L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Astratto primordiale

 di Roberta Pedrotti

 

Debutta al Teatro Comunale di Bologna l'ultimo lavoro del coreografo Virgilio Sieni, che si cimenta con il capolavoro di Stravinskij riconducendolo a una celebrazione primordiale quasi astratta del movimento e del corpo fuori da ogni riferimento netto, formale o narrativo.

Bologna, 11 febbraio 2015 - In tempi in cui il mantenimento di un corpo di ballo stabile viene troppo spesso considerato, ahimé, un lusso e in cui solo alcuni teatri lirici mostrano mezzi e volontà per non rinunciare a questa risorsa, fa piacere notare come nella programmazione del Comunale di Bologna cresca l'attenzione verso la danza, con tre spettacoli inseriti nella stagione ufficiale, variamente abbinati o meno ai tradizionali turni d'abbonamento. Non mancherà un grande classico del Novecento come Romeo e Giulietta di Prokof'ev nella versione intramontabile di McMillan, mentre per aprire questo piccolo ciclo di tre balletti si è chiamato il più noto e celebrato coreografo italiano contemporaneo, Virgilio Sieni, con un nuovo lavoro in prima assoluta.

Sieni si confronta con Le sacre du printemps di Stravinskij, il testo che ha cambiato per sempre la storia della musica e della danza, il testo indomabile, capace di sfuggire a ogni definizione e interpretazione compiuta, di rinnovarsi sempre nella sua energia e nel suo traboccare d'idee, vigore e ispirazione poetica. Un sublime, creativo, eterno caos dionisiaco in cui proprio un ribollente brodo primordiale sonoro trova un ordine interno pulsante e chirurgico.

Tale è la rivoluzione ancora potente insita nella partitura di Stravinskij, in atto fin dallo scandalo della prima, che l'approccio sembra dover essere per natura graduale, sembra esigere il raccoglimento di un Preludio. Certo, l'accostamento del Sacre con la suite del contrabbassista – e, qui, anche in veste di solista – Daniele Roccato può apparire decisamente audace, per quanto non si osi un confronto musicale fra i due brani. Anzi, l'impressione è quella di una ricerca deliberata di una sorta di non musica, di un suono sospeso che potrebbe durare pochi minuti come l'effettiva mezz'oretta nel suo ipnotico incedere minimalista, quasi privo di tempo. Potrebbe essere l'ossimoro di un suono del silenzio prima del Big Bang; in esso si muove un corpo composto di sei corpi, sei donne completamente nude. Atletiche, certo, come esige l'arte tersicorea, ma naturali, autentiche e diverse: efebiche, asciutte, morbide, dai seni appena accennati o maturi, più o meno sodi. La bellezza della varietà del corpo che non imita la levigata stilizzazione di una statua classica, ma non esibisce nemmeno la sua sensualità. Solo e semplicemente corpi singoli come membra di un corpo unico, febbrile, composito in un disordine apparente che in realtà risulta essere la concretizzazione di un unico movimento continuo e parcellizzato. L'immagine geometrica di un frattale, o delle ciglia di un organismo primordiale potrà essere impropria scientificamente, ma accarezza le suggestioni di questo moto perpetuo che improvvisamente si cristallizza in immagini pittoriche. Ecco che il nudo nella foresta caratteristico dell'arte contemporanea alla nascita del Sacre du printemps si ritrova sperduto con se stesso in uno spazio asettico, neutro, forse artificiale, citando le danze di Matisse, fauve come, al tempo, Stravinskij.

E Stravinskij arriva, dopo un breve intervallo, diretto con grande attenzione cura delle dinamiche da Felix Krieger, sebbene senza una risposta sempre d'immacolata precisione da parte dell'orchestra (senza considerare le difficoltà per l'insieme, gli scogli per i solisti non si fermano certo all'acutissimo assolo iniziale in cui il fagotto arriva a imitare un oboe).

I danzatori sono raddoppiati, con l'aggiunta dei maschi; non è mutata la fisicità concreta e realistica, mentre i sessi sono annullati da costumi semitrasparenti e aderentissimi, quasi, dopo l'ingenuità sorgiva e sublimata artisticamente della prima femminilità, ora l'umanità, il corpo di dodici corpi (numero ricco di significati simbolici, religiosi, scientifici moltissime le culture) prescinda dalla distinzione di sesso. Puro corpo. In questo consiste lo spirito primitivo del rito primaverile: non una ricostruzione antropologica in senso storico ed etnico, ma un'antropologia astratta del corpo umano di per se stesso, nella sua consapevolezza motoria e nel suo relazionarsi con un altro distinto e uguale, parte indispensabile di una medesima umanità. L'unico riferimento alle didascalie originali del balletto resta nell'identificazione della figura dell'Eletta in una danzatrice dal volto dipinto d'oro e dal costume viola. Non avviene però alcun sacrificio, o, meglio, nessun elemento narrativo o descrittivo è evidente, in una sorta di eterno ritorno, di ciclo di elementi continuamente ripresi e variati fra la presa di possesso dello spazio vuoto, del corpo altrui e del proprio.

Lo stesso rapporto con la musica è ricercato più in un respiro comune, in un continuo ritrovarsi che, però, rifugge l'aderenza didascalica fra l'elemento sonoro (talora perfino con il ritmo stesso) e l'elemento fisico, spaziale e motorio. Ne sortisce uno straniamento ipnotico, che nel negare i legami positivi con una narrazione, costruzione formale e musicale ne suggerisce altri sottintesi e controversi. Nega, si può dire, non per affermare una verità, ma per mostrare una materia febbrile in cui la forma e il significato non sembrano avere l'importanza della suggestione di un puro significante. Che può, senza dubbio, anche lasciare disorientati, come in un giudizio sospeso, naturale esito di quella che si profila come una continua ricerca più che come una struttura conquistata. Così, infatti, i gesti minuziosi paiono a metà fra l'impressione di una naturalezza, di una inevitabilità improvvisata e, viceversa, una preparazione minuziosa che nulla lascia al caso o all'iniziativa personale. Tutto è precisissimo anche nell'apparente disordine, o tutto è istintivo e innato anche nell'ordine apparente? Di certo la prova dei danzatori è rilevante prima ancora che per la tecnica atletica pura e semplice, per la concentrazione estrema richiesta da una coreografia così minuziosa e minimalista, basata nel Preludio su un tessuto musicale che sembra rifuggire programmaticamente ogni riferimento e scansione del tempo, nel Sacre vero e proprio su un rapporto personalissimo, intimo e anticonvenzionale con la partitura.

All'ultima recita, nel turno Pomeriggio, si mescolano gli abbonati agli appassionati di danza contemporanea (o di Stravinskij) intervenuti appositamente per l'occasione ed è dunque inevitabile che si mescolino anche, in varie gradazioni, perplessità, soddisfazioni, curiosità, riflessioni estetiche e silenzi meditativi. Alla fine non mancano gli applausi, che speriamo segnino un buon punto di inizio per una presenza regolare del balletto, classico e sperimentale, sul palcoscenico del Comunale.

foto Rocco Casaluci


 

 

 
 
 

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