Matsuev, il veemente sincero
di Stefano Ceccarelli
L’Accademia di Santa Cecilia ospita nuovamente un recital del talentuosissimo russo Denis Matsuev. Non l’ascoltavamo dal marzo del 2014. Torna oggi proponendoci un programma simile all’ultimo. Figurano ancora Čajkovskij e Rachmaninov; ci ripropone, anche, il primo Mephisto-Walzer di Liszt, suo cavallo di battaglia. Unica incursione stricto sensu romantica è la Kreisleriana di Schumann. Una marea di bis concludono un’eccellente serata di musica, coi fuochi d’artificio, alla maniera di Matsuev.
ROMA, 24 febbraio 2016 – Erano due anni che il robusto Denis Matsuev, dalla falcata imponente e scattante, non ci faceva visita all’Accademia di Santa Cecilia. Torna in un’atmosfera, forse, troppo raccolta per tributargli l’adeguata ovazione che meriterebbe il suo talento: sempre troppo pochi frequentano i concerti cameristici. Un vero peccato. Pochi ma bramosi di applaudire il russo, schivo e timido, che esce e entra dal palco con ampi e decisi passi: un lungo frac nero avvolge il ben piantato buon gigante del pianoforte, ambasciatore dell’Unesco e impegnato in prima persona nella diffusione della musica nella scuola russa.
Denis sceglie di presentarci un programma che attraversa, cronologicamente e geograficamente, le principali tappe del romanticismo e tardoromanticismo pianistico. Inizia con la nota autobiografia romantica di Robert Schumann: Kreisleriana op. 16. Uno Schumann molto intenso, veemente forse oltre le intenzioni originarie del tedesco, specialmente in alcuni passaggi. Ma è il pianismo di Matsuev, il suo ethos come interprete: non si può chiedere a una tigre, a un leone, di obliare il proprio istinto. Che, poi, di tocchi Matsuev s’intende anche, ma sempre felini: ce lo dimostra nella delicatezza dei Sehr langsam (4 e 6, dove alternata uno slancio manicheo verso avverse pulsioni) e nell’ultimo, enigmatico, brano (Schnell und spielend), dove mescola delicatezza a una volontà di librarsi. Ma il vero Matsuev, quello che corre sulla tastiera veloce come un fendente, che esegue con chirurgica precisione ogni difficoltà (pur mantenendo un’impressionante velocità d’esecuzione) lo possiamo gustare nell’Äusserst bewegt (1), nel martellare inquieto delle terzine del Sehr aufgeregt (3). Il tutto è mirabilmente sintetizzato nel complesso Sehr innig (2), dove Matsuev non cade nella tentazione di farsi sempre trascinare dal suo pianismo. Il russo sa ben cogliere il dolore interiore schumanniano, sincero, romantico, la psiche delicata e frammentaria del tedesco; in fin dei conti, Kreisleriana è un romanzo psicologico dal tragico epilogo. Schumann puntò a una intensa ricerca sonora, a colorazioni cangianti, ma sempre a loro modo tramontanti. Forse Lupu e Argerich ne sono stati insuperati interpreti: certo Matsuev, a suo modo, ci regala proprio lo Sturm und Drang del sentire schumanniano.
Sul Mephisto-Walzer n. 1 S 514 (eseguito anche nel 2014) di Franz Liszt, Matsuev può lasciarsi andare: eccolo il pianismo veementemente sincere del russo. L’esecuzione è eccellente. Straordinaria la pulizia sonora, gli effetti superbamente scanditi, il senso percussivo di danza infernale, condito con vari abbellimenti (volatine, trilli, scale improvvise), che rendono lo spartito di difficilissima esecuzione. Matsuev ha nell’affondo virtuosistico la sua firma. Ma come sa trascolorare nei momenti più lirici! Ci rende palpabile l’intermezzo amoroso fra Faust e Margherita.
Il secondo tempo è tutto russo: l’animo di Denis si sente a casa, fra gli autori più letti, i suoi prediletti. S’inizia con due brani di Čajkovskij. Che Matsuev sappia anche esser delicato, lo dimostra l’esecuzione intima e personale di Meditation op. 72 n. 5: certo, nelle salite ancora emerge il suo sincero pianismo veemente, forse troppo marcato per il carattere del pezzo, ma il finale è tutto in pianissimo, a perdersi in una infilata di trilli finali. Estrema naturalezza Denis profonde nell’esecuzione della prima parte di Dumka op. 59: melense, densa di tristesse, nostalgicamente diafana, un patetismo di grande naturalezza; nella danza contadinesca, dal sapore slavo, il suo talento percussivo si esprime appieno (non riesce a non battere addirittura il piede sinistro, quasi compartecipasse di un momento di sollievo dalle fatiche dei contadini russi): il finale è tutto meditativo della difficoltà della vita contadina.
Denis è subito pronto a gettarsi in Sergej Rachmaninov, suo autore feticcio. Il noto Preludio op. 23 n. 5 esce subito energico, fin dalle sue prime battute martellanti: una marcia dal sapore quasi beffardo, sardonico, seducente per il suo ambiguo psicologismo, tipicamente novecentesco. Matsuev ne cavalca le sincopi e le arditezze ritmiche: ne esce un’esecuzione meno ambigua, meno profonda di altre (Horowitz o Richter, per esempio). Del Preludio op. 32 n. 12 esegue bene tutto, ancora sforzandosi di rendere un suono il più pulito possibile: certo è difficile reggere il confronto con l’interpretazione dell’autore stesso (conosco un’incisione di Rachmaninoff del 1921), che ci trasporta in una dimensione tenebrosamente sospesa. La Sonata n. 2 in si bemolle minore op. 36 (nella versione ridotta e semplificata, che Rachmaninoff apprestò nel 1931 in una meticolosa revisione di quelli che considerava difetti giovanili) è assai più nelle corde di Matsuev: è il pezzo che sente meglio assieme al Mephisto-Walzer. Impeto e tocco s’alternano in un pianismo di petto, naturale, anche muscolare. Del resto, il pezzo Matsuev l’esegue a occhi chiusi, lo sente suo: è spessissimo nel cartellone dei suoi concerti. L’intensità, la forza e l’emotività rendono l’esecuzione indimenticabile, tanto da far alzare in piedi moltissimi dei pur pochi assisi a ascoltarlo. Ben tre donne omaggiano Matsuev con doni floreali: tre stupendi mazzi di fiori. Il pubblico non smette di applaudirlo, e Matsuev ringrazia con la consueta sfilza di bis, praticamente un terzo tempo: la fanciullesca Scatola musicale di Anatoly Liadov, uno studio (op. 76 n. 2) di Sibelius, l’op. 8. n. 12 di Scrjabin e un’improvvisazione jazz.