Il ritorno della Diva
di Gustavo Gabriel Otero
Il soprano statunitense Renée Fleming, una delle artiste contemporanee più amate dal pubblico del Metropolitan di New York e senz'ombra di dubbio una delle grandi figure della scena lirica mondiale, è giunta per la terza volta in Argentina per una nuova performance al Teatro Colón.
Buenos Aires, 29 giugno 2016 - Buenos Aires l'ha conosciuta nell'agosto del 1991 quando ha cantato in una produzione delle Nozze di Figaro. La carriera di Renée Fleming era ancora all'inizio e già inanellava debutti promettenti: la sua Contessa fu abbagliante ma, nonostante il successo, ci vollero parecchi anni perché tornasse al Teatro Colón. Ciò avvenne con un recital nel novembre del 2012 accompagnata da Gerald Martin Moore, e oggi con il medesimo pianista per vesteggiare i venticinque anni dal debutto locale.
Renée Fleming ha aperto questo recital al Colón con il medesimo personaggio della Contessa del suo esordio nel Teatro, come ella stessa si è premurata di ricordare rivolgendosi al pubblico. La cavatina "Porgi amor" è stata offerta da una Fleming in forma perfetta, con tempi lenti e il suo ben noto, squisito fraseggio.
Il repertorio che si è succeduto nel programma è risultato eclettico e variegato nel tentativo, in un certo qual modo, di creare diverse cornici emotive appropriate per ciascuna parte del concerto, con una sequenza più antica, una francese e un finale della prima parte con un valzer brillante. Dopo la pausa, si è proseguito con una selezione di canzoni russe, poi italiane e un breve frammento operistico sempre italiano, per concludere con due composizioni in spagnolo.
Con qualche atteggiamento da diva - come precisare nel programma di sala chi disegna i suoi abiti, quale sia la sua casa discografica e chi fornisca i gioielli - ma con un fascino e un'eleganza notevoli Renée Flemig calca la scena con umiltà e senza gesti plateali. E sebbene abbia qualche pecca nei registri, Fleming compensa con altissima professionalità e solida esperienza.
I due brani di Händel hanno confermato questa professionalità in un repertorio che non pare il più affine alla sua sensibilità e ai suoi mezzi attuali. Così abbiamo ascoltato "Bel piacere" da Agrippina e "V’adoro pupille" da Giulio Cesare. I migliori momenti sono venuti fra le arie e le chanson romantiche francesi: "C’est Thaïs, l’idole fragile" da Thaïs e "Allons!.. Adieu notre petite table" da Manon, entrambe di Massenet, sono state interpretate con brillantezza e sentimento senza pari. Indubbiamente indimenticabile Soirée en mer de Saint-Saëns e di grande effetto, nel finale di questa prima parte, il valzer "Je t’aime quand même", di Oscar Straus.
Nell'intervallo il commento più diffuso era il disappunto per i troppi posti vuoti in platea e nei palchi, evidentemente a causa dell'errata attuale politica dei prezzi del Colón. Gli ordini più alti - e più economici - erano pieni, mentre si aprivano grandi spazi aperti in quelli più cari. Le autorità dovrebbero attuare urgentemente una revisione dei prezzi e prevedere la possibilità di sconti last minute sui posti ancora invenduti.
La seconda parte si è aperta con un blocco russo: cinque pezzi di Rachmaninov, ciascuno valorizzato dall'accattivante linea di canto di Fleming, mentre la presenza di sovratitoli ha facilitato la comprensione del testo. Per proseguire, una carrellata ben interpretate di romanze italiane, Donaudy (O del mio amato ben), Tosti (Aprile) e Leoncavallo (Mattinata), con una piccola coda operistica: "L’altra notte in fondo al mare", l'aria di Margherita dal Mefistofele di Boito, uno dei momenti clou della serata per espressività e coinvolgimento.
A chiudere il programma, sempre accompagnato dall'eccellente pianista Gerald Martin Moore, è infine giunto il blocco ipsanico con Estrellita di Manuel Ponce e La morena de mi copla di Carlos Castellano Gómez. L'interpretazione, qui, veniva prima rispetto alla purezza della dizione.
Di fronte all'entusiasmo del pubblico, la cantante nordamericana ha affrontato, fuori programma, dapprima, e come già nel 2012, il Canto alla Luna dalla Rusalka di Antonín Dvořák, resa con profonda convinzione, poi I could have Dance all Night da My Fair Lady, in cui ha invitato anche il pubblico a cantare, per chiudere con un delicato "O mio babbino caro" da Gianni Schicchi di Puccini.
Prensa Teatro Colón / Arnaldo Colombaroli.