Rinnovate simbologie al passo coi tempi
Trasmesso in live streaming il giorno 16 dicembre 2022, è oggi disponibile sul canale youtube del Massimo di Palermo l’allestimento dell’inedito Schiaccianoci “siciliano” con la drammaturgia e coreografia di Jean-Sébastien Colau e Vincenzo Veneruso ispirate liberamente dal racconto di E. T. A. Hoffmann, nell’allestimento del Teatro Massimo, con la ideazione e il coordinamento televisivo di Gery Palazzotto, per la regia televisiva di Antonio Di Giovanni.
Streaming da PALERMO - Non c’è niente al mondo come la gioiosa innocenza e Lo Schiaccianoci intramontabile con i suoi colori e le melodie ne suscita lo scintillante incanto nel pubblico di ogni età, ad ogni passo, ad ogni sollevamento, ad ogni linea coreografata e ballata, un sentimento di genio e abilità. Anche per un profano di danza questo balletto risulta vivace, divertente e deliziosamente meraviglioso. Incarna sia il presente sia la nostalgia delle festività di fine anno. C’è qualcosa di speciale nell’assistere a una inedita produzione, nella moltitudine di versioni messe in scena annualmente del capolavoro cajkovskijano, soprattutto nel periodo natalizio. La storia e la coreografia proposte da Jean-Sébastien Colau e Vincenzo Veneruso (con assistente José Blanco Martínez) includono sfumature inaspettate che sono state ben accolte, grazie anche alla sempre potente partitura abbinata alle prestazioni e alla valorizzazione del Corpo di Ballo palermitano, diretto dallo stesso Colau (già étoile internazionale). Essendo così popolare, lo Schiaccianoci diventa unico e specifico per la compagnia che lo porta in palcoscenico. Dalla coreografia tradizionale e dalla narrazione di E.T.A. Hoffmann, la performance è stata concepita dai due artisti appositamente per il Massimo di Palermo anche nelle vesti di drammaturghi. Tale fusione di creatività ha prodotto nuovi movimenti e nuovi personaggi pur rimanendo impostata sull’eleganza senza tempo della traccia originale, che ci riporta direttamente al debutto di San Pietroburgo il 18 dicembre del 1892. L’aspetto principale che colpisce è l’ambientazione ed in parte la trama con i suoi intrinsechi messaggi. La complessità della coreografia si unisce alla immancabile tradizione di far danzare anche giovanissimi ballerini in formazione, qui diretti da Roberta D’Amore. I bambini sono sapientemente curati ed è stato gratificante vederli a un buon livello esibirsi insieme ai professionisti.
La forza e l’abilità dell’orchestra sono parte integrante di qualsiasi balletto. La direzione del maestro Ido Arade ha impresso un passo adeguato alla musica di Čajkovskij, unitamente al Coro di voci bianche diretto da Salvatore Punturo. Lo Schiaccianoci è una delle rappresentazioni teatrali più coinvolgenti tra i titoli cosiddetti a serata intera, con i suoi scenari magici (dipinti a mano e realizzati nei laboratori scenografici del Teatro Massimo, a firma di Renzo Milan), i fantasiosi costumi di Cécile Flamande, il calore del Natale nelle luci di Maureen Sizun Vom Dorp. La trasposizione siciliana lascia il giusto respiro al balletto in tutto il suo splendore e il secondo atto pone in mostra un talento rinnovatore. I nostri due protagonisti non sono più Marie e lo Schiaccianoci, ma Maria e Dario, un povero ambulante, che vende castagne e frutta secca insieme al fratello Pietro per le strade della città. Quello del castagnaro era un mestiere che consisteva nel raccogliere e trattare il frutto autunnale per poi venderlo in sacchi e cesti nei paesi o nelle città, ed era una vera e propria arte che i commercianti dei mercati storici palermitani si tramandano ancora oggi di padre in figlio nelle botteghe o negli spazi aperti. Tornando a Pietro, nel balletto, a causa dell’incantesimo del Re dei topi, rimane imprigionato nel guscio di legno dello Schiaccianoci: ciò a significare il totale isolamento che rende impossibile comunicare con gli altri. Ciò è ben visibile nella postura, nelle espressioni facciali e nel modo in cui la danza riesce a inviare messaggi non verbali facilmente interpretabili. I coreografi grazie alla gestualità e alla esperienza maturata nel mestiere rivelano così le diverse tensioni del corpo o il rilassamento, a seconda della trama, ritrovando la posizione naturale nel finale come ritorno alla normalità, il tutto senza mai venire meno esteticamente a quel senso di piacevolezza tipico del “balletto di Natale”.
L’innovazione nella trama trascina con sé nel viaggio di Maria e Dario, in cerca di Pietro, significati profondi. Il fantastico affonda le radici nella stessa vita quotidiana, scaturisce dalla dimensione borghese della cornice, in cui la danza del realismo, vissuta e subita dai personaggi, si innalza, rivelando sottintesi non sempre così evidenti agli sguardi della gente. Sono proprio lo sguardo poetico e quello infantile ad essere predisposti a sondare l’abisso che si nasconde dietro alla realtà, in cui si avverte il peso del disagio oltre all’apparenza, contro quella scintillante prosperità della classe benestante che si scontra con la dignitosa povertà in cui vivono i protagonisti. Natura e civiltà, barbarie e cultura si fronteggiano in una guerra perlopiù perduta. Hoffmann scrisse Lo Schiaccianoci ispirandosi a due fratelli figli di un suo amico, Julius Eduard Hitzig. Nella realtà Fritz divenne architetto e visse settant’anni, mentre Marie, nata nel 1809, morì a soli tredici anni. Il racconto risponde a una domanda che gli adulti dovrebbero porsi anche oggi: “Hoffmann sa compiere il miracolo che consiste nel calarsi interamente nell’universo di simboli, metafore, inquietudini che sono elementi propri dei bambini?” Nello Schiaccianoci e il re dei topi esiste tutto questo, senza riserve e senza perplessità. Colau-Veneruso prendono a pretesto il re dei Topi - il quale viene adescato con dolci leccornie - rendendo omaggio alla sontuosa tradizione dolciaria palermitana e alle sue ricche simbologie. Dalla frutta di Martorana, i coreografi proseguono nell’incanto della torta Sette Veli, dove gli strati croccanti si alternano a morbide mousse restituendo una dolcezza (tipica dell’arte coreutica) e la lucida glassa quale contraltare di tutu e tutulette, passando per gli inevitabili cannoli che in origine venivano preparati in occasione del carnevale per poi divenire in breve tempo un rinomato esempio dell’arte pasticcera siciliana nel mondo. Infine, la cassata “irrinunciabile durante le festività” per cui un proverbio siciliano recita “Tintu è cu nun mancia a cassata a matina ri Pasqua” (“Meschino chi non mangia cassata la mattina di Pasqua”). Tali simbologie nello Schiaccianoci realizzato dal Massimo sono ben evidenti nelle cosiddette danze di carattere, le quali hanno da sole la capacità di richiamare il gusto barocco tipico dell’isola. Senza dimenticare “idealmente” i cedri, mandarini ciliegie, pere, fichi, canditi che rendono i dolci (e in questo caso la danza) un’esplosione di colori e di sentori. E poi la fantasia lascia spazio anche a noci, pinoli, uva passa, mango, ananas, lupini, carrube, e castagne. Altri simboli che balzano all’occhio sono quelli dell’ape, che agli occhi degli antichi viaggiava sui sentieri della luce portando con sé i messaggi che gli uomini inviavano agli Dèi. Ritroviamo in scena anche la farfalla, sinonimo di rinascita, trasformazione, speranza, coraggio, e bellezza ma anche nell’esilità della felicità. E per chiudere lo scarabeo che nelle credenze popolari, ma anche nell’antico Egitto, era simbolo della resurrezione. Altra innovazione coreografica non da poco per i canoni accademici, nella celebre variazione del Valzer dei fiocchi di neve, che per antonomasia è di pertinenza femminile, qui viene danzata (se la memoria non mi sfugge) per la prima volta in assoluto anche da ballerini maschi. Non c’è un momento in cui l’eleganza sottile dell’orchestrazione e dell’esibizione perda colpi, sembra anzi voler analizzare dal di dentro tutti gli episodi della realtà quotidiana che circonda l’attuale società. L’innovazione di tralasciare l’immersione totale nell’inverno e nelle festività russe o tedesche non trova dissonanze in quanto Lo Schiaccianoci ben si presta a più visioni, come fosse un caleidoscopio. È uno scavare nei personaggi, affascinando il pubblico, pur nell’inquietudine intensa che personalizza lo stile di Colau-Verenuso. Un plauso ai danzatori Alessandro Cascioli (Dario) Carla Mammo Zagarella (Maria), Emilio Barone (Pietro), Giovanni Traetto (Fritz), Vito Bortone (Maestro), Annalisa Bardo (Madre), Diego Millesimo (Padre), Francesca Bellone (Cameriera), Simona Filippone (Governante), Giuseppe Rosignano (Zio), Alessandro Burini, Marcello Carini, Gaetano La Mantia (Camerieri), Romina Leone, Riccardo Riccio, Michele Morelli, Fabio Correnti (7 Veli), Diego Mulone, Giovanni Traetto (Cannolo), Maria Chiara Grisafi, Alessandro Casà (Cassata), Lucia Ermetto, Michaela Colino, Anna Maria Margozzi, Sabrina Montanaro (Monache), Yuriko Nishihara (Ape), Vincenzo Carpino (Farfalla), Andrea Mocciardini (Scarabeo) e a tutto il Corpo di Ballo del Teatro Massimo che riesce ad emergere e a trovare un “ordine nelle arti” al servizio della nostra esistenza, fra tormenti e letizia.
Michele Olivieri