Fiore di loto
di Michele Olivieri
Tra novità e repertorio, il Balletto della Scala è tornato al TAM Teatro Arcimboldi con un programma che ha saputo riunire con eleganza alcuni tra i titoli di più recente acquisizione, rimodulati sui talenti dei suoi artisti di punta o creati appositamente per la Compagnia. Un viaggio attraverso la contemporaneità delle firme coreografiche, con un occhio al glorioso passato storico accademico.
MILANO, 6 ottobre 2022 – Attualmente, sembrerebbe che l’unico concetto di bellezza sia quello esteriore fatto di forme ideali accordate alla moda e divulgate tramite i social. In fin dei conti il tutto si riduce a un binomio: bellezza e gioventù, ma la bellezza nell’arte, in questo caso ad appannaggio della danza e del balletto, ha ben altre qualità. Pregi capaci di appagare l’animo attraverso i sensi nel far fiorire emozioni. La musica, la coreutica diventano così oggetto di meritata contemplazione. Il fiore di loto è per gli orientali il simbolo della vita e della virtù e nella Grecia antica fungeva ad emblema di oratoria e incanto. A riprova di ciò, il titolo di questa recensione è dedicato proprio al fiore quale sinonimo di ammirazione. Che cos’è la bellezza per Hegel? Il filosofo tedesco ha ridefinito il concetto: “Il bello non è il bello di natura, ma è il bello dell’arte”. E in questa prima al TAM la bellezza è stata palpabile, anzi è risultata il valore assoluto della serata. In questi tempi belligeranti, ancor di più, l’uomo ha bisogno nel suo vivere di caratterizzare la quotidianità nel valore della bellezza. Altresì, cosa ci insegna la danza? Grazia, eleganza, flessibilità, leggerezza, rigore, ordine, disciplina, duro lavoro, armonia del corpo, memorizzazione.
E così, entrando nel dettaglio della serata, non poteva mancare ad apertura di sipario l’assoluta modernità di Igor’ Stravinskij. Il coreografo András Lukács ha portato a Milano Movements to Stravinsky trovando ispirazione in Apollon Musagète, Les Cinq Doigts, Suite Italienne, Pulcinella Suite. Non poteva esserci migliore inizio, un preludio astratto, carismatico e minimalista. La coreografia si è lasciata condurre dalle atmosfere della Commedia dell’Arte fino al Rinascimento, mostrando un “classico” rinnovato con intelligenza e gusto estetico. Lukács ha intessuto un filo, un filo del destino, mostrando ciò che dovrebbe accadere nella vita e ciò che dovrebbe accadere nell’arte. La sua creazione è un incastro che non lascia nulla al caso, ogni intenzione si adagia sull’altra con millimetrica mappatura. Una poesia in cui gli elementi predominanti - coreografie, scenografie, costumi, luci, interpreti - mostrano incisivo talento. Nicoletta Manni, Timofej Andrijashenko, Vittoria Valerio, Navrin Turnbull, Agnese di Clemente, Edoardo Caporaletti, Gaia Andreanò, Eugenio Lepere, Paola Giovenzana, Frank Aduca, Antonella Albano, Andrea Risso sono apparsi estremamente ben preparati nel loro muoversi all’unisono. Nel pezzo predominano quali simbologie il bianco e il nero e i suggestivi costumi originali della produzione del Wiener Staatsballet (2017). Gli uomini indossano gorgiere al collo, le donne appaiono vestite in stilizzati tutù. Lukács (qui anche scenografo, costumista e ideatore delle luci) sa piegare il corpo dei ballerini come fosse metallo fuso nelle sue mani, plasmandoli. Movements to Stravinsky sopravviverà al tempo, alle mode e a chi verrà dopo perché è ciò che il pubblico si aspetta in alternanza ai grandi titoli del repertorio, e cioè un misto di passione ed innovazione, senza tralasciare il sentimento ed una punta di glamour.
A seguire, Verdi Suite, componimento con estratti dai ballabili da Les vêpres siciliennes, Jérusalem, e dalla versione francese del Trovatore (Le trouvère) con Martina Arduino, Virna Toppi, Claudio Coviello, Marco Agostino, Nicola Del Freo, Maria Celeste Losa, Gabriele Corrado e il corpo di ballo su coreografia di Manuel Legris. Quest’ultimo ha saputo trasporre lo stile francese, in aggiunta ad un ideale omaggio alla grande Scala della tradizione accademica. Un pezzo perfetto di stile nella fondamentale consuetudine della trasmissione da Maestro ad interprete. Esecutori impeccabili per eleganza e portamento, con il direttore parigino che ha posto particolare attenzione alla morbidezza delle linee, ma anche alla virtuosità tecnica, sulla flessibilità delle gambe e sulla velocità dei piedi, non tralasciando certamente l’espressività e un’eleganza mai scontata.
Il terzo pezzo in programma si salda con la musica barocca in The labirinth of solitude, assolo di potenza espressiva creato da Patrick de Bana per Ivan Vasiliev nel 2011 sulla Ciaccona in sol min. di Tomaso Antonio Vitali. In scena l’intenso Mattia Semperboni. Per chi balla, è un’esperienza sensoriale intima, la magia che scorre in palcoscenico è travolgente nei suoi tempi. Semperboni appare credibile e coinvolto e lo hanno dimostrato gli applausi ripetuti e le numerose chiamate alla ribalta. L’abilità nelle rotazioni continue, così difficili ed impeccabili, richiede tempo e dedizione ed è uno dei punti di forza del solista, nonché uno degli esercizi più spettacolari a cui assistere. L’assenza di scenografie e costumi in questo caso si rivela una ricchezza. La danza diventa un’arte di bellezza per chi gode di talento, restituendo a piene mani il puro piacere. L’immaginario cerchio che il ballerino percorre con i tours en manège è la linea ideale che aumentando gradualmente determina una “bellezza” di sospirosa solitudine.
Dopo l’intervallo, ad apertura di secondo tempo, troviamo la coreografia di Natalia Horecna. Un lavoro creato direttamente a Milano con e per il Corpo di Ballo della Scala. Horecna (che firma anche scene e costumi) ha presentato Birds walking on water su musica di Arvo Pärt, Jean Sibelius e Vladimir Martynov. Tre sono le coppie principali, cinque altre coppie e il primo ballerino Mick Zeni, alter ego di ogni artista presente, carismatico traghettatore di anime, con tutta l’esperienza sulle spalle di una importante carriera giunta alla sua vetta. Accanto a lui Antonella Albano con Massimo Garon, Chiara Fiandra con Edoardo Caporaletti, Eva Stokic con Gioacchino Starace, e ancora Denise Gazzo, Giulia Schembri, Linda Giubelli, Camilla Cerulli, Serena Sarnataro, Francesco Mascia, Andrea Crescenzi, Domenico Di Cristo, Eugenio Lepera, Marco Messina. L’allestimento appare a tratti condito da troppi luoghi comuni, un po’ fané, da rivedere sicuramente nei tempi e nei modi. Appare sottotono perché ciò che rimane centrale, al di là dell’impressione positiva o negativa dopo aver visto un’opera, è la rielaborazione che ne consegue. Nessuno vedrà mai la medesima cosa. Essendo un’esperienza di compresenza, gli elementi sul piatto sono differenti. Ciò che qui manca, però, è proprio questo elemento di compresenza. Di certo si è apprezzata la sensibilità tecnica degli artisti tutti, così come l’intento della Horecna.
A chiusura di serata ritroviamo il repertorio che rappresenta il miglior riferimento classico del balletto. Come per la letteratura, per la musica e per le arti figurative, anche la danza ha i suoi “classici”, opere che sono entrate a pieno titolo a far parte della storia del balletto. E ne abbiamo avuto prova con il divertissement da Paquita, in rilevante spolvero per primi ballerini, solisti e corpo di ballo. Interpreti principali Nicoletta Manni, Nicola Del Freo, Maria Celeste Losa, Martina Arduino, Vittoria Valerio e Virna Toppi, impegnati nel Grand Pas e nelle variazioni del secondo atto, capolavori immortali di Petipa su musica di Ludwig Minkus, con gli accurati costumi firmati da Roberta Guidi di Bagno. Nulla da aggiungere a questo balletto del periodo romantico, a cui hanno guardato tutte le più rinomate compagnie internazionali, dove l’estetismo evapora in eterea ed impalpabile bellezza.
Da menzionare per la buona riuscita della serata anche Marco Berricchillo (coordinatore del Corpo di Ballo), Laura Contardi (Maitre principale), Lara Montanaro e Massimo Murru (Maitres), il primo ballerino Antonino Sutera (Maitre sulla produzione), Andrea Boi (direttore di scena), Fabio Ghidotti, Alberto Nanetti e Marcello Spaccarotella (Maestri collaboratori), Paolo Piazza (Maestro alle luci). Dispiace per la musica registrata, ma è comprensibile che lo spostamento dalla Scala agli Arcimboldi per l’Orchestra avrebbe comportato un aggravio non indifferente (comunque eccellente la registrazione audio). Qualche appunto al pubblico, sempre vociante e spesso più preoccupato a fotografare e a riprendere con i cellulari lo spettacolo, piuttosto che a godersi la serata nel rispetto dei vicini di posto e degli artisti impegnati. Apprezzabile la presenza, ad ogni fine pezzo, dei singoli cinque coreografi in proscenio per i ringraziamenti. Ma ancor di più amabile l’assistere a numerosi volti nuovi del corpo di ballo scaligero che si stanno facendo strada nella professione, con freschezza ed entusiasmo. Giovani talenti da tenere d’occhio,pronti a diventare stelle tersicoree. Numerosissima la presenza degli spettatori in teatro, pieno in ogni ordine di posto, molti ospiti in platea del mondo della danza, ma soprattutto quella agognata rinascita per tornare a volare sulle ali dell’immaginazione.
Michele Olivieri