agostino nel capolavoro struggente firmato da Rudolf Nureyev. Grande attesa per la coppia Marianela Nuñez (nei panni di Anna Glavari) e Roberto Bolle nel primo dei due passi a due da loro interpretati, con La vedova allegra (dal terzo atto) sulla coreografia di Ronald Hynd con la raffinata leggerezza delle musiche di Franz Lehár (le stesse della pirotecnica operetta). L’esibizione si è rivelata efficace e lirica nella sua atmosfera d’epoca sognante. Splendidi Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko, applauditissimi protagonisti del gran pas de deux dal secondo secondo dello Schiaccianoci con la coreografia e regia di Rudolf Nureyev (costituito come da tradizione accadamica da una entrée, un adagio eseguito insieme, una variazione solista maschile, una femminile e infine la coda, ovvero il ricongiungimento dei due ballerini per il finale danzato insieme) con in scena anche il Corpo di Ballo nel conosciutissimo Valzer dei fiori. Antonella Albano e Massimo Garon hanno fatto rivivere Gelsomina e Il Matto in La strada di Mario Pistoni su musiche di Nino Rota (presente in platea anche un’altra famosissima Gelsomina, l’étoile Oriella Dorella) con l’ensemble composto da Caterina Bianchi, Gioacchino Starace e il Corpo di Ballo. Martina Arduino e Marco Agostino hanno restituito il passo a due da La Péri di Jean Coralli sulla musica di Johann Friedrich Franz Burgmüller, la cui prima avvenne nel 1843 all’Opéra di Parigi. Occasione rara di rivedere questo titolo ormai quasi scomparso dalle scene, definito ai tempi appena inferiore a Giselle e che ben si inserisce nel filone dei balletti romantici grazie a elementi cari al sapore dell’epoca (qui nella ripresa coreografica di Loris Gai). A seguire l’assolo Cachucha danzato da Caterina Bianchi su coreografia di Jean Coralli e musiche sempre di Burgmüller: altra rara occasione per ricordare questa danza spagnola originaria dell’Andalusia (simile al bolero) particolarmente in voga nel periodo romantico. Alessandra Ferri, accanto a Carsten Jung, ha portato alla Scala per la prima volta un estratto da L’heure exquise, creazione con la quale ha festeggiato i suoi quarant’anni di carriera e che si è tramutata con la scomparsa di Carla Fracci,in un autentico omaggio toccante a colei che creò con il coreografo Maurice Béjart la figura di Winnie ispirata al dramma di Samuel Beckett e alle “ore squisite della gioventù” (musica di Gustav Mahler, progetto concepito nel 1998 da Torino Danza). Quasi in chiusura di serata è andato in scena l’Adagio della rosa, uno dei ruoli più ardui dell’intero repertorio classico, tratto da La Bella addormentata di Rudolf Nureyev sulla musica di Pëtr Il'ič Čajkovskij, qui danzato da Aurora Agnese Di Clemente e dai quattro principi impersonati da Gabriele Corrado, Christian Fagetti, Edoardo Caporaletti, Mattia Semperboni. Penultimo titolo l’emozionante Onegin (passo a due dal primo atto, estratto dal secondo quadro) con gli acclamati Marianela Nuñez e Roberto Bolle negli splendidi costumi di Roberta Guidi di Bagno (presente alla serata) sulla coreografia di John Cranko e le musiche di Čajkovskij. Incantevole la Nuñez, che, come la Fracci nel 1965, ha commosso con la sua danza avvolgente eseguita grazie ad un movimento rapido e ad una spirale ondeggiante, tanto da ricordare un’armoniosa massa d’acqua con i suoi impeti e i suoi tumulti. A chiudere il gala tutta l’avvenenza del neoclassico Symphony in C di George Balanchine, con la presentazione del quarto movimento e il finale a beneficio dell’organico del balletto. Le coppie principali di ogni movimento sono state così formate: Maria Celeste Losa con Nicola Del Freo, Alice Mariani con Timofej Andrijashenko, Nicoletta Man ni con Marco Agostino, Vittoria Valerio con Christian Fagetti. Una successione di passi che ha punteggiato le note musicali come fosse un Concerto: esempio di grazia e beltà.
Nei saluti finali, durante i loro inchini con applausi entusiasti, gli artisti hanno lasciato spazio a una suggestiva immagine di Carla Fracci, proiettata sul fondale, a cui è giunta la standing ovation da parte di tutto pubblico. Perché la Fracci è una leggenda.