Un caffé fra Oriente e Occidente
di Giuliana Dal Piaz
Affascinante viaggio musicale nel Settecento dei caffé, degli scambi commerciali, artistici e intellettuali proposto, fra tradizione europea e orientale, dalla Tafelmusik Baroque Orchestra di Toronto in chiusura della propria stagione.
TORONTO, 21 maggio 2016 - Due pannelli illuminati, ognuno con l'immagine di una tavola conservata nella "Sala Damasco" del Museo di Dresda, ai lati di uno schermo su cui risalta l'immagine di un'antica porta siriana (che "si aprirà" varie volte durante lo spettacolo per mostrare carte geografiche e foto d'epoca o contemporanee: interni di case o di caffé, strade e mercati, tanto di Lipsia quanto di Damasco), attraggono immediatamente l'attenzione dello spettatore, sul palcoscenico della modernissima Koerner Hall del "TELUS Centre for Performance & Learning".
È questa la sede del concerto-spettacolo che conclude la Stagione 12015-2016 della Tafelmusik Baroque Orchestra di Toronto con un evento molto originale e di grande successo, Tales of two Cities: the Leipzig-Damascus Coffee House (19-24 maggio).
Sul fondo del palcoscenico alcune sedie disposte strategicamente alle spalle e ai lati del clavicembalo; al centro una grande stella di Davide, disegnata da profili in rosso e giallo; su un lato tre sedie e i supporti per le percussioni. Entrano la contrabassista Alison Mckay, ideatrice dello spettacolo e autrice del testo narrativo, la cembalista Charlotte Nediger, e altri tre strumentisti, tra cui la violinista Aisslin Nosky (con un piede ingessato!), mentre la straordinaria percussionista iraniana Nagmeh Farahmand incede al ritmo di uno dei vari tamburi persiani che suona. Pochi secondi e dalla platea sorge il suono degli altri strumenti della Tafelmusik Orchestra, che avanzano verso il palcoscenico suonando nei corridoi sui due lati del pubblico.
Comincia così un incredibile viaggio nella realtà settecentesca di due città molto lontane e diversissime tra loro, e allo stesso tempo accomunate da una serie di fattori: Lipsia in Germania e Damasco in Siria. Entrambe punti nodali fin dal '500 di frequentate rotte commerciali, entrambe sedi di importanti Università e pertanto di nutrite comunità studentesche, all'inizio del XVIII secolo le due città si scambiavano regolarmente alcuni prodotti - dalla Siria veniva, ad esempio, la materia prima per l'inchiostro, mentre a sua volta la Germania mandava a Damasco risme e risme di carta per libri - ma, soprattutto, avevano in comune, nella vita quotidiana, un aspetto interessante: le comunità maschili frequentavano regolarmente i Caffé, che non erano semplicemente luoghi di consumo della bevanda, bensì luoghi di ritrovo culturale, dove si faceva musica (in quelli di Damasco danzavano i dervisci), si raccontavano storie e leggende, si commentava la pubblicazione degli ultimi libri, ci si scambiavano notizie e informazioni di tipo umanistico e scientifico (dopo la dominazione greco-romana e quella araba, Damasco - una delle città ininterrottamente abitate dalla loro fondazione più antiche al mondo, se non la più antica - era fiorita soprattutto sotto la dominazione ottomana con la fondazione di scuole, edifici pubblici, osservatori astronomici, ospedali).
Ecco quindi che la contrabbassista e geniale ricercatrice storica di Tafelmusik, Alison Mckay, ha ideato questo concerto-spettacolo che segue la linea da lei già impostata con The Galileo Project (2009), House of Dreams (2012) e Johann Sebastian Bach: The Circle of Creation (2015): ricostruire un mondo artistico e culturale del passato sulla base della musica di quell'epoca.
Lo spettacolo è condotto, con bravura e grande senso dell'ironia, dal noto attore canadese Alon Nashman, che lega tra loro i numeri musicali col racconto di quanto accadeva nel Settecento nelle due città messe a confronto, a momenti coadiuvato e tradotto in lingua araba dalla statuaria attrice e cantante egiziana Maryem Tollar, membro del Trio Arabica.
Il programma del dialogo tra Lipsia e Damasco comprende, per Lipsia, brani di Telemannn - la cui Ouverture in Re Maggiore TWV 55:D18 apre e conclude la prima parte -, Monteverdi, Lully, Händel; riprende con l'Allegro di Händel dal Concerto Grosso in Re Maggiore, op. 6, n. 5, a cui fa seguito, a contrasto e sfida ("Ma chi è poi questo giovincello arrivato dall'Italia?..."), uno straordinario assolo di violino di Aisslinn Nosky, che esegue l'Allegro del Concerto per violino in Mi Minore op. 8 n. 9 di Giuseppe Torelli con i suoi abituali impeto e vivacità malgrado l'infortunio, il Burlesque de Don Quixote de Telemann e due brevi brani di Bach. Ai brani europei, si alternano brani tradizionali orientali, eseguiti dal Trio Arabica - oltre a cantare, Maryem Tollar suona il kanun, sorta di melodiosa arpa orizzontale, il liutista di origine greca Dimitri Petsalakis suona il tradizionale oud, il liuto arabo per eccellenza, e le mani di Nagmeh Farahmand volano vertiginosamente, alla lettera, sulle sue percussioni, il Tonbak, il Daf, il Dayereh, il Framedrum -: Badat Min al Khidri (Ella apparve dalla tenda), Yammud Uyoun Issoud (Mi perdo nei tuoi occhi neri), Ya Malikan (Tu che possiedi il mio cuore) e, nella seconda parte del concerto, Afdihi i Hafidhal Hawa Ow Diya'a (La mia vita ti appartiene) e Tala'a Min Beyt Abouha (Andando dalla casa di suo padre a quella del vicino).
Uno spettacolo così complesso richiede più della direzione musicale, affidata a Jeanne Lamon: Glenn Davidson ha curato il disegno di produzione come per gli altri progetti multimediali di Alison Mckay, Marshall Pynkoski, direttore di Opera Atelier, si è occupato egregiamente della regia e dell'aspetto coreografico, mentre la brava Raha Javanfar è responsabile di illuminazione e immagini.
Il sottile filo rosso che corre, intenzionalmente, sotto l'intero progetto è quello della comunicazione e dell'intesa tra culture diverse, possibile soprattutto attraverso lo scambio culturale e artistico (non a caso, il violino di Christopher Verrette stabilisce ripetutamente un fantastico dialogo sia con l'oud di Petsalakis che con le percussioni di Farahman), ma non solo: a Damasco, cristiani ed ebrei erano liberi di risiedere e praticare la propria religione, con quarteri propri a disposizione, anche se soggetti a una maggiore tassazione .
Va anche detto che la musica araba tradizionale, inevitabilmente molto esotica a Toronto, per noi italiani (l'orchestra conta tra i suoi membri, stabilmente, i due italiani Stefano Marcocchi [Intervista], viola, e Marco Cera [Intervista], oboe, e saltuariamente due concertisti di origine italiana, Dominic Teresi al fagotto come in questo caso, e Lucas Harris al liuto barocco) rappresenta l'eco di ritmi familiari e vicini, per la nostra comune origine mediterranea, a cui siamo stati esposti fin da bambini.