I muscoli di Stravinskij
di Anna Costalonga
Andris Nelsons torna per la seconda volta nella stagione alla Gewandhaus, questa volta a capo dell'orchestra di cui è neo direttore musicale. In programma un'apprezzabile proposta dei Sei pezzi per orchestra di Webern, seguita da una resa più interlocutoria dei Wesendonk Lieder wagneriani e da una visione brutale, ma strappa applausi, del Sacre du printemps.
LIPSIA, 26 maggio 2016 - L'attesa di questo concerto cresceva da mesi, per curiosità, per il programma scelto.
La curiosità di conoscere meglio Andris Nelsons, il nuovo Kapellmeister, perché la sua seconda apparizione nella stagione corrente è in realtà la prima apparizione con l’orchestra della Gewandhaus. Per il programma, poi: i Sei pezzi per orchestra op.6 di Anton Webern, i Wesendonck Lieder di Richard Wagner e Le sacre du printemps a di Igor Stravinsky, un programma che già sulla carta prometteva quanto meno fuochi d’artificio, se non miracoli.
Ma procediamo con ordine: l’apertura della serata con i Sei pezzi per orchestra weberniani è stata senza ombra dubbio la parte più interessante del concerto, prima di tutto perché non si sentono troppo spesso neppure qui a Lipsia - l’ultima esecuzione della Gewandhaus risale a ventuno anni fa - e, per ultimo ma non ultimo, per la bellezza enigmatica di quest’opera, di cui è stata eseguita a la prima versione del 1909, che richiede un organico orchestrale molto più ampio.
Per la prima apparizione di Nelsons con l’orchestra della Gewandhaus si è quindi scelto un’opera in cui poter mostrare tutta la ricchezza dell’orchestra lipsiense e forse anche per indicare già una direzione futura, di una ancora maggiore apertura verso un repertorio meno consueto - almeno cosi si spera.
Dopo Webern, è stata la volta di Richard Wagner con i Wesendonck Lieder, nella versione orchestrale, con Christianne Stotijn come mezzosoprano solista. Questo è stato senza dubbio il punto debole della serata; purtroppo il mezzosoprano olandese, nonostante abbia cercato un fraseggio consistente e espressivo, non ha brillato per vocalità: voce ingolata, opaca, molto oscillante, non omogenea e piccola per questo repertorio. L'orchestrale è viceversa emersa in alcuni punti, come ad esempio in Schmerzen, dove pure la Stotijn è risultata più sonora - ma in altri è risultata poco compatta e omogenea. Si può ben dire che sia stata una esecuzione poco consistente e equilibrata dei cinque lieder wagneriani, ed è un peccato, perché l’accostamento fra Webern e Wagner poteva risultare davvero in un suggestivo Erschrock der Sinne, shock dei sensi: l’effetto della passione wagneriana sarebbe potuto essere ancora più trascinante e quasi riconciliante, dopo l’enigma lacerante di un’umanità ormai frammentata dei sei pezzi weberniani. Peccato davvero.
È stata poi la volta di quello che doveva essere l’asso nella manica della serata: Le Sacre, di cui Andris Nelsons e la Gewandhaus hanno offerto una esecuzione “muscolare”.
Piano, forte, fortissimo, incredibilmente fortissimo; al di fuori di queste dinamiche non mi è parso ci fosse spazio per altro - né lirismo, né mistero o quanto altro si possa sentire o si sia già inteso nelle innumerevoli esecuzioni di questo capolavoro.
Diciamo che di primavera se ne è sentita poca; abbiamo ascoltato invece qualcosa che voleva essere senza dubbio primitivo, ma in realtà dell’aspetto primitivo o primitivista ha colto solo la parte più brutale e assordante e non quella primigenia e arcana. Una scelta stilistica e interpretativa? Chissà. Certo è che più che la fine di una sagra della primavera è sembrata una fine del mondo.
Poco male, perché più l’orchestra suona forte e prima arrivano i “bravo”.
Infatti così è stato anche giovedì sera, quando la sala strapiena della Gewandhaus ha tributato una standing ovation al nuovo direttore e all’orchestra tutta, già pochi secondi dopo la fine di questo muscolarissimo Sacre.