Wang e Bringuier: un degno suggello
di Stefano Ceccarelli
L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia chiude ottimamente la regolare stagione concertistica sinfonica con un appuntamento che vede un programma interamente novecentesco e il tocco glamour della pianista Yuja Wang. Le musiche in programma: le Danze di Galánta di Zoltán Kodály; i due concerti per pianoforte e orchestra di Maurice Ravel (la cui compresenza in un un’unica serata è un’occasione alquanto rara), il Concerto per la mano sinistra in re maggiore e il Concerto in sol maggiore; e, dulcis in fundo, l’amatissimo Igor Stravinskij de L’oiseau de feu, la suite del 1919. Sul podio degli accademici v’è il giovanissimo francese Lionel Bringuier, al pianoforte la già menzionata Wang, che con Bringuier ha già inciso i due concerti raveliani con la zurighese Tonhalle (per la Deutsche Grammophon). Il concerto è un profluvio di applausi e chiude perfettamente un’eccellente stagione.
ROMA, 7 giugno 2015 – L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia sceglie di terminare la stagione regolare dei suoi concerti con un appuntamento certamente mondano: tutti i concerti della bellissima Yuja Wang lo sono. È, infatti, la Wang la vera star della serata. Attentissima alla sua immagine oltre che al suo virtuosistico pianismo, la Wang si presenta in scena con un abito strassato e uno spacco stellare, che poco lascia all’immaginazione delle belle forme: un’epifania hollywoodiana, una regina del jet set. Nel secondo tempo un cambio: un abito finissimo, dorato, un velo che la copre esaltandole le forme. Insomma: siamo di fronte a un curioso amalgama, sincretico, di Oriente e Occidente. La Wang è, anzi, l’emblema dell’occidentalizzazione dell’immagine estetica della Cina, attratta dalla moda del jet set americano, attenta alle sue movenze, ai suoi atteggiamenti; è l’emblema musicale al femminile, certo, ove Lang Lang ne è l’emblema al maschile. Ma bisogna fare qualche distinguo: Lang Lang indulge sempre più all’immagine, al puro elemento esornativo, proponendo non quasi più concerti autenticamente classici, ma vere e proprie sessioni di virtuosismo pop, di acrobazie alla tastiera, molto richieste da un pubblico dall’orizzonte d’attesa e di gusto limitato allo show televisivo. La Wang, al contrario, è ancora ancorata a un pianismo frutto certo di un facile talento, ma non già banale, privo di idea sofisticata, esclusivamente a uso e consumo di un ginnico show. E ci auguriamo mai giunga a questo punto. Ad accompagnarla sul podio dell’ottima orchestra dell’Accademia è Lionel Bringuier, giovane direttore francese (classe ’86) già enfant prodige, e già collaboratore della Wang: i due infatti portano in programma i due concerti di Ravel già incisi assieme per la Deutsche Grammophon in un felice Cd con l’orchestra della Tonhalle di Zurigo.
Il primo tempo apre con le fresche Danze di Galánta di Zoltán Kodály e siamo subito confortati nella guida all’ascolto dalle puntuali, approfondite e ottimamente scritte note del programma di sala di Mauro Mariani. La prima danza ci mostra l’abilità dell’orchestra: Alessandro Carbonare esegue l’esotico, sensuale assolo di clarinetto sull’incedere ritmico dell’orchestra, e il clarinetto ci porta nell’immaginifico crogiolo di culture occidentali/orientali dell’Ungheria, «per quanto ad un primo approccio si possa essere fuorviati dalle superficiali somiglianze non soltanto con le Rapsodie ungheresi di Liszt e con le Danze ungheresi di Brahms ma anche con tante altre composizioni di valore ben inferiore» (saccheggerò ancora a piene mani dalle belle parole di Mariani). Bringuier dirige un vivace Allegro moderato (II) esaltando il saltellante, accattivante assolo del flauto, che ci riporta ancora al mondo lisztiano, brahmsiano e pure bizetiano e russo. Deliziosa l’incantata danza III, fatata, con un tocco caratteristico pastorale; al ritmo sfrenato della IV succede la brillante V. Bringuier mostra di trovarsi a suo agio con le timbriche, di sentire sensibilmente la pasta orchestrale; ma pure palesa qualche tentennamento agogico, palesa la mancanza di esperienza con la bacchetta, di una direzione più consapevolmente piena a livello ritmico. Insomma, avrebbe giovato un polso più fermo, benché certo si mostri non scevro di brillantezza.
Applausi seguono l’entrata di Yuja Wang, bellissima, che si siede per eseguire il celebre Concerto pour la main gauche, che Ravel scrisse per Paul Wittgenstein (fratello del filosofo Ludwig) mutilato del braccio destro dalla Grande Guerra. Ravel s’era sforzato di dare «l’impressione di una scrittura non più scarna di quella per entrambe le mani» (Mariani). La Wang esegue la virtuosistica scrittura con scioltezza e perizia: l’entrata ad effetto, una sorta di anticipata cadenza, risulta magnifica all’orecchio (forse carica troppo il pedale di risonanza, ma è questione di gusti). La Wang ha il suo punto di forza nei legati, nei passaggi virtuosistici acquatici, eseguiti con grande velocità, senza sacrificare la sgranatura del suono: il momento migliore dell’esecuzione è infatti la seconda cadenza, precedente la «brutale conclusione» (Ravel) del concerto stesso e della prima parte del programma. Applausi a profusione.
Il secondo tempo inizia con l’altro celebre concerto di Ravel per pianoforte: il Concerto in sol maggiore, «un’opera brillante» che mette «pienamente in luce il virtuosismo dell’interprete» (parole di Ravel stesso), scritto in uno «stile scolastico» che occhieggiava assai a un classicismo spumeggiante, infarcito dei ben noti influssi jazzistico-gerswhinniani che abbiamo imparato a sentire fin dal Concerto pour la main gauche. Il concerto inizia in medias res: la Wang serpeggia nella serie di terzine in crescendo,sensualmente, e affronta tutto il concerto producendo un suono amalgamato, sovente a fil di corda, che si sposa con le cangianti e caleidoscopiche timbriche orchestrali (si pensi solo all’intervento etereo dell’arpa). L’Adagio assai (II) incanta per la sua melodia «lunghissima, semplice, casta, disadorna, placida ma nobile» (Mariani), belliniana, in una parola; la Wang sguazza nelle sue acque, porgendoci il moto perpetuocon respiri regolari, legati ampi e ben tenuti, ampie arcate, terminando in un mozzafiato trillo in filato (non saremo ai livelli di Benedetti Michelangeli, ma le atmosfere generate sono godibilissime). Il Presto conclude con stringata velocità e un percussivo zampillio il concerto. Gli applausi chiamano sul palco più volte la Wang, che regala ben tre bis al pubblico: due pezzi dal suo album Fantasia (DDG, 2012), le Variazioni su un tema della “Carmen” di Bizet scritte da Vladimir Horowitz sulla celebre canzone d’apertura del II atto; l’arrangiamento di Sgambati, per il solo pianoforte, della seconda melodia (la centrale) delle due scritte da C. W. Gluck per descrivere l’incedere delle anime degli spiriti beati fra i campi elisi (una delle più toccanti scene dell’Orfeo ed Euridice, anzi dell’opera lirica in toto); e conclude con la virtuosistica riscrittura del collega A. Volodos della Marcia Turca di Mozart. La Wang saluta il pubblico in un profluvio di applausi.
Il concerto termina con la stupenda suite da L’oiseau de feu di Straviskij, certamente uno dei prodotti più indicativi di quella privata alchimia, di quella segreta magia che permette a Stravinskij di fagocitare e metamorfizzare tutta la tradizione a lui precedente – com’ebbe a dire uno dei suoi interpreti più raffinati, Leonard Bernstein. Bringuier è forse ancora troppo giovane per farci apprezzare tutto lo spettro di sensi della musica stravinskiana: ci accontentiamo di una direzione spigliata, attenta alle magnifiche timbriche e giustamente indugiante sulle perle melodiche della partitura. Bringuier conduce bene l’orchestra dalla cupa, primitiva nel gusto, Introduzione fino alle screziature dell’apparizione dell’Uccello di fuoco e alla sua danza, che Bringuier porge in tutta la sua voluttuosa, orientaleggiante bellezza. La scelta agogica delle variazioni è forse troppo pacata rispetto al loro peso specifico coreutico. Ottime le aperture timbriche nella Ronda delle principesse che strizzano l’occhio alla Shahrazd di Rimskij-Korsakov. Maggior spinta ritmica troviamo nella Danza infernale del re Kascej, benché Bringuier non spinga molto sulle esplosioni dei timpani. La delicatissima ninna-nanna (Berceuse) dell’Uccello di fuoco, una patente citazione del Musorgskij dei Quadri di un’esposizione (il Vecchio castello,col trobadorico canto di un sassofono contralto nella versione orchestrale di Ravel), è porta deliziosamente: Bringuier può ivi esprimere il meglio delle sue caratteristiche.
Un concerto ottimo, degno suggello di una fantastica stagione. Attendiamo con trepidazione la prossima, godendoci frattanto le bellezze musicali estive che l’Accademia intende regalarci.