Tutti amiamo West Side Story
di Stefano Ceccarelli
Come non amare West Side Story? Ben lo sa l’Accademia di Santa Cecilia, che risolve il delicato impasse della defezione del Maestro Ennio Morricone, per gravi problemi di salute, sostituendo ai suoi tre attesissimi concerti (tutti sold-out già da tempo) un evento in sé unico: la proiezione della pluripremiata (con svariati Oscar) pellicola di West Side Story, restaurata e privata della parte orchestrale, affidato all’accompagnamento dell’orchestra dell’Accademia, sotto la bacchetta dell’emergente Ernst van Tiel, mantenendo le voci originali. L’esperienza è magnifica: la parte vocale (l’originale del film del 1961) è accompagnata da una rinverdita versione orchestrale, sonoramente tripudiante, della veracemente americana partitura di Leonard Bernstein, un evergreen della musica del ‘900. Il successo è assicurato: grandi applausi e sommo sforzo di direttore e orchestra, che suona per tutta la durata del film (tre ore, compreso il canonico intervallo).
ROMA, 24 maggio 2015 – L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia è una straordinaria istituzione, per più ragioni. Ma una delle sue miglior qualità è sicuramente quella di avere sempre un asso nella manica. Non è facile, dopo l’obbligata defezione di un grandissimo nome qual è Ennio Morricone (per gravi problemi di salute), imbastire un nuovo programma per un concerto che avesse l’appeal sul grande pubblico per fare le veci di Morricone. Come un consumato prestigiatore, l’organizzazione dell’Accademia tira fuori un coniglio bianco dal cilindro: la celeberrima e arcinota versione cinematografica di West Side Story, il più famoso musical del XX secolo (almeno prima dell’avvento di Cats, con cui ora, probabilmente, si divide la corona), capolavoro di Leonard Bernstein, torna proiettato con le voci originali e l’accompagnamento orchestrale live dell’eccellente orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia. Il risultato è semplicemente magnifico: io sono uscito dalla sala Santa Cecilia con le lacrimucce, sebbene in questo moderno Romeo e Giulietta almeno Maria (Giulietta) si salvi, donando un forte messaggio di speranza, di convivenza pacifica, di giusta integrazione.
Questo risultato d’estrema piacevolezza prevede un imponente lavoro tecnico a monte: la pellicola del film originale del 1961 è stata restaurata in alta definizione (tanto che sono stati resi visibili diversi particolari prima invisibili), v’è stata tolta la traccia orchestrale e mantenute voci originali e effetti. La ricostruzione della partitura è stata possibile, dopo non pochi sforzi, da parte di due membri del Leonard Bernstein Office, E. M. Sandresky e, soprattutto, G. E. Sunderland, che ha ricostruito materialmente la partitura in base a documentazioni d’archivi pubblici e privati, arrivando a una smagliante versione – certo più ricca dell’originale – che raccoglie l’orchestrazione della versione puramente broadwayana (1957), di quella cinematografica del 1961 e tiene, chiaramente, conto anche del documentario del making of dell’incisione del 1984, la splendida edizione che Bernstein eternò in Cd per la Deutsche Grammophon con un cast stellare (Te Kanawa, Carreras, Troyanos e Marilyn Horne).
Il risultato è splendido: forti anche dell’esperienza di Disney’s Fantasia (Gennaio scorso, leggi la recensione), i complessi dell’Accademia non hanno alcun problema a coordinarsi perfettamente con la pellicola. Certo, rispetto al mélange di musiche accompagnanti Disney’s Fantasia, ora la cosa è complicata dalla sovrapposizione dei dialoghi, degli effetti e soprattutto delle voci cantanti dei protagonisti del musical: l’orchestra deve essere attenta a amalgamare correttamente il suo volume con quello delle voci registrate, per far risultare il tutto naturale. L’effetto è, a conti fatti, magnifico, la pellicola e il suo accompagnamento godibilissimo.
Il lavoro del direttore Ernst van Tiel (per la prima volta ospite dell’Accademia, un direttore emergente che lavora soprattutto nell’area mitteleuropea e russa), lavoro – dicevo − di preparazione dell’orchestra, di gestione volumetrica del suono e, in particolare, del coordinamento di questo con le immagini e le voci registrate, sforzo realmente titanico, è stato portato a casa ottimamente. L’orchestra ha un sound perfetto, prettamente americano, graffiante, tutto swing e glissandi: van Tiel fa bene a non attutire questo stile sfrontatamente americano, che restituisce – come scrive A. Penna nel programma di sala – pienamente la «mercurialità» dell’uomo e artista Bernstein, giacché «per molti versi Bernstein è stato uno dei più felici ed esaltanti risultati – perfino per i suoi difetti – di quell’America che ha conquistato il XX secolo, trasformando in modo straordinario il mosaico di culture e influenze che la componevano in una ricca e complessa nazione, capace di essere all’avanguardia in tutti i campi della cultura e dell’arte».
Come non commuoversi per la delicatissima Maria, che Richard Beymer canta quasi a fil di voce, o per l’altrettanto celebre Balcony Scene (Beymer con Natalie Wood), la più scoperta citazione shakespeariana? Possiamo tralasciare, poi, i voti scambiati da Tony e Maria in One Hand, One Heart o il toccante quartetto Tonight? E se uno s’è commosso per quei pezzi, come non arrivare alle lacrime vere per la struggente Somewhere e per il finale? Però, certo, se qualcuno è particolarmente restio a piangere al cinema o a teatro, di risate se ne sono sentite molte, in particolare per l’irresistibile America, per la scanzonata i Feel Pretty di un’innamorata Maria, per la spassosa parodia inscenata da Riff e compagni in Gee, Officer Krupke. Un vortice di emozioni che ci ha incollato alle poltrone per quasi tre ore.
Un’esperienza unica, mercé soprattutto l’irresistibile sensualità della musica del Mercurio del XX secolo.
foto Riccardo Musacchio & Flavio Ianniello